L'Impero di mezzo

Pubblicato il 10-08-2012

di sandro

di Sandro Calvani - Alla scoperta della Mongolia, un Paese in cerca di se stesso.
L’immaginario collettivo di molti Europei collega la Mongolia, l’Impero di Mezzo tra Cina e Russia, a Gengis Khan, imperatore vissuto intorno al 1200, divenuto famoso per le sue conquiste nei vicini territori cinesi, che poi si estesero in tutta l’Asia fino all’Oceano Pacifico e fino a lambire l’Europa, l’impero Ottomano e la Finlandia. Gli storici gli attribuiscono la responsabilità di almeno 40 milioni di vittime delle stragi perpetrate dai suoi eserciti, un record negativo impressionante. La costruzione della Grande Muraglia cinese, l’unica opera umana che si vede dalla Luna, fu dovuta alla necessità di difendere la Cina dalle sanguinose incursioni dei vicini Mongoli. Ma Kublai Khan – il nipote di Gengis Khan raccontato da Marco Polo nel suo Il Milione – conquistò anche la Cina, avviando così la dinastia mongola di imperatori cinesi.

La fama mondiale del suo leader sanguinario ha oscurato altri particolari della storia della Mongolia, come ad esempio le terribili violenze che Gengis Khan aveva subito da bambino come schiavo di una tribù che aveva ucciso suo padre. Gengis Khan fu il primo grande leader dell’Asia a imporre un’assoluta tolleranza per tutte le religioni, e mentre cercava una pace interiore che non aveva trovato, consultava spesso i missionari cattolici, i leader musulmani, i monaci buddisti e taoisti; promosse concetti di uguaglianza tra le persone, compresi i diritti delle donne, prima che tali idee sorgessero in Europa. Offriva i diritti di cittadinanza a tutti i popoli sottomessi e propugnava princìpi – rivoluzionari per quell’epoca – di rispetto della meritocrazia invece che dell’appartenenza etnica, familiare o religiosa. Gengis Khan favorì lo scambio di ambasciatori con le nazioni vicine e lontane e promosse gli scambi commerciali, creando gli accordi necessari per le cosiddette vie della seta, le grandi carovane che rappresentarono i primi tentativi di accordi commerciali internazionali, modelli sfruttati più tardi nelle stesse regioni dalle potenze coloniali europee con le loro compagnie delle Indie.

A distanza di oltre otto secoli Gengis Khan è ancora dominante nei nomi di strade, scuole, palazzi, prodotti industriali di uso comune, compresi quelli che si usano tutti i giorni come le bevande alcoliche e non. La sua effigie appare in tutte le banconote e sulle monete. Perfino in popoli lontani, come in Turchia, i ragazzi amano usare il suo nome nei giochi di strada, in modo quasi impensabile in Europa, dove nessuno impersonerebbe Giulio Cesare, Napoleone o Alessandro Magno nei giochi da ragazzi. Per effetto delle vicende storiche più recenti, di tensioni politiche e influenze economiche da parte di Cina e Unione Sovietica, l’Impero di Mezzo ha oggi più popolazione all’estero che dentro i confini nazionali: circa 4 milioni di mongoli vivono al di fuori della Mongolia, circa 3,4 milioni in Cina, principalmente nella regione autonoma della Mongolia interna, e circa 500.000 vivono in Russia, soprattutto in Buriazia e Kalmykia. La modernità spinta dalla globalizzazione ha facilitato una rapida urbanizzazione della popolazione mongola di 2,7 milioni di persone che prima viveva sparsa in un enorme territorio di oltre 1,5 milioni di chilometri quadrati, con una densità media di popolazione bassissima, circa 1,76 persone per chilometro quadrato, che in realtà è ancora più bassa se si tiene conto del fatto che oggi circa la metà della popolazione vive nella capitale Ulan Batoor. Circa due terzi della popolazione totale ha meno di 30 anni, il 28,5% dei quali meno di 14 anni. Tradizionalmente, il lamaismo tibetano buddista era la religione predominante.

Fu soppresso sotto il regime comunista fino al 1990, con un solo monastero vetrina rimasto. Ma dal 1990, la liberalizzazione delle religioni venuta con la democrazia ha permesso la rinascita del buddismo. Oggi esistono 15 partiti politici con un confronto molto vivace tra loro soprattutto sulle scelte economiche che orienteranno il futuro del Paese. Per decenni l’attività economica tradizionale si è basata su pastorizia e agricoltura che coprono ancora oggi il 20% del PIL. La Mongolia ha ampi giacimenti minerari, rame, carbone, molibdeno, stagno, tungsteno ed oro che realizzano un altro 20% del PIL. La popolazione di bestiame è molto alta, con punte fino a 36 milioni di animali da allevamento, soprattutto pecore e capre ma anche cammelli, cavalli e bovini.



La produzione relativa al bestiame, tra cui pelli, lana, carni ed altri derivati rappresenta l’88% della produzione agropecuaria. Tale enorme ricchezza è però minacciata dai fenomeni climatici naturali chiamati dzud, caratterizzati da siccità, forti venti, temperature bassissime e improvvise alluvioni che più volte hanno decimato il bestiame negli anni recenti. La crescita economica è ripartita dopo la stagnazione dell’epoca comunista grazie alle riforme che hanno messo al centro l’economia di libero mercato e la privatizzazione delle industrie di Stato. Ma rimane forte la dipendenza dalle importazioni ed esportazioni da e verso la Russia e la Cina: ad esempio l’80% dei prodotti petroliferi necessari al Paese vengono dalla Russia e vanno verso la Cina la maggior parte delle produzioni di economia sommersa, cioè quelle produzioni che sfuggono al controllo bancario e fiscale. Sono importanti le rimesse dai 4 milioni di cittadini mongoli che lavorano all’estero, legalmente e illegalmente, a volte collegate con varie forme di riciclaggio di denaro che stanno crescendo, approfittando della posizione geografica del Paese. L’ambiente naturale ha subito gravi danni come risultato della rapida urbanizzazione e delle politiche di sviluppo industriale sotto il regime comunista.

Ancora oggi le fabbriche e le case emettono troppi residui della combustione di carbone e l’aria è fortemente inquinata. Si sono verificati vari danni di deforestazione, a causa di pascoli troppo sfruttati, mentre gli sforzi per aumentare la produzione di grano e di fieno hanno peggiorato l’erosione naturale del suolo causata dal vento e dalla pioggia. È in atto una conversione verso la generazione e l’uso di energia pulita, come quella idroelettrica e solare, favorita dai 260 giorni di sole l’anno di cui gode il Paese e che gli dà il nome di cielo sempre azzurro. La gente mongola è molto attenta alle situazioni di grande disuguaglianza e vorrebbe una politica più trasparente e una più grande attenzione all’educazione degli adulti che permetterebbe una maggiore partecipazione responsabile di tutti alle scelte politiche. Ma se si considera l’ordine di grandezza delle trasformazioni sociali accadute negli ultimi vent’anni, si devono riconoscere i passi da gigante che i discendenti di Gengis Khan hanno fatto con orgoglio senza lasciarsi schiacciare dai due grandi paesi vicini.

La bandiera della Mongolia ha al centro una banda azzurra per ricordare il cielo sempre azzurro e due bande rosse per ricordare l’eccezionale capacità del popolo mongolo di vivere e crescere in condizioni molto difficili. Ci sono poi anche i simboli del fuoco, sole, Terra, acqua e il taijit, il simbolo Yin-Yang che rappresenta crisi ed opportunità. Poche altre nazioni espongono così chiaramente le loro speranze ed aspirazioni di sviluppo e di pace.

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