8 - Si fa presto a dire pace

Pubblicato il 20-07-2010

di bruno


Si fa presto a dire pace


Si fa presto a dire pace, senza credere veramente che sia un diritto fondamentale per ogni persona e per tutti i popoli. La pace conviene a tutti perché porta vita; la guerra - al di là delle apparenze - porta morte.
Millenni di storia dimostrano che i morti, la distruzione delle risorse e della natura, l'odio e il rancore generati dalle guerre provocano altri morti, altra distruzione, altri odi, altri rancori, altre guerre, in una spirale senza fine.
Ecco perché anche in momenti difficili, come questo che stiamo vivendo, i giovani rifiutano il ricorso alle armi. Non vogliono rassegnarsi all'ingiustizia, causa di tanti conflitti, ma sentono di dover ripetere con convinzione che la pace è la sola via che l'umanità può percorrere.

La pace è possibile se chi la vuole si impegna in pratiche individuali e collettive. Prima di tutto chiede che le armi non vengano più costruite, perché uccidono quattro volte. Una prima nel momento in cui sono costruite e comprate, perché sottraggono risorse alla sanità, all'istruzione, allo sviluppo. Una seconda perché impegnano a progettare strumenti di morte sempre più raffinati tante intelligenze che potrebbero dedicarsi allo studio di nuovi modi di coltivare la terra, di nuovi farmaci, di nuove fonti di energia. Una terza volta perché usandole uccidono. Un'ultima volta perché preparano già la vendetta degli sconfitti.
Un'eccezione, l'unica, dovrebbe permettere all'Onu il mantenimento di un esercito con compiti di polizia internazionale, che le dia credibilità politica e militare per prevenire e fermare le guerre.
Ma non costruire più armi non basta. La pace non si improvvisa, va preparata formando le coscienze e ricercando una metodologia che investa le persone, le società, l'economia, le politiche dei governi e delle istituzioni internazionali.

- Non semplificare. Le relazioni fra i popoli, fra le componenti delle società sono così complesse e in rapida trasformazione che le spiegazioni semplificate, le letture unilaterali e l'ignoranza nell'affrontarle possono indurre ad una errata valutazione dei problemi. Non semplificare significa dunque approfondire, studiare, ricercare soluzioni appropriate e durevoli.

- Praticare il dialogo, sempre e comunque, ad oltranza, senza lasciarsi scoraggiare dai fallimenti, ricominciando da capo se occorre. Anzitutto mettersi in ascolto delle motivazioni, delle esigenze, dei diversi valori, dei modi di vivere l'etica. Ascoltare senza piegare nessuno al proprio punto di vista o interesse, con l'intento di ricercare il bene comune.

- Inventare strategie di pace, mettendo in campo energie umane ed economiche che disarmino le tensioni sociali legate alla povertà, alla mancanza di lavoro, di cure, di istruzione, di dignità, di diritti, ad un'economia globale senza etica, all'uso improprio delle risorse naturali.

- Scegliere la bontà, non solo personalmente, ma come costume politico e sociale: la bontà - non il buonismo - è la novità per il nostro tempo; persone buone, buoni ebrei, buoni cristiani, buoni musulmani, buoni credenti e non credenti possono incontrarsi e far avanzare la pace. La bontà è la chiave per forgiare un futuro senza fanatismi, fondamentalismi, totalitarismi. La bontà accetta la fatica quotidiana del mettersi nei panni degli altri.

- Perdonare. Non si può essere buoni se si ha rancore nel cuore. Solo il perdono rende liberi, capaci di restituire e di condividere. I Giovani della Pace vogliono cominciare a diffondere la cultura del perdono chiedendolo essi stessi per primi. Perdono per le vittime della fame, della malattia, della guerra, dell'egoismo e dell'avidità. Un mondo nuovo non può nascere che da una domanda di perdono che è alla base della riconciliazione e della concordia fra i popoli, le razze, le culture e le religioni.

La guerra ha eserciti sempre pronti, la pace ha solo noi. Non disperdiamo queste risorse! Non possiamo più far finta di cambiare in superficie, senza che nulla cambi in profondità.
Nel passare dal "dire" pace al costruirla il primo passo tocca agli adulti. Tocca a loro cambiare se vogliono davvero fare pace e camminare con i giovani.





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