Studiare perché

«A cosa serve la geometria?» È la domanda che mi ha posto mio figlio – che chiameremo Ettore – con tono leggermente alterato alla quarta di 12 proiezioni ortogonali da consegnare entro il giorno successivo. Sono le 6 di sera ed è da poco tornato da scuola. Vorrei dirgli con tutto il cuore: «Caro figlio, non serve a una beata fava», soprattutto perché c’è ancora da preparare la cena e il piccolo mi tira i pantaloni perché vuole giocare a Minecraft e mi implora la password. Ma non posso rispondergli così ovviamente, e allora non so come mi escono dalla bocca queste parole: «Intanto ti servono per capire che da grande non farai mai il geometra».

Mi farà la stessa domanda un'ora dopo perché ci sono ancora da ripassare 22 pagine per una verifica di storia dell'arte. Arrivati alla pagina sui bronzi di Riace, mentre ci troviamo a 10 metri sotto il mare e a 300 metri dalla costa calabrese, dove nel 1972 un sommozzatore si trovò davanti un braccio che usciva dal fondale marino, Ettore mi fa: «Ma a che cosa serve studiare la storia dell'arte?». Anche qui, vorrei dirgli: «Caro figlio a quest'ora della sera non serve a una beata fava», ma oramai visto il successo della mia prima risposta gli dico: «Serve a capire che da grande non farai mai il sommozzatore». Evidentemente questa volta la mia risposta suona un po’ meno ispirata della prima, infatti giustamente il ragazzo alza il tiro: «Io ho già capito che non farò mai né il geometra né il sommozzatore, né il matematico, nessuna delle cose che studio mi servirà mai, quindi non serve che io continui a studiare!». A questo punto il gioco si fa veramente duro, e allora come i codardi gli rispondo con una domanda: «Se è vero che l'aria calda va verso l'alto come mai in cima alle montagne fa freddo? Sai rispondermi?». «No, non lo so». «Caro giovane, ecco a cosa serve studiare: serve per imparare a rispondere decentemente alle domande che ti faranno i tuoi figli».


Andrea Gotico
NP maggio 2023