Caro amico

Pubblicato il 26-02-2012

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Da un punto di vista umano, una storia come la nostra potremmo reggerla solo se avessimo delle sicurezze dal mondo, se avessimo centinaia e centinaia di funzionari che notte e giorno lavorano per noi. Invece, il Signore ci chiede di non puntare mai su ricchezze umane, di non diventare fenomeni televisivi, ma solo e sempre di essere suoi, di restare piccoli facendo quello che vuole lui. Ci chiede di tenerlo nel respiro, nella mente, nel cuore. Abita con noi, si fida di noi. Permette che siamo provati per farci capire, amando, chi è in difficoltà. La mia speranza è che ci trovi sempre suoi, buoni, fedeli e stupiti. La bontà è frutto della sapienza, è la scelta intima di piacere a Dio in tutto. Ed è il cammino duro, pieno di lacrime per essere felici di far felici gli altri. L’uomo che si allontana dall’uomo si allontana anche da Dio. La chiave è nella parola di Gesù: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Lc 18,3). Se ritorneremo bambini, avremo un dono particolare.

Il Sermig sarà formato da cuori e anime bambine, gli Arsenali saranno abitati dall’innocenza, da persone capaci di farsi vicini tra di loro e di avvicinare tutti. Dio si schiera dalla parte dei bambini e di chi si fa bambino e ne diventa il vero custode, l’unica protezione. Cari amici, conosco l’angoscia, l’essere tradito, il non dormire di notte. Conosco tutto questo che anche voi spesso vivete. Eppure, malgrado noi stessi, con il Signore possiamo fare cose grandi che stupiranno il mondo. Non per meravigliare – non è questo il nostro obiettivo – ma semplicemente perché il Signore opera così. Noi non stiamo vivendo una battaglia per dimostrare al mondo che valiamo, cerchiamo di impegnarci a fondo sul progetto che Dio ha per noi.

Mi ritorna in mente una frase accompagnata da un sorriso e un abbraccio di padre Michele Pellegrino, che già allora, negli anni ’70, mi diceva, ed era un preannuncio di quello che ci è capitato, “Fatelo, così la gente vedendo ringrazierà Dio”. I dolori e le angosce li conosco, stanno con me, ma la speranza emerge sempre, irrefrenabile. La rabbia, la delusione le conosco, ma nonostante tutto, l’ultima parola è sempre una Parola pacata che mi esce da dentro: “Non temere, Ernesto. Io non ti abbandono!”.

E questo vale per ognuno. Fedeltà, stupore, ubbidienza, abbandono: non lasciamoci assolutamente prendere dallo scoraggiamento che pure c’è e bussa continuamente alla nostra porta, ma in noi prevalga sempre il pensiero che fonda la nostra certezza: siamo di Dio, Dio è con noi, ci ama perdutamente, conta su di noi per il suo regno. Lui conosce le migliaia di nostre notti insonni, conosce tutti i tremori delle nostre ossa ed è con noi. Quanta fedeltà ha trovato fino ad ora in noi! Facciamoci coraggio e continuiamo a vivere la speranza cui siamo chiamati. Stiamo vivendo una storia che non è nostra, non ci appartiene e nemmeno vogliamo correre il rischio di appropriarcene. Chi si abbandona veramente a Dio, Dio non lo abbandona, lo arricchisce di doni particolari in base alla generosità che trova. Soprattutto, il dono della paternità e della maternità, ciò di cui abbiamo più bisogno nel nostro vivere in famiglia, in fraternità, in un mondo senza certezze e senza amore.

 

 

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