La parte dell'Europa

Pubblicato il 16-12-2023

di Luca Jahier

Il 24 febbraio 2022 ci siamo svegliati con la tremenda notizia che le truppe di una superpotenza nucleare, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la Russia, avevano iniziato l’invasione dell’Ucraina, scatenando una guerra senza giustificazione alcuna. A quasi due anni, nessuna concreta prospettiva di fine delle ostilità e di avvio di negoziati di pace, milioni di profughi e sfollati, oltre 500mila soldati morti o feriti, e la stima di oltre 20mila civili ucraini morti o feriti, devastazioni immense.
Il 7 ottobre del 2023, un altro shock terribile: a 50 anni dall’avvio della guerra dello Yom Kippur, un attacco terroristico di Hamas su larga scala con la brutale uccisione di 1.400 civili israeliani inermi, oltre 3.000 gravemente feriti, 200 ostaggi trascinati nel territorio di Gaza, nel più mortifero giorno per gli ebrei, dai tempi della Shoah. La reazione di Israele ha portato già a 7mila morti in Gaza, 18.000 feriti e a oltre un milione di sfollati interni al già sovrappopolato territorio di Gaza, la più grande prigione del mondo.
Come per l’invasione dell’Ucraina, così per questo orribile atto terroristico senza precedenti non ci possono che essere parole durissime di condanna, senza se e senza ma, per l’aggressore. Così come si deve solidarizzare fermamente con l’aggredito e riconoscergli il diritto di difendersi, con misure proporzionate che perseguano un’organizzazione terroristica, Hamas, che da tempo usa un intero popolo – i palestinesi di Gaza – come ostaggio sacrificabile e si è reso responsabile di atti terribili, infierendo su persone inermi, anziani, disabili, bambini e persino neonati. Ma non esiste un diritto illimitato alla difesa: essa deve conformarsi al diritto internazionale umanitario che impone sempre di salvaguardare la popolazione civile. Le azioni di difesa devono poi fare una distinzione indiscutibile tra chi (persone e organizzazioni) si è reso responsabile di tali atti e il popolo palestinese in quanto tale, con le sue storiche sofferenze e legittime aspirazioni. Il rischio multiplo di escalation è evidente, sia regionale con il possibile estendersi del conflitto (in Cisgiordania, Libano, Siria, persino Yemen…), sia globale, con le piazze arabe già in fiamme, alimentando un nuovo scontro globale di civiltà.

È del tutto impossibile sapere in quale direzione si svilupperà questa nuova follia mortifera.
Il mondo intero è oggi mobilitato per impedire questa devastante evoluzione e per cercare tutte le vie possibili per garantire un rilascio immediato degli ostaggi, un’apertura di corridoi umanitari e di aiuti d’urgenza per la popolazione di Gaza e le strade di possibile de-escalation.
L’Unione Europea, dopo una certa cacofonia iniziale di posizioni, ha trovato una sua chiara unità e determinazione secondo queste linee. L’ottima risoluzione del Parlamento europeo del 19 ottobre 2023 chiede anche di riavviare subito un’azione politica e diplomatica, che a 30 anni dall’Accordo di Oslo rimetta sul tavolo un negoziato possibile per la soluzione dei due Stati democratici, con capitale Gerusalemme condivisa, che vivano in pace e si garantiscano la sicurezza reciproca, nel pieno rispetto della legge internazionale.
Una prospettiva necessaria, ma che al di là delle gravi responsabilità degli attori direttamente in gioco, rende anche evidente tutta la debolezza della comunità internazionale, della diplomazia e dunque anche dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nel non aver saputo fare avanzare concretamente questa agenda, nel corso dei decenni passati.
Anzi, si ha quasi l’impressione che in molti si fossero rassegnati a un conflitto permanente nella regione, di fronte al crescente indebolimento e inconsistenza dell’ANP nella West Bank, al potere assoluto di Hamas su Gaza che da sempre punta alla sparizione dello Stato di Israele, alle gravi responsabilità degli ultimi governi israeliani nell’aver fatto di tutto per non prendere in considerazione le legittime aspirazioni del popolo palestinese e di aver ritenuto non più perseguibile la soluzione dei due Stati.
Ma questa nuova notte indicibile, scatenata dall’orribile attacco di Hamas, ci dice ancora una volta forte e chiaro che non esiste alternativa a un serio rilancio dell’azione diplomatica e l’Europa deve fare la sua parte, assieme agli Stati arabi della regione, per ristabilire una prospettiva di pace, stabilità e sicurezza per tutti.

Bisogna tornare al metodo che aveva portato agli accordi di Oslo del 20 agosto 1993, dopo due anni di negoziati segreti e intensi tra le parti, che miravano a porre fine al conflitto israelo-palestinese. Questo orizzonte politico non può che avvenire con un maggiore e consistente impegno diplomatico, con Israele e i partner della regione e l’Europa deve saper esprimere un nuovo e forte impegno, secondo i quattro principi ben esposti da Joseph Borrell al Parlamento europeo: fermezza con le organizzazioni terroriste, umanità nell’esigere il rispetto del diritto internazionale umanitario in guerra e nel moltiplicare gli aiuti necessari, coerenza politica per una azione forte e convergente con tutti gli Stati membri, azione politica per un nuovo compromesso volto a rilanciare la soluzione dei due Stati. Perché la pace non viene da sola, bisogna costruirla e mobilitare tutte le energie possibili per questo.

C’è una immagine iconica che mostra Rabin, Mubarak, Hussein di Giordania, Clinton e Arafat un istante prima della cerimonia di firma degli accordi di Oslo. Quanta bellezza in uno scatto. Ci ricorda anche che per fare la pace ci vogliono “intermediari” – la cui parola vuol dire “che si mettono in mezzo” – determinati, credibili, pazienti, creativi, capaci di ascoltare le ragioni degli uni e degli altri e di spingerli a poco a poco a rileggere i propri presunti inconciliabili interessi secondo una categoria di umanità, che apra vie diverse dallo scontro finale. È già successo, basti ricordare i casi di Timor est e del Mozambico.
Tutto il resto, quello che vediamo oggi, è solo inutile dolore e follia.
 

Luca Jahier
NP novembre 2023

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