CATTOLICI E POLITICA (4/5)

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni

 

Storia della presenza politica cattolica in Italia: dagli anni del craxismo alla perestrojka, dalla caduta del muro di Berlino alla seconda repubblica.

di Alessandro Moroni

 

Il delitto Moro ebbe quantomeno l'effetto di ricompattare tutte le forze democratiche: a parte alcune formazioni extraparlamentari di sinistra che coniarono slogan allucinanti quali "né con lo Stato né con le BR", a partire da quel momento il terrorismo eversivo perse le proprie residue capacità aggregative nelle fabbriche, nelle scuole, ovunque fosse possibile raccogliere una parvenza di consenso. La presa di coscienza collettiva e che contagiò anche alcuni militanti delle formazioni eversive (il fenomeno del “pentitismo” data appunto dal 1979 in poi) portò ai primi successi dei reparti speciali di polizia antiterrorismo, ai quali seguì, con effetto valanga, il rapido sfaldamento delle brigate rosse e dei loro fiancheggiatori. Parallelamente e, forse, non a caso, il contesto politico e sociale cambiava nuovamente: la contrapposizione ideologica sfumava in secondo piano per lasciare nuovamente il campo a una sorta di tregua sociale. Ricordo bene di avere personalmente tratto, sul principio degli anni '80, un sospiro di sollievo: la mia sensazione fu che il mondo, che per un decennio era stato "in bianco e nero", stesse finalmente ritornando "a colori"!

In generale, il cambiamento era evidente anche a livello di costume: nell'atteggiamento, nell'abbigliamento (finalmente le kefiah palestinesi iniziavano ad essere lasciate in soffitta e finiva la gara a chi si vestiva peggio, soprattutto tra le ragazze), nel tono dei discorsi, un po' alla volta la rabbia in servizio permanente effettivo lasciava spazio all'umanissimo desiderio di rilassarsi e di godersi almeno un po' la vita. Furono anche anni di boom economico e questo certamente favorì l'instaurarsi del clima descritto; fu l'epoca del riflusso, come si disse, a segnalare la recessione delle ideologie. fu anche l’epoca dell'edonismo reaganiano (dal nome del presidente americano che avrebbe dominato la scena in quel decennio), accompagnata da show televisivi quali drive-in e dai facili motivetti cantati dai Rigueira e dal Jovanotti prima maniera. Presto ci si avvide che si stava passando da un estremo all'altro: va bene il tramonto dell'ideologia, meno bene se vengono intaccati gli ideali. Emerse la prima generazione di giovani ed adolescenti che non avevano alcun problema ad ostentare il proprio disinteresse per i massimi sistemi.

Sul fronte politico in Italia furono gli anni del craxismo. Allontanata a titolo definitivo ogni ipotesi di governo con il PCI, la DC perpetrò il proprio ruolo di partito fulcro di ogni possibile alleanza instaurando il cosiddetto pentapartito (che coinvolgeva socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali); l'elemento cardine fu Bettino Craxi, leader socialista, il partito che in quel periodo vide gonfiare a dismisura i propri voti. Furono anni di apparente stabilità, grazie anche alla citata prosperità economica. In realtà, fu anche l'epoca in cui la corruttela che aveva iniziato a diffondersi negli anni '60 raggiunse il parossismo. Proprio i governi guidati da Craxi (che nel 1983 subentrò al repubblicano Spadolini in veste di primo ministro, i primi due esponenti non democristiani a guidare il Paese dai tempi di De Gasperi) si trovarono al centro di un sistema clientelare ramificato insinuatosi in tutti i settori dei pubblici appalti, che aveva nella "tangente" da pagarsi a questo e a quel ministro e/o sottosegretario e/o portaborse la propria ragion d'essere. Questa corruzione su vasta scala riguardò principalmente i partiti di governo, ma in qualche modo anche le opposizioni, soprattutto laddove avevano possibilità di esercitare potere locale. Non v'è dubbio però che ad avere avuto le mani in pasta siano stati soprattutto i partiti che detenevano il potere centrale, e quindi anche molti esponenti della DC, che rimaneva il partito cardine del governo.
 Gli anni 80, Reagan, Craxi e Giovanni Paolo II

E arriviamo così al 1989, un altro di quegli anni che segnano la storia. Con la caduta del muro di Berlino, il sistema politico comunista incentrato sul regime sovietico si avvia alla disgregazione. Anche su questo argomento molto è stato scritto e molto si scriverà. Qui citeremo in breve, tra le cause della sconfitta del socialismo reale di marca sovietica, l'effetto combinato della pressione esercitata dal riarmo tecnologico delle amministrazioni USA di Reagan prima e Bush padre poi e quella legata alla presenza di un papa "dell'est" (il polacco Karol Woityla, Giovanni Paolo II) che risveglia le coscienze sopite della popolazione negli alleati-soggetti dell'URSS; quindi la Polonia in primis, ma anche la Germania Orientale, la Cecoslovacchia, l'Ungheria, e pure all'interno dei confini dell'unione (Lituania, Lettonia, Estonia, Ucraina). A metà degli anni '80 il comitato centrale del partito comunista sovietico, economicamente stremato dallo sforzo di mantenere in vita un apparato statale elefantiaco con continue necessità di censura delle libertà individuali, prova a mutare rotta passando il bastone del comando al riformista Mikhail Gorbaciov, il quale va al recupero del rimpianto "socialismo dal volto umano" di Dubcek e Svoboda (indimenticati protagonisti della primavera di Praga).

Fu la stagione della perestrojka, presto bruciata da una brusca accelerazione: la concessione di alcuni spiragli di trasparenza nell'opinione pubblica fu sufficiente a far saltare il coperchio della pentola. L'URSS e il sistema politico che da oltre 70 anni deteneva il potere a Mosca, dalla fine del secondo conflitto mondiale fronteggiando il mondo occidentale in un equilibrio del terrore apparentemente destinato a non cessare mai andarono in pezzi in un intervallo di tempo sorprendentemente breve; e, cosa che lasciò il mondo stupito, in modo quasi del tutto indolore: vi fu un unico vero sussulto, con il quale il vecchio apparato di partito, nel 1991, tentò di riacquistare a Mosca il controllo della situazione: ma fu proprio un attimo.

Il comunismo di matrice sovietica, d'un tratto, non esisteva più; sarebbe invece sopravvissuto in Cina, dove i delittuosi eventi di piazza Tienanmen illustrarono drammaticamente al mondo a quali effetti dirompenti può arrivare l'impianto di un'ideologia totalitaria, per definizione basata sul più totale disprezzo della vita e libertà umane, su un sostrato filosofico millenario (lontano anni luce dal nostro, per intenderci) che in tale annichilimento del singolo trova la propria ragion d'essere. Ma nel 1989 gli eventi cinesi, pur nella loro tragicità, passarono in secondo piano rispetto all'evento epocale: muro di Berlino caduto, guerra fredda finita repentinamente come era cominciata. Fu un grande sospiro di sollievo che traemmo in molti, anche se nuovi scenari di conflitto si preparavano: alla dialettica Est-Ovest sarebbe subentrata quella Nord-Sud, tra mondo ricco e mondo povero, un ritorno dello scontro ideologico sia pur diversamente articolato, sullo sfondo di una recrudescenza di fondamentalismo religioso.

 Gli anni 90, Gorbaciov, piazza Tienamen, i nuovi partiti

Alla grande rivoluzione in atto nel mondo fece da contraltare in Italia la piccola rivoluzione, che determinò quella che fu chiamata la fine della prima repubblica con il conseguente sconvolgimento di equilibri politici rimasti sostanzialmente inalterati per decenni. Oggi appare logico affermare come tra i due eventi sia esistita una correlazione: chiusa la guerra fredda, veniva a mancare quel prontuario di regole politiche non scritte che aveva garantito per quasi 50 anni la permanenza al potere di un contenitore politico centrista nel quale confluivano istanze tanto eterogenee e tutte mirate a garantire stabilità in presenza di quella che già abbiamo chiamato l'anomalia italiana.

I prodromi del cataclisma nostrano iniziarono a palesarsi proprio in concomitanza con la caduta del muro. La Lega Nord, parto politico della mente di un genialoide varesino con ascendenze calabresi, iniziò dal nulla a farsi strada alle elezioni amministrative prima e politiche poi, intercettando, oltre alle propensioni xenofobe di una discreta aliquota dell'elettorato padano, anche alcune istanze motivate dei ceti produttivi, sempre meno propensi a chinare il capo di fronte alla burocrazia parassitaria dello Stato centralista. Fu un primo sassolino che iniziando a rotolare lentamente originò la valanga: iniziarono ad arrivare le prime denunce ed avvisi di garanzia a politici, amministratori, funzionari di partito via via più altolocati. Alla fine emerse clamorosamente tutto il malcostume accumulatosi in decenni di clientelarismo e trasformismo politico, mentre le varie procure della repubblica decimavano i quadri dirigenti dei partiti di governo, con in testa PSI (non fu risparmiato neppure il leader carismatico Bettino Craxi, che per sfuggire all'incriminazione fuggì in Tunisia, per morirvi alcuni anni dopo) e DC.

I due partiti letteralmente collassarono e di fatto sparirono dall'arco parlamentare e dalla vita politica italiana. In ambito cattolico lo sconcerto fu grande: spariva di colpo il partito politico di riferimento. Ma anche altrove non ce la si passava meglio: il PCI, alle prese con l'irreversibile crisi determinata dalla caduta del muro e dalla scomparsa dei tradizionali punti di riferimento marxisti, optò definitivamente per il socialismo democratico modificando la propria denominazione in PDS prima (partito democratico della sinistra) e DS poi (democratici di sinistra). Ma anche questa trasformazione fu tutt'altro che indolore, in quanto costò la secessione dei "nostalgici" marxisti duri e puri, che fondarono RC (rifondazione comunista).

 Berlusconi, Putin, Prodi, D'Alema

Ulteriori mini-secessioni sarebbero avvenute a sinistra, mentre a destra il vuoto nel frattempo formatosi veniva colmato da Forza Italia, partito-movimento originatosi con la discesa nell'agone politico di Silvio Berlusconi, magnate industriale di indubbie risorse personali, ancorché provvisto di idee molto personali sull'esercizio della democrazia e della politica. In tale movimento confluirono non solo gli esponenti di destra dell'ex democrazia cristiana, ma anche molti ex liberali ed ex socialisti (almeno quelli di stampo craxiano). L'altro referente politico strategico per la destra fu Alleanza Nazionale, nella quale confluirono molti ex-appartenenti al partito post-fascista del MSI, altri liberali e altri ex democristiani.

Nacque così quella che si chiamò la seconda repubblica. Non vogliatemene, se cito ancora una volta il protagonista del Gattopardo: spesso tutto va cambiato perché tutto possa restare come prima. Non a caso, i quadri dirigenti dei nuovi partiti vedevano tra le proprie fila molti esponenti della prima repubblica. Restava il fatto che un intero sistema politico era stato rivoluzionato: subentrava il bipolarismo, con due emisferi (destra e sinistra) in perenne, reciproca conflittualità. E inizialmente fummo in molti a manifestare soddisfazione, in quanto il nuovo ordinamento sembrava avere finalmente bandito i veti incrociati, nonché il trasformismo e gli accordi sottobanco che avevano dominato i decenni precedenti (niente più "al centro governo io, in periferia governi tu", per intenderci).

Inoltre, il sistema bipolare costituiva da sempre il riferimento per paesi a tradizione democratica molto più antica e consolidata della nostra, Inghilterra e Stati Uniti in testa. I fatti avrebbero presto rivelato una volta di più come non sia mai la normativa, ma sempre la condivisione di alcuni valori di base a salvaguardare la bontà di un sistema politico: senza la reciproca legittimazione che deriva da una consolidata tradizione non si va da nessuna parte; senza contare che nel nostro quadro politico del 1994 permanevano partiti e movimenti anni luce lontani da qualsiasi tradizione democratica. Direi quindi che come nell'ex Unione Sovietica la fretta d'introdurre un sistema politico ed economico orientata al mercato si è rivelata eccessiva, data la scarsissima attitudine di quel Paese alla democrazia (con effetti deleteri che si sarebbero manifestati tanto nella Russia di Eltsin quanto in quella di Putin), così in Italia, sia pur su scala ridotta, si è manifestata nello sposare un modello istituzionale per il quale né la politica né il Paese reale erano minimamente preparati.

Il resto non appartiene più alla storia, ma alla cronaca: la vittoria di Berlusconi e della sua alleanza di centro destra (Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale) alle elezioni del 1994, l'instabilità subito manifestatisi nella suddetta alleanza che determinò la primi crisi già l'anno successivo. Subentrò quindi il governo di centro sinistra dell'ex democristiano Romano Prodi, fondato sull'alleanza che sarebbe passata alla storia come l'Ulivo: elementi portanti erano il PPI, costola democristiana fedele alle tradizioni Dossettiane, e i DS (va detto, con l'appoggio esterno di varie formazioni, tra le quali Rifondazione Comunista). Ma anche questa formazione avrebbe presto messo in luce tutte le contraddizioni esistenti tra le sue varie componenti: Prodi sopravvisse due anni al timone del Paese, la legislatura terminò con il premierato di Massimo D'Alema prima e Giuliano Amato poi.

Seguì il secondo governo Berlusconi (2001-2006), poi altri due anni di Prodi e infine, dopo le elezioni anticipate del 2008, il "Berlusconi ter", attualmente in carica. L'equilibrio non solo politico, ma istituzionale sembra tuttora assai precario, come ampiamente testimoniato dalle polemiche a 360 gradi che esplodono quasi quotidianamente e che coinvolgono aspetti fondanti della nostre istituzioni repubblicane, come per esempio la costituzione, sulla quale ci si sta accapigliando (sull'onda emotiva del caso Englaro) anche adesso, nel momento in cui sto scrivendo.

Decisamente, non viviamo in un'epoca caratterizzata da chiarezza di idee e spirito di concordia, nemmeno su quelli che dovrebbero essere gli assunti fondamentali del vivere in regime di democrazia.

 

Alessandro Moroni
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