Africa

Pubblicato il 26-07-2020

di Paolo Lambruschi

L’africa cambierà certamente dopo la pandemia. Da quello che si può vedere e prevedere finora non sarà un futuro roseo, però si possono cogliere alcune opportunità per una trasformazione radicale. Negli ultimi giorni di aprile in questa terra sorella d’Europa e d’Italia le vittime del virus sono state contenute. Ma sappiamo che, per la fragilità dei sistemi sanitari pubblici, una pandemia potrebbe causare tre milioni di morti secondo i calcoli dell’OMS. Manca infatti quasi tutto sotto il versante sanitario: ospedali, medici, laboratori e strumenti per la diagnostica. Questa impossibilità di sapere chi è ammalato, insieme all’età media molto bassa (in Africa non sono molti a invecchiare) e probabilmente al clima caldo spiega il numero basso di vittime.

Questa situazione non è solo frutto di povertà e sottosviluppo, ma anche di corruzione che affligge il sistema sanitario, di rapina dei migliori giovani cervelli che dopo gli studi specialistici in occidente non tornano a casa a curare i propri concittadini per i bassi salari e la mancanza di strutture.

Altro ostacolo che pare insormontabile è la prevenzione soprattutto nelle baraccopoli sovraffollate e prive di acqua potabile. Se il sovraffollamento è un fenomeno epocale delle grandi città si può invece contrastare la mancanza di acqua potabile aiutando l’accesso delle persone per migliorare l’igiene e curare così molte malattie oltre al Covid. Forse il distanziamento sociale è un privilegio nelle capanne e nelle baracche e nei mercati. Ma l’acqua potabile no, è un diritto.

Catastrofiche sono purtroppo le previsioni delle grandi istituzioni finanziarie internazionali dopo due decenni di relativo sviluppo. Da febbraio l’area subsahariana sta registrando una continua fuga di capitali. Le ripercussioni attraversano ogni settore, inclusi quelli di servizi come turismo e linee aeree. E il contagio economico che viene dal’Ue include il prevedibile calo nel- le rimesse dei migranti, mediamente pari al 2,5%-3% dell’intera economia africana ma con un peso anche molto superiore per alcuni Paesi.

Gli Stati africani non hanno le risorse finanziare né la capacità infrastrutturale o le risorse umane per contrastare gli effetti economici e sociali della pandemia come stanno facendo i Paesi europei. I Paesi più ricchi del G20 hanno accordato ai più poveri la sospensione dei pagamenti del debito bilaterale almeno fino a fine anno. Ma le istituzioni internazionali che concedono la cancellazione del debito così che gli Stati possano usare quei miliardi per fronteggiare la pandemia, poi mandano soldi a pioggia, che spariscono per la corruzione e continuano a creare dipendenza. C’è poi l’emergenza fame da fronteggiare perché probabilmente 250 milioni di persone non potranno sfamarsi con i raccolti falcidiati dai cambiamenti climatici, dallo sciame record di locuste e ora dal problema del lock down. Avremo davanti altre ondate migratorie con tragedie, morti, sfruttamento e muri in Europa. Ma il quadro drammatico offre anche l’occasione all’Africa per ripensare il proprio futuro non più con una competizione tra Stati ma in modo unitario.

È la grande lezione della pandemia. Ci sono state anche buone pratiche da parte della popolazione. Nei campi profughi del Tigrai. In Etiopia come in tantissimi Paesi si sono moltiplicate ad esempio iniziative solidali per fabbricare mascherine, distribuire sapone, creare fontane nelle strade per lavarsi le mani, sensibilizzare la popolazione alle buone pratiche di igiene, distribuzione di kit alimentari. In Kenya due giovani usando pezzi di auto hanno costruito un ventilatore polmonare. Solo un’Africa politicamente più compatta e solidale può rinegoziare le alleanze con la Cina e con l’Europa. E può vincere le grandi sfide dello sviluppo sostenibile, della sanità pubblica, della malnutrizione e dell’accesso all’acqua. Per la corruzione ci vorrà più tempo e una alleanza con le società civili europee. Ma questo percorso sembra inevitabile.

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