CATTOLICI E POLITICA (1/5)

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni

Con oggi inizia una breve storia -suddivisa in cinque articoli- della presenza politica cattolica in Italia, dal conseguimento dell'unità nazionale fino alla fine della seconda guerra mondiale.

di Alessandro Moroni
L'inesorabile scorrere del tempo fa apparire obsoleti scenari che fino all'altro ieri sembravano immodificabili: al punto che oggi risulta difficile per chi ha vent'anni o giù di lì immaginarsi un'epoca caratterizzata dall'esistenza in Italia di un partito che costituiva non solo il naturale punto di riferimento per i cattolici di qualsiasi tendenza, ma anche il perno inamovibile di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese, dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1994. Per non parlare di un'epoca più remota, quando il naturale progenitore di tale partito aveva alla propria guida un sacerdote (!), o di una ancora precedente segnata dal fatto che ai cattolici mancava una qualsiasi rappresentanza in parlamento, o addirittura veniva loro espressamente vietato di partecipare alla vita politica del Paese.
Eppure mantenere viva la memoria storica è importante, specialmente nel contesto di un'epoca come la nostra, segnata dall'essere una specie di tritatutto autoreferenziale che non favorisce certo le analisi in profondità, mirate a capire chi siamo e da dove proveniamo.
Papa Pio IXBisogna incominciare proprio dalla nascita dello Stato unitario e con l'annessione dello Stato pontificio operata dal Regno d'Italia nel 1870, evento di importanza capitale che determinò la fine del Potere Temporale dei Papi.
Fu anche il compimento del Risorgimento, con il conseguimento dell'unità nazionale. Il papa Pio IX reagì duramente, rifiutandosi di riconoscere il Regno d'Italia e proibendo formalmente ai cattolici italiani di partecipare in qualsiasi modo alla vita politica del Paese (con la bolla Non Expedit, promulgata di lì a poco).
Questo duro scontro non deve sorprendere: fu la logica conclusione di un processo iniziato una settantina di anni prima con le repubbliche napoleoniche istituite in Italia, proseguite con i moti carbonari e mazziniani che precedettero il 1848 e portato a conclusione con le guerre di annessione condotte da casa Savoia.
Il risorgimento fu tutt'altro che quel moto spontaneo e di piazza che un tempo si studiava sui banchi delle elementari e delle medie: al contrario, fu veicolato da una classe politica ed intellettuale sicuramente minoritaria radicata nell'illuminismo, di stampo liberal-massonico e, salvo eccezioni, nettamente anticlericale.
Quando oggi leggiamo di "espressa interdizione ai cattolici di partecipazione attiva alla vita politica" abbiamo negli occhi la situazione del nostro tempo e rimaniamo sbigottiti: in realtà, va tenuto conto che non stiamo parlando di un contesto sociopolitico paragonabile all'attuale. I partecipanti alla vita politica, quindi aventi diritto al voto, erano un'esigua minoranza rispetto al totale della popolazione, accuratamente filtrata in base a rigorosi criteri di età, di istruzione, di sesso (le donne non avrebbero votato in Italia fino al 1946) e di censo. In sintesi possiamo dire che solo i maschi adulti benestanti e dotati di cultura medio-alta avevano diritto di voto: non sorprende quindi che il parlamento italiano, nel 1870 e dintorni, fosse diretta espressione della classe liberale che aveva innescato e condotto a termine il processo di unità nazionale; le masse popolari contadine largamente diffuse da nord a sud e la nascente classe operaia legata all'espansione industriale del nord, in gran parte analfabete, erano escluse.
Parliamo comunque di una situazione in rapida evoluzione: con la crescita industriale ed il graduale miglioramento delle condizioni di vita lo Stato liberale prodotto dal risorgimento si dimostrò progressivamente sempre meno in grado di rappresentare un contesto sociale quanto mai variegato ed eterogeneo. Il ceto contadino, in massima parte cattolico (importante l’organizzazione delle leghe bianche a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo), e il ceto operaio, a forte componente social-comunista, premevano per "contare" politicamente.
Nel tentativo di far fronte alla crescente domanda di partecipazione attiva alla vita della nazione, il governo liberale di Giovanni Giolitti (che governò quasi ininterrottamente dal 1903 al 1914) aveva nel frattempo nel 1912 esteso il suffragio a tutti i maschi adulti.
Filippo TuratiNuovi soggetti si affacciavano prepotentemente alla ribalta: il partito socialista, fondato nel 1895, che aveva come figura preminente Filippo Turati; il partito comunista di Gramsci e Bordiga, nato nel 1921; e il partito popolare italiano, fondato nel 1919 da don Sturzo. Quest'ultimo partito aveva un ovvio fondamento cattolico, moderato e - diremmo oggi - centrista. Va sottolineato come la sua nascita sia associabile molto più a un'esigenza spontanea che non a una direttiva calata dall'alto: infatti le gerarchie ecclesiastiche rimarranno sempre "alla finestra" nei confronti del nascente movimento di don Sturzo, anche e soprattutto di fronte ai drammatici sviluppi che avrebbero sconvolto il Paese di lì a poco. L'occasione per il precipitare degli eventi fu lo scoppio della prima guerra mondiale, che portò nelle famiglie italiane lutti e sofferenze senza precedenti. Un'intera generazione di reduci smobilitati fu causa e al tempo stesso strumento di disordini sociali sconosciuti fin dai tempi di Mazzini e Garibaldi. Nel corso del "biennio rosso" (1919-1920) un'ondata progressiva di scioperi ed agitazioni fomentati dall'ala massimalista del partito socialista e dal neonato partito comunista portò al tracollo le fragili istituzioni democratiche dello Stato liberale.
Antonio GramsciInfatti, alla ribellione operaistica subentrò la reazione della piccola, media e grande borghesia, che in quel momento di estrema confusione si aggrappò all'unica realtà che sembrava avere gli strumenti per opporsi al concreto pericolo di una rivoluzione bolscevica sulle orme di quella già avvenuta in Russia nel 1917: il neocostituitosi partito nazionale fascista dell'ex esponente socialista Benito Mussolini.
A tale formazione facevano capo gli esponenti nel nazionalismo, che infestò un po' tutte le nazioni europee nella prima metà del XX secolo, un buon numero di ex combattenti, le classi intellettuali più influenzate dal tardo romanticismo decadente e da certo espressionismo neopaganizzante, oltre a molti capitalisti del nord e ai tradizionali "capibastone" del centro-sud: gli stessi che se 50 anni prima avevano approvato la costituzione di uno Stato nazionale che non minacciasse lo status quo e le loro tradizionali roccaforti di potere (qualcuno ricorderà la famosa frase del protagonista del Gattopardo: "Ogni tanto bisogna pur cambiare tutto, per avere la certezza che non cambi niente"), adesso certo non potevano rimanere indifferenti di fronte a una possibile rivoluzione comunista e al conseguente stravolgimento generale.
I fascisti costituivano comunque una minoranza, per quanto rumorosa: ma finirono per conquistarsi il favore del ceto medio, per i motivi che abbiamo esposto e che appaiono comprensibili solo con uno sforzo di immedesimazione nel contesto socioculturale di 90 anni fa.

Don SturzoDon Sturzo, dotato di un intuito politico ragguardevole, fu tra i primi a cogliere al volo i pericoli eversivi che si nascondevano dietro a "patria, onore, meglio un giorno da leone che 100 da pecora" e ai molti altri slogan di facile effetto sbandierati ai quattro venti da Mussolini ed accoliti: ragion per cui, fu tra i pochi moderati ad opporsi strenuamente al fascismo. In tempi recenti abbiamo assistito al tentativo, da parte di molti politici, intellettuali e storici a vario titolo, di accaparrarsi la figura di don Sturzo, prete liberale per alcuni e cattocomunista per altri, sempre in base al solito maledetto tentativo di applicare ad altre epoche etichette e categorie mutuate dal nostro milieu culturale. In realtà, il sacerdote di Caltagirone fu sempre e solo essenzialmente un prete cattolico: certamente anticomunista (oltre che molto polemico nei confronti del centralismo statalista, come ampiamente documentato dalle lotte sostenute nel dopoguerra a fianco di Einaudi contro Mattei e la sinistra DC), ma altrettanto fervente antifascista; cioè, perfettamente in linea con ciò che da un sacerdote cattolico è giusto aspettarsi. In questo senso va vista l'apertura di credito che concesse, nel 1922, al socialismo riformista di Filippo Turati: l'unica strada che sembrava adeguata a mettersi di traverso a Benito Mussolini e alle sue mire eversive, tanto più pericolose al crescere delle simpatie che il partito fascista andava conseguendo presso i detentori del potere statale ed economico.

Benito MussoliniPurtroppo la percezione di don Sturzo, che doveva rivelarsi tragicamente esatta, fu abbastanza isolata presso tutti gli antifascisti moderati, ivi incluso l'ambito cattolico: ad una problematica difesa delle istituzioni democratiche (sia pure con tutti i problemi che abbiamo citato, inerenti al modo in cui l'Unità d'Italia si attuò) si preferì affidarsi al "nodoso bastone" di Mussolini, visto sempre più come salvatore della patria in funzione anticomunista. Così, nel 1922, il re Vittorio Emanuele III (che, in base al proprio ruolo istituzionale, avrebbe dovuto essere il garante dello statuto democratico) chiamò Benito Mussolini a formare il nuovo governo. Come immediata conseguenza, don Sturzo finì nella "lista nera" degli esponenti antifascisti, al pari di Gramsci, Turati, Gobetti e molti altri. Isolato, venutagli a mancare del tutto ogni parvenza di appoggio da parte delle gerarchie vaticane, si vide costretto all'esilio, dal quale non sarebbe tornato se non dopo 20 anni, a guerra conclusa.
Il partito popolare da lui fondato fu immediatamente epurato da tutti gli elementi antifascisti e ridotto a sterile costola del governo varato da Mussolini, salutato dai più come "uomo della provvidenza". Gli anni a venire avrebbero inesorabilmente dimostrato di quale terribile abbaglio si trattò, mano a mano che il Paese andava sempre più sprofondando nella deriva totalitaria: prima lo smantellamento sistematico di ogni parvenza di opposizione politica e di istituzione democratica, poi il progressivo isolamento internazionale conseguente alla politica aggressiva del duce (con l'annessione dell'Etiopia prima e dell'Albania poi), infine l'alleanza con la Germania nazista, la promulgazione delle leggi razziali con conseguente discriminazione e persecuzione degli ebrei e l'aggressione alla Francia - già agonizzante - e all'Inghilterra che portò il Paese in guerra al fianco di Hitler, con le orribili conseguenze e le immani tragedie che ne seguirono.

Onestà storica vuole che si riconosca che spesso è facile applicare giudizi "col senno di poi"; don Sturzo fu tra i pochi capaci di esprimere un giudizio politico esatto a priori, e pagò di persona per questo. Molti cattolici, inclusi importanti esponenti della gerarchia, scelsero l'abbraccio mortale con Mussolini sposando la logica del "minore dei mali" (come vedremo, non per l'ultima volta): nel corso dei 20 anni successivi avrebbero avuto tutto il tempo necessario a pentirsene amaramente.

Alessandro Moroni

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