CATTOLICI E POLITICA (1/5)
Pubblicato il 31-08-2009
Con oggi inizia una breve storia -suddivisa in cinque articoli- della presenza politica cattolica in Italia, dal conseguimento dell'unità nazionale fino alla fine della seconda guerra mondiale.
L'inesorabile scorrere del tempo fa apparire obsoleti scenari che fino all'altro ieri sembravano immodificabili: al punto che oggi risulta difficile per chi ha vent'anni o giù di lì immaginarsi un'epoca caratterizzata dall'esistenza in Italia di un partito che costituiva non solo il naturale punto di riferimento per i cattolici di qualsiasi tendenza, ma anche il perno inamovibile di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese, dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1994. Per non parlare di un'epoca più remota, quando il naturale progenitore di tale partito aveva alla propria guida un sacerdote (!), o di una ancora precedente segnata dal fatto che ai cattolici mancava una qualsiasi rappresentanza in parlamento, o addirittura veniva loro espressamente vietato di partecipare alla vita politica del Paese. Eppure mantenere viva la memoria storica è importante, specialmente nel contesto di un'epoca come la nostra, segnata dall'essere una specie di tritatutto autoreferenziale che non favorisce certo le analisi in profondità, mirate a capire chi siamo e da dove proveniamo. |
![]() Fu anche il compimento del Risorgimento, con il conseguimento dell'unità nazionale. Il papa Pio IX reagì duramente, rifiutandosi di riconoscere il Regno d'Italia e proibendo formalmente ai cattolici italiani di partecipare in qualsiasi modo alla vita politica del Paese (con la bolla Non Expedit, promulgata di lì a poco). Questo duro scontro non deve sorprendere: fu la logica conclusione di un processo iniziato una settantina di anni prima con le repubbliche napoleoniche istituite in Italia, proseguite con i moti carbonari e mazziniani che precedettero il 1848 e portato a conclusione con le guerre di annessione condotte da casa Savoia. Il risorgimento fu tutt'altro che quel moto spontaneo e di piazza che un tempo si studiava sui banchi delle elementari e delle medie: al contrario, fu veicolato da una classe politica ed intellettuale sicuramente minoritaria radicata nell'illuminismo, di stampo liberal-massonico e, salvo eccezioni, nettamente anticlericale. |
Quando oggi leggiamo di "espressa interdizione ai cattolici di partecipazione attiva alla vita politica" abbiamo negli occhi la situazione del nostro tempo e rimaniamo sbigottiti: in realtà, va tenuto conto che non stiamo parlando di un contesto sociopolitico paragonabile all'attuale. I partecipanti alla vita politica, quindi aventi diritto al voto, erano un'esigua minoranza rispetto al totale della popolazione, accuratamente filtrata in base a rigorosi criteri di età, di istruzione, di sesso (le donne non avrebbero votato in Italia fino al 1946) e di censo. In sintesi possiamo dire che solo i maschi adulti benestanti e dotati di cultura medio-alta avevano diritto di voto: non sorprende quindi che il parlamento italiano, nel 1870 e dintorni, fosse diretta espressione della classe liberale che aveva innescato e condotto a termine il processo di unità nazionale; le masse popolari contadine largamente diffuse da nord a sud e la nascente classe operaia legata all'espansione industriale del nord, in gran parte analfabete, erano escluse. Parliamo comunque di una situazione in rapida evoluzione: con la crescita industriale ed il graduale miglioramento delle condizioni di vita lo Stato liberale prodotto dal risorgimento si dimostrò progressivamente sempre meno in grado di rappresentare un contesto sociale quanto mai variegato ed eterogeneo. Il ceto contadino, in massima parte cattolico (importante l’organizzazione delle leghe bianche a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo), e il ceto operaio, a forte componente social-comunista, premevano per "contare" politicamente. Nel tentativo di far fronte alla crescente domanda di partecipazione attiva alla vita della nazione, il governo liberale di Giovanni Giolitti (che governò quasi ininterrottamente dal 1903 al 1914) aveva nel frattempo nel 1912 esteso il suffragio a tutti i maschi adulti. |
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![]() A tale formazione facevano capo gli esponenti nel nazionalismo, che infestò un po' tutte le nazioni europee nella prima metà del XX secolo, un buon numero di ex combattenti, le classi intellettuali più influenzate dal tardo romanticismo decadente e da certo espressionismo neopaganizzante, oltre a molti capitalisti del nord e ai tradizionali "capibastone" del centro-sud: gli stessi che se 50 anni prima avevano approvato la costituzione di uno Stato nazionale che non minacciasse lo status quo e le loro tradizionali roccaforti di potere (qualcuno ricorderà la famosa frase del protagonista del Gattopardo: "Ogni tanto bisogna pur cambiare tutto, per avere la certezza che non cambi niente"), adesso certo non potevano rimanere indifferenti di fronte a una possibile rivoluzione comunista e al conseguente stravolgimento generale. I fascisti costituivano comunque una minoranza, per quanto rumorosa: ma finirono per conquistarsi il favore del ceto medio, per i motivi che abbiamo esposto e che appaiono comprensibili solo con uno sforzo di immedesimazione nel contesto socioculturale di 90 anni fa. |
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Il partito popolare da lui fondato fu immediatamente epurato da tutti gli elementi antifascisti e ridotto a sterile costola del governo varato da Mussolini, salutato dai più come "uomo della provvidenza". Gli anni a venire avrebbero inesorabilmente dimostrato di quale terribile abbaglio si trattò, mano a mano che il Paese andava sempre più sprofondando nella deriva totalitaria: prima lo smantellamento sistematico di ogni parvenza di opposizione politica e di istituzione democratica, poi il progressivo isolamento internazionale conseguente alla politica aggressiva del duce (con l'annessione dell'Etiopia prima e dell'Albania poi), infine l'alleanza con la Germania nazista, la promulgazione delle leggi razziali con conseguente discriminazione e persecuzione degli ebrei e l'aggressione alla Francia - già agonizzante - e all'Inghilterra che portò il Paese in guerra al fianco di Hitler, con le orribili conseguenze e le immani tragedie che ne seguirono. |
Onestà storica vuole che si riconosca che spesso è facile applicare giudizi "col senno di poi"; don Sturzo fu tra i pochi capaci di esprimere un giudizio politico esatto a priori, e pagò di persona per questo. Molti cattolici, inclusi importanti esponenti della gerarchia, scelsero l'abbraccio mortale con Mussolini sposando la logica del "minore dei mali" (come vedremo, non per l'ultima volta): nel corso dei 20 anni successivi avrebbero avuto tutto il tempo necessario a pentirsene amaramente. Alessandro Moroni |
Cattolici e politica 2/5 |