Come i padri del deserto

Pubblicato il 22-08-2020

di Flaminia Morandi

Quando mi chiedono: come ha capito la sua vocazione? Bè, grazie a Hitler. Si parla tanto di vocazione, come se fosse solo una scelta drastica, diceva padre Tomáš Špidlík, (foto) e non semplicemente accogliere quello che Dio dispone per noi attraverso gli eventi della vita, anche quelli che non sembrano per niente illuminati da una luce divina. Špidlík è nato cent’anni fa a Boskowice, in Moravia. Nel 1939 la sua terra era stata occupata dai nazisti, le università erano chiuse. Lui, che amava studiare, faceva lavori forzati per i tedeschi. Era stata triste, la sera di Natale. «Con il padre e la madre abbiamo mangiato un pezzo di pane dolce con il caffelatte, senza parole.

Ero riuscito a evitare il campo di concentramento nazista, ma la mia vita sembrava spezzata. Non c’era speranza per i miei studi universitari e per il futuro si intravedeva una sola possibilità: i lavori forzati fuori della patria.
Per non pensarci, ho passato i giorni successivi pattinando selvaggiamente.
L’ultimo giorno la mamma mi ha detto: “Vai in chiesa!”. Ho obbedito più per disperazione che per devozione. E quando il parroco ha invitato il popolo a cantare il Te Deum per ringraziare il Signore per i beni ricevuti durante l’anno, sono rimasto di stucco: avrei dovuto ringraziare Dio per ciò che mi era avvenuto? Dopo un’esitazione l’ho fatto...».

Passano le feste, viene a trovarlo un compagno di scuola. Gli dice che ha deciso di entrare nei gesuiti, perché solo loro avevano dei ginnasi dove avrebbe potuto studiare matematica. «Accompagnami a Velehrad, dov’è il collegio». 150 chilometri in bicicletta.
Tomáš aspetta fuori che finisca il colloquio dell’amico. Arriva mezzogiorno.
Gli si avvicina un padre alto coi capelli bianchi: lei è uno studente? Sì. È venuto qui con un amico? Sì.
Vuole andare a pranzo? Sì. Era pieno di fame, quel sì. Diventa gesuita. Quel sì dà seguito a una vita impressionante per gli studi, gli scritti, i riconoscimenti in campo accademico e internazionale.

È lui che ispira uno degli atti più ecumenici di Giovanni Paolo II, i mosaici della cappella Redemptoris Mater in Vaticano, simbolo dell’unione tra Oriente e Occidente, tra iconografia bizantina e arte occidentale, capolavoro di grande teologia. Predica gli esercizi spirituali in Curia nel 1995; nel 1999 papa Woytyjla lo crea cardinale; alla sua morte, il 16 aprile 2010, la salma viene benedetta in San Pietro da Benedetto XVI; è sepolto nel santuario di Velehrad, in Cekia. Padre Špidlík ha trasformato la teologia spirituale patristica e orientale, di cui è stato il più grande conoscitore al mondo, in una visione teologica vitale, profondamente incarnata nella vita reale.

Ha saputo comunicarla in modo semplice, diretto, pieno di spirito, con lo stile dei padri del deserto e degli starets orientali. Ha trasmesso gioia, amicizia, relazione: la vera teologia, quella che ha vissuto. Tutto è nato da un atto di obbedienza, da un sì pieno di fame, dalla lettura della propria storia con gli occhi di Dio. Che, se guardiamo bene, si serve anche del male. Persino di Hitler.

Flaminia Morandi
Gennaio 2020

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