Quanta fame!

Pubblicato il 26-08-2023

di Marco Rossi

Quando parliamo di fame e di miseria, il nostro pensiero va subito all’Africa subsahariana, al sud dell’Asia e ad alcuni Paesi dell’America Latina, ma anche nella nostra ricca Europa conviviamo, talvolta senza accorgercene – o peggio facendo finta di non vedere – con punte tali di disagio sociale ed economico da generare situazioni di fame, soprattutto tra le persone più fragili come i bambini o gli anziani. Questi contesti sono meno evidenti ma non per questo sono meno tragici.
Siamo nel nordovest della Romania, nella città di Baia Mare, dove è presente una folta comunità rom concentrata in alcuni veri e propri ghetti tra i quali Craica è il più popolato.

È un agglomerato di misere baracche di legno, lamiera, pannelli e teli di materiali vari che si snoda lungo un ramo secco della vecchia ferrovia; niente acqua corrente, solo qualche fontanella e un fiumiciattolo putrido che scorre lì accanto; niente servizi igienici, elettricità assente o acquistata in maniera illegale da privati che lucrano indegnamente sulle miserie altrui, cani randagi, ratti e rifiuti ovunque.
Regna l’analfabetismo, anche tra i più giovani, la disoccupazione è a livelli elevatissimi, i pochi che lavorano lo fanno prevalentemente in nero e con paghe esigue sulle quali devono vivere nuclei famigliari spesso numerosi.

Lì la fame si percepisce e si tocca con mano. La si intuisce negli sguardi dei bambini che frequentano la scuola di alfabetizzazione di padre Albano e di suor Gabriela della Fraternità Somasca; là possono ricevere un pasto caldo, talvolta l’unico della giornata. La si percepisce nella foga con cui taluni affrontano quel pasto e prendono tutto ciò che viene loro offerto o che riescono ad arraffare a costo di esagerare e star male pur di non perdere un’opportunità. La si percepisce quando il sabato e la domenica alcuni di loro fanno chilometri a piedi per raggiungere la scuola nella speranza di mangiare qualcosa anche nel fine settimana. La mancanza di cibo si percepisce nel caracollare assente dei bambini, dei ragazzi che si bruciano il cervello sniffando colla da calzolaio. La dura lotta per la sopravvivenza fa sì che resse, e talvolta anche liti, si creino ogni volta che vengono distribuiti gli aiuti alimentari agli abitanti del campo. Alla sola richiesta di aspettare qualche minuto, si instaura un atteggiamento aggressivo da parte di gran parte degli abitanti, tra cui molte madri giovanissime che reclamano cibo per sé e latte per il figlioletto in braccio.

Ma, sempre in Europa, c’è un’altra fame, questa volta non strutturale. È quella che affligge la popolazione dell’Ucraina dei villaggi vicini alla guerra. Questa volta siamo a Huljajpole, a poche decine di chilometri da Zaporizzja e a 2 dal fronte.
Fino a un anno fa era una tranquilla cittadina di 15mila abitanti; ora è un ammasso di macerie, case distrutte dai bombardamenti, la popolazione in massima parte scappata, negozi chiusi, militari e posti di blocco ovunque, in sottofondo il rumore sordo e costante dei cannoneggiamenti.
È rimasto solo qualche centinaio di anziani che non hanno voluto o potuto lasciare le proprie case, ma la loro vita è diventata un inferno.
Vivono nelle cantine per paura delle bombe, hanno paura di riunirsi all’aperto perché i droni, sempre in agguato, potrebbero indirizzare i colpi dell’artiglieria, non hanno luce, non hanno acqua, non hanno la possibilità di acquistare alcunché.

L’arrivo dei furgoni con gli aiuti è un evento cui tutti vogliono partecipare, la distribuzione del cibo una festa che accende per un attimo i loro sguardi smarriti.
Si accalcano – e gestire una fila è complicato quando si ha davanti gente affamata –, ma lo fanno con grande dignità e senza lesinare ringraziamenti.
Qualcuno chiede doppia razione perché il vicino disabile non può venire (chissà se è vero, ma ci crediamo o facciamo finta di crederci), qualcuno si commuove al profumo del caffè italiano, qualcuno si entusiasma aprendo e addentando subito un pezzo di panettone, tutti si allontanano con un timido sorriso di speranza e con quei dieci chilogrammi di cibo che per qualche giorno leniranno la loro fame.

La volontaria ucraina che ci accompagna distribuisce le preghiere che le suore cui facciamo riferimento per lo stoccaggio e la distribuzione degli aiuti arrivati dall’estero ci hanno raccomandato di portare con noi. La gente le tiene strette e non sai davvero dire se apprezzano più quelle o il cibo. Anche i luoghi di culto sono stati bombardati e il vuoto di conforto religioso è una fame che stringe lo stomaco al pari dell’assenza di cibo.
 

Marco Rossi
NP maggio 2023

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