CATTOLICI E POLITICA 2/5

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni

 

 

Storia della presenza politica cattolica in Italia: il primo periodo postbellico, la democrazia cristiana, la guerra fredda.

di Alessandro Moroni


Finita la guerra, rovesciato il fascismo
, si trattava di rimettere in piedi le istituzioni democratiche sulla base di una partecipazione politica popolare finalmente elevata al rango di universalità: il primo atto è costituito dal referendum del 1946 con il quale agli italiani (e alle italiane, visto che per la prima volta viene consentito alle donne di votare) viene chiesto di scegliere tra monarchia e repubblica. L'esito della consultazione determina la caduta della monarchia e condanna i discendenti maschi di casa Savoia, irrimediabilmente compromessa con il ventennio fascista, all'esilio.

Il quadro politico che scaturisce dal conflitto mondiale e da due anni di sanguinosa guerra civile è per forza di cose condizionato non solo dagli eventi di casa nostra, ma anche dal contesto internazionale. La costituzione in fase di approvazione bandisce per sempre il partito fascista vietandone esplicitamente la ricostituzione (questo non impedirà, all'estrema destra del parlamento, la nascita del MSI, movimento sociale italiano, formazione politica costituita da ex-esponenti della repubblica di Salò e che si richiama esplicitamente ai valori di riferimento del ventennio fascista). Il comunismo, viceversa, è accolto con tutti gli onori: perché una forte aliquota dei partigiani che hanno combattuto nel corso della guerra civile contribuendo alla caduta definitiva di Mussolini è costituita da comunisti, ma ancor più perché l'Unione Sovietica di Stalin si trova nel campo dei vincitori della guerra e questo fa sentire il suo peso.

Il mondo che emerge dalle rovine della seconda guerra mondiale non può prescindere dallo scenario che per oltre quarant'anni avrebbe tenuto banco: la contrapposizione, muro contro muro, tra l'occidente capitalista e democratico e l'oriente comunista e totalitario (schieramento che avrebbe presto incluso la Cina di Mao-Tze-Tung, sia pure su posizioni progressivamente più critiche ed indipendenti nei confronti di Mosca). Come si disse, una cortina di ferro era scesa sull'Europa, da Stettino, sul Baltico, fino a Trieste, sull'Adriatico. Iniziava la guerra fredda tra le due superpotenze, USA e URSS; ed iniziava l'equilibrio del terrore: le potenzialità distruttive illimitate garantite dagli arsenali nucleari dei due blocchi era destinata a tenere in scacco per decenni qualsiasi iniziativa di distensione, mentre la certezza di distruzione reciproca offriva una certa garanzia quantomeno del fatto che la guerra fredda non degenerasse in conflitto aperto
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L'Italia, liberata dall'oppressione nazista
e dai suoi fiancheggiatori fascisti dagli angloamericani, si ritrovò a far parte del mondo occidentale; ma la presenza socialcomunista a livello di pubblica opinione avrebbe mantenuto una forza tale, da andare a costituire quella che di lì a poco sarebbe stata definita l'anomalia italiana: un partito comunista collocato intorno al 30% dei suffragi, costantemente relegato all'opposizione perché così era sancito dagli accordi internazionali (pur non scritti) alla fine della seconda guerra mondiale, ma con ampia rappresentanza a livello di amministrazioni locali e, ciò che più conta, nella realtà culturale. Nessun altro Paese occidentale, con l'eccezione temporanea costituita da Francia e Spagna negli anni '70 e '80, avrebbe visto in casa propria la presenza di un partito comunista di forza analoga nel corso di tutta la guerra fredda.

Al governo si installò stabilmente l'erede politico del partito popolare di don Sturzo: la democrazia cristiana, che trionfò nelle elezioni politiche del 1948 conquistando la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. Da allora, il "partito cattolico" avrebbe retto, con alterne vicende, le sorti nazionali per quasi 50 anni. Va rilevato il fatto che si trattò dell'unica realtà partitica nazionale veramente interclassista, nel senso che mai si vide, e presumibilmente mai più si vedrà, un soggetto politico così capace di attrarre nel proprio alveo elettori tanto diversi per stato sociale, cultura e appartenenza ideologica: generalizzando, si può dire che abbia votato DC con continuità sia il contadino di istruzione elementare, al quale puntualmente e per diversi lustri il parroco è andato ripetendo di votare DC, sia il magnate industriale che ha sempre visto in quel partito la salvaguardia dei propri interessi.

Non per nulla si è detto che la democrazia cristiana, più che un partito, sia stata un contenitore politico nel cui ambito hanno trovato rifugio uomini orientati a destra come altri orientati a sinistra, ivi inclusi, per pura convenienza tattica, elettori lontani dall'appartenenza cattolica propriamente intesa. La variegata storia di questo partito, fino allo scioglimento avvenuto col nascere del bipolarismo che ha preceduto le altre elezioni politiche considerate epocali nella nostra storia (quelle del 1994), ha conosciuto molteplici alti e bassi; è stato anche al centro di quella peculiare rete di clientelarismo e diffusa corruttela che ha caratterizzato le nostre vicende politiche dalla seconda metà del ventesimo secolo: è noto che il potere, oltre che logorare, corrompe, e sappiamo anche che non basta un'etichetta di partito cattolico per preservare dalla corruzione. Così come la natura stessa del partito (qualcuno direbbe la sua stessa ragion d'essere) ha sempre favorito, nel suo ambito, lo sviluppo di tendenze e correnti in precario equilibrio e reciproco contrasto. Non è certo questo il contesto giusto per affrontare in dettaglio la storia della DC e delle sue infinite dialettiche interne; ci limiteremo a porre l'accento su alcune figure ed eventi che in vari modi hanno caratterizzato la sua storia e quella della partecipazione cattolica alla politica nazionale.

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Se sul piano internazionale la linea politica
seguirà sempre il canovaccio di un chiaro atlantismo (il nostro
Paese sarà uno dei membri fondatori della NATO, della quale entrerà a far parte fin dal 1949), sul fronte politico interno i quadri del partito si formeranno studiando la dottrina sociale della Chiesa. Con tale denominazione si indica l'insieme dei principi e delle direttive emanate dal magistero cattolico in ordine ai problemi di natura sociale ed economica manifestatisi nella società contemporanea. Il documento dal quale si fa discendere tradizionalmente la comparsa della dottrina sociale cattolica è l'enciclica Rerum Novarum, emanata da Leone XIII nel 1891 e incentrata sull'analisi delle precarie condizioni umane e lavorative degli operai.

Successivi interventi, soprattutto di Pio XI prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e, in epoca più recente, di Giovanni XXIII e Paolo VI avrebbero ulteriormente analizzato ed approfondito la varie problematiche. Negli anni '50 alcuni di questi sviluppi erano ancora di là da venire, ma la dottrina sociale si trovava già ad uno stadio di maturazione tale da poter costituire un punto di riferimento per i politici democristiani, basato su capisaldi quali il rispetto della proprietà privata, il rigetto delle dottrine marxiste e delle forme di lotta estreme ad esse connesse, insieme però ad una ricerca costante di giustizia sociale (promozione dunque di politiche economiche volte a diminuire le discrepanze tra le varie classi) e del bene comune; e quindi con una costante attenzione volta a quelli che oggi chiameremmo "gli ultimi".



Alessandro Moroni

Fine 1° parte

[Parte seconda]


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