Tifoso della vita

Pubblicato il 24-01-2024

di Max Laudadio

Ho conosciuto Luca tanti anni fa, durante una partita di campionato del Varese Calcio. All’epoca la squadra lottava per salire di categoria e lui non si perdeva mai un incontro. Munito di sciarpa e di cappello biancorosso mi fece un cenno da bordo campo e quel suo gesto affaticato mi colpì. Avevo appena finito di salutare i tifosi, ed ero ancora euforico per lo splendido goal al novantesimo che aveva lasciato gli avversari a bocca asciutta. La rivalità sportiva non ammette vie di mezzo, ancora di più se il risultato del match è “rubato” all’ultimo secondo, anzi, in questo caso il godimento si espande all’infinito per noi veri tifosi. Certo, sempre che non sfoci mai, e senza nessuna eccezione, in violenza o altri atti ignobili!

Ma gli sfottò del momento sono vera e propria libidine fisica. Insomma, quel giorno ho deciso di raggiungere quel ragazzo seduto sulla sua carrozzina a bordo campo che si sbracciava per chiamarmi. Luca soffriva di una patologia che nessun medico, in nessuna parte del mondo, ha mai capito cosa fosse. Una sorta di male incurabile degenerativo che non aveva nome e che non aveva mai colpito nessuno, tranne lui. Quel ragazzo era l’esclusivista mondiale di un batterio senza identità, o se preferite di un virus killer, sta di fatto che lo accoglieva con la fiducia di chi cede parte della sua casa a un assassino seriale, senza mai giudicarlo, ma cercando solo di mostrare a lui cosa di bello e buono poteva donargli, e con il solo fine che poi se ne andasse, ringraziandolo dell’ospitalità e non facendosi mai più vedere. Magari anche modificandosi in qualcosa di altrettanto buono. Quando ho allungato la mano per presentarmi, il suo gracile braccio ha faticato a trasportare la sua mano verso la mia, e le sue dita si sono rifiutate di raccontare la vera forza del suo padrone.

Non so quanto pesasse, forse quaranta, quarantacinque chili, ma anche quello passava in secondo piano rispetto alla gigantesca determinazione che raccontavano i suoi occhi. Ogni due parole prendeva un respiro di aria pura proveniente da una bombola di ossigeno, e che veniva succhiato avidamente da una mascherina che non trovava posizione fissa sulle ossa facciali prive di carne. Anche il modo in cui sedeva mostrava la mancanza di qualsiasi muscolo necessario a sorreggerlo, e i suoi abiti, che sembravano di svariate taglie più grandi, evidenziavano ancora di più questa magrezza innaturale. Quel giorno parlammo di calcio; della partita rubata all’ultimo secondo; del mister che secondo entrambi ci avrebbe fatto perdere il campionato; ma anche di vita. Sì, di vita. Luca viveva con una sorta di ossessione per la vita. Voleva viverla, godersela, esserne il protagonista. Non importava se era costretto a farsi spingere dal padre (…uomo che ha sacrificato tutto per il figlio) per raggiungere un ristorante, un mercato, un luogo d’incontro, uno stadio, lui ci doveva essere. E, ancora di più, era disposto a giorni di terribili sofferenze, pur di dedicare qualche ora a chi sentiva potesse averne bisogno.

Dopo quel primo nostro incontro, siamo diventati amici e abbiamo condiviso raccolte fondi, eventi di beneficenza, azioni nel sociale che lui amava sottolineare essere necessari per la sopravvivenza di altri. Non della sua sopravvivenza, ma di quella degli altri. Tutto era magro in Luca ma non il suo cuore. Un giorno gli ho chiesto come riuscisse ad avere una forza così coinvolgente, e la sua risposta non è stata diversa da quelle che ho avuto il piacere di ascoltare in tante altre situazioni estreme come quella di Luca; di gente che subisce ma continua a donarsi, che combatte e non chiede sconti: «Sai Max, io lo so bene di non essere mai solo! E non sta a me capire perché mi è successa questa cosa, il mio compito è vivere la vita con tutta la mia forza, lodando tutto di lei e ringraziando per ogni giorno in più che mi è concesso. E se in questo periodo riesco anche a far stare bene altre persone, sicuramente ne è valsa la pena».

Pochi giorni fa Luca ha respirato per l’ultima volta dalla sua bombola d’ossigeno, e sono convinto che lo abbia fatto senza nessun rimpianto, come un leone che conosce bene le regole della savana, dove il più forte ha sempre la meglio sull’animale ferito, ma sapendo anche che da uomo consapevole, munito di intelletto e capacità di discernere, ha avuto la possibilità di scegliere tutto della sua vita. Quella vita per la quale ha combattuto, sofferto, ma anche gioito e amato. E credetemi, averlo conosciuto, è stato per me un grandissimo onore.


Max Laudadio
NP dicembre 2023

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