Artisti in controluce – Jeff Buckley

Pubblicato il 14-09-2011

di gianni


Nel mondo della musica si possono riconoscere tre tipologie fondamentali di persone:
gli strumentisti, i musicisti, gli artisti…

... di Gianni Giletti

 

Nel mondo della musica si possono riconoscere tre tipologie fondamentali di persone:
gli strumentisti ovvero coloro che sanno tutto del loro strumento e del cui uso ne hanno fatto un’arte; i musicisti, i quali , a prescindere dalla loro capacità strumentale, “pensano” la musica prima di farla e quando la eseguono con il loro strumento o con altri strumentisti, suonano come fossero un’orchestra.
La terza categoria sono gli artisti ovvero coloro che soffrono tutto quanto detto prima e ne fanno una questione esistenziale. Generalmente la sofferenza deriva dall’incomprensione degli altri nei riguardi della propria arte oppure per vicende di vita vissuta non proprio felici ma tant’e’ , la sofferenza – almeno a mio parere – separa gli artisti dal resto del mondo musicale.

Jeff Buckley è stato sicuramente un’artista: a partire dall’infanzia, nella quale non ha praticamente conosciuto il padre Tim, grande voce nella scena rock degli anni 60 e morto di overdose nel 1975, per finire in una morte assurda dovuta ad annegamento nel Mississipi il 29 maggio 1997.
Tra questi due eventi, la sua vita artistica comincia da una dura gavetta nei locali di mezza America per arrivare al successo praticamente con un disco solo.
Parliamo di “Grace”, pubblicato nel 1994 che pur, non vendendo milioni di copie, fa di Jeff un artista di culto.
Il disco è un controsenso gia’ prima di ascoltarlo: solo tre pezzi sono suoi, tre sono cover di grandi artisti (tra cui Van Morrison e Cohen) gli altri sono scritti a piu’ mani con i componenti della band.
Inoltre furono necessari un anno di tempo e un milione di dollari di spesa per produrlo in quanto Jeff era molto incerto sulla direzione da prendere e faceva e disfaceva continuamente, cambiando testi e canzoni da un giorno all’altro tanto che la sua casa discografica pensava di desistere.
Proprio quando sembrava che fosse finita, un altro dolore – la morte della madre dell’ex moglie – gli rende l’energia e la determinazione per concludere e sfornare questo disco, l’unico che gli renda davvero giustizia.
Cio’ che rende unico Jeff è l’intensità della sua voce, che parte pianissimo ma poi prende coraggio e finisce spesso per urlare, mescolando dolcezza e violenza su un tessuto musicale che spesso mette in evidenza gli arpeggi della chitarra elettrica, ma che quando la voce esplode la accompagna con tutta la potenza che il rock puo’ esprimere.
E’ un disco umorale, notturno, emotivo al massimo, sembra di vedere - piu’ che ascoltare - le proprie emozioni farsi immagini.
Un brano su tutti è la straordinaria cover di Leonard Cohen “Hallelujah”, dove solo con la chitarrina elettrica Jeff fa venire davvero i brividi.
Quel disco lo fece conoscere in tutto il mondo e mentre stava registrando il secondo (My sweetheart the drunk, uscira’ postumo e monco) purtroppo la sua vita finì come detto sulle sponde del Mississipi.
Resta per fortuna la sua arte, tutta concentrata in queso disco, che non si fa dimenticare.
Gianni Giletti

 

 

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