A lezione di educazione sessuale

Pubblicato il 31-08-2009

di Aldo Maria Valli


A me e a mia moglie è stato chiesto di parlare di sesso davanti a studenti delle scuole medie, dall’alto della nostra esperienza in materia (sei figli): abbiamo accettato e, tutto sommato, è andata bene…
di Aldo Maria Valli


      
     
  

Il mio parroco è una persona tanto buona e cara,
ma ogni tanto si fa venire in mente idee alquanto strane. E mostra, ahimè, una spiccata tendenza a coinvolgermi.
Tra le ultime sue iniziative, c'è stato un corso di educazione sessuale, da realizzare nell'ora di religione, per i ragazzi di terza media del quartiere. Lodevole impresa, ma, dico io, che bisogna c'era di chiamare in causa mia moglie e il sottoscritto come relatori?
 
 
Purtroppo, il mio parroco, utilizzando una tecnica tutta sua,
quando avanza certe proposte sa essere sempre alquanto convincente: "Avete sei figli, due sono adolescenti, la vostra è un'esperienza unica, sono convinto che potete raccontare un sacco di cose utili. Vi chiedo una cosa sola: evitate i voli pindarici. Restate terra terra. Con questi ragazzi c'è un problema, diciamo così, di comunicazione".
Di conseguenza, pur essendo convinti di avere poco da dire e ancor meno da insegnare, e pur provando un certo imbarazzo all'idea di parlare a una schiera di tredicenni presumibilmente poco interessati, abbiamo accettato l'incarico.

In una bella mattina di primavera inoltrata ci siamo quindi trovati nella classe terza C della scuola media statale a poca distanza da casa nostra, davanti a una ventina di preadolescenti dall'aria un po' assonnata. Non so bene perché, ma in queste occasioni tocca sempre a me rompere il ghiaccio. Guardando quelle facce poco convinte, ho pensato subito di rinunciare a ogni discorso campato per aria. "Concretezza, molta concretezza", mi sono raccomandato ricordando le parole del parroco, "altrimenti questi o scappano o ci cacciano". Ne è venuto fuori un discorsetto che è, più o meno, il seguente.
 
 
Cari ragazzi, vi sembrerà strano, ma venendo qui da voi questa mattina
ho pensato ai corridori impegnati nel Giro d'Italia di ciclismo. Come sapete, mezzo Giro è sotto inchiesta per doping. I concorrenti, spinti dal desiderio di primeggiare a ogni costo, hanno utilizzato sostanze proibite, e adesso ne pagano le conseguenze, dal punto di vista penale oltre che sanitario. Ho l'impressione che noi tutti, nel mondo in cui viviamo, nei confronti del sesso siamo chiamati a comportarci come i ciclisti del Giro d'Italia.

 
 


Viviamo immersi in una cultura e in una mentalità che, soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, ci impone continuamente di essere prestanti, di curare il nostro aspetto fisico, di coltivare la bellezza esteriore, di migliorare le nostre prestazioni. Non a caso, proprio come i ciclisti ricorrono al doping, chi vuole fare sesso "alla grande" ricorre a medicinali, quali il famoso Viagra. Tutta l'attenzione è puntata sulla quantità, molto meno sulla qualità dei rapporti. In questo modo, le persone che avviciniamo diventano semplici strumenti da utilizzare per accrescere il piacere, per ottenere prestazioni sempre più da record, per aggiungere continuamente nuove esperienze a quelle già fatte. Ma alla fine che cosa rimane? Proprio come nel caso dei ciclisti dopati, ci resta in mano un pugno di mosche. Rapporti consumati in fretta, nessun sentimento vero, storie da mettere in archivio, ma niente felicità. Quella felicità che posso raggiungere soltanto se io mi considero non una macchina in cerca di prestazioni, ma una persona capace di fare dono di sé.

A questo punto, temendo di incominciare a slittare pericolosamente verso l'astratto, ho ceduto la parola a mia moglie. La quale ha continuato il discorsetto più o meno così.
Cari i miei ragazzi, avete presente un fischietto? Gran bel strumento, non vi pare? Ha un suono acuto, divertente. Però ha un difetto ineliminabile: con un fischietto potete produrre una nota sola. Lunga, corta, più o meno squillante, ma una è e tale resta. Ho l'impressione che alcuni adolescenti si comportino proprio come fischietti. Per esempio, certe ragazze che pensano soltanto al loro aspetto esteriore, a quali abiti indossare e quale pettinatura sfoggiare, sono come altrettanti fischietti che lanciano un richiamo. Potrà essere anche potente, ma è ripetitivo, alla fine stanca e non porta da nessuna parte.

Volete mettere, invece, la ricchezza di uno strumento come il pianoforte, o come l'organo? Pensate a quante melodie si possono produrre con le sette note, a quali composizioni possono uscire dalle diverse combinazioni. Una vera magia, una ricchezza infinita. Ecco, noi tutti siamo come strumenti musicali di incredibile ricchezza, ma purtroppo spesso ci accontentiamo di suonare, e di essere suonati, come semplici fischietti. Puntiamo tutto su una minigonna, su un bel paio di gambe, su muscoli ben disegnati, su un sedere più o meno sodo, e facciamo magari duri sacrifici per migliorare il nostro aspetto, dimenticando tutte le altre note che abbiamo a disposizione, come la fedeltà, l'abnegazione, il dono di sé.

 
 
A questo punto anche mia moglie - l'ho capito dal suo sguardo -
ha temuto di scivolare nel teorico. Sicché ho pensato di trarla d'impiccio portando tutti quei ragazzi dentro casa nostra. In senso metaforico, ovviamente. Pertanto ho continuato così.
Voi vi chiederete adesso come facciamo noi due a parlare di queste cose con i nostri figli. È evidente che in famiglia non facciamo, e non abbiamo mai fatto, lezioni di educazione sessuale. Semplicemente perché tutta la giornata e tutti i nostri comportamenti costituiscono anche, fra le altre cose, lezioni permanenti di educazione sessuale. Prima di tutto attraverso il rispetto che papà e mamma hanno l'uno nei confronti dell'altra, nei confronti dei figli e, dunque, di se stessi. Il rispetto si può ottenere e misurare in tanti modi. Il più immediato ed evidente è forse il linguaggio. Il modo in cui ci si parla è importante. E lo è anche per quanto riguarda il rapporto con il corpo.
 
 
Ai nostri bambini, per esempio, fin da quando erano piccolissimi, abbiamo insegnato che gli organi genitali maschili e femminili hanno un nome ben preciso e vanno indicati con quello, non con altri. Ci sembra inaccettabile che gli organi della riproduzione, così importanti e preziosi, siano ridotti a stupidi vezzeggiativi oppure trasformati in parolacce. Perché non li indichiamo con il loro nome appropriato? Non è per caso che ne abbiamo paura? In materia di sesso facciamo tanto gli spavaldi, ci vantiamo delle nostre conquiste, ma in realtà non abbiamo neanche il coraggio di usare parole come pene e vagina. Evidentemente c'è qualcosa che non funziona.
Qui mia moglie, temendo che il mio tono incominciasse a sbandare verso la predica, ha ripreso in mano il timone e ha chiuso così.

Cari ragazzi, gli organi della riproduzione sono da valorizzare, anche attraverso le parole, perché è da lì che siamo nati, è da lì che viene la vita, è lì che si manifesta il miracolo di ogni esistenza. Se li riduciamo a pargolette o parolacce, non facciamo altro che sminuire noi stessi. E invece ciascuno di noi è importante, è un dono, un regalo unico e preziosissimo, e la sessualità è appunto il modo in cui noi, maschi e femmine, possiamo manifestare questa ricchezza infinita, di cui dobbiamo essere consapevoli e che ci deve dare felicità.

La classe è rimasta in silenzio, in ascolto dall'inizio alla fine, senza che si sentisse volare una mosca. La scena, identica, si è poi ripetuta in altre due classi terze. Anche lì ho tirato in ballo il Giro d'Italia e mia moglie il fischietto. E anche lì ragazzi e ragazze ci hanno ascoltato dall'inizio alla fine, con un'attenzione che ha stupito moltissimo sia l'insegnante di religione sia il nostro parroco. Il quale, alla fine, ci ha rivelato che in quelle stesse classi, soltanto pochi giorni prima, due psicologi chiamati a intervenire su analoghi argomenti erano stati costretti ad abbandonare le aule a causa degli schiamazzi e del disinteresse generale. "Perché avevano parlato da esperti. Tutta teoria, niente vita vissuta".
Per una volta, genitori battono esperti uno a zero. Il problema è che, salutandoci, il nostro parroco ci ha detto con un sorriso: "Non pensiate che sia finita qui. C'è così tanto da fare".

Aldo Maria Valli





Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok