CINA: 4 giugno 1989

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Il 4 giugno ’05 è il 16mo anniversario della strage del 4 giugno 1989 in piazza Tiananmen (Pechino).

a cura della redazione

In 6 settimane a Pechino le truppe della Repubblica Popolare Cinese massacrarono i manifestanti inermi che invocavano democrazia e la fine della corruzione per la società cinese. Il bilancio di quel massacro non è mai stato pubblicato dal governo, ma organizzazioni internazionali indipendenti dicono che attorno alla piazza, nelle vie laterali e nei giorni seguenti al 4 giugno sono state uccise alcune migliaia di persone.

Un amico, rientrato da Shanghai, ci scrive per parlarci della sua esperienza in Cina, “anche perché” – ci scrive – so che avete in cuore qualcosa riguardo a quella terra.
Non so bene perché il lavoro ogni tanto mi scaraventi qua e là, non lo ho scelto io, anzi... ogni volta mi costa parecchio. Quando poi sono lì, e soprattutto una volta tornato, mi rendo conto di avere avuto un piccolo privilegio, e allora cerco di sedimentare quello che ho potuto vedere, quel poco che sono riuscito a capire, e farlo entrare nella vita di tutti i giorni. Soprattutto gli incontri. I veri monumenti che si incontrano in giro per il mondo sono le persone. E anche i monumenti stessi contano per il senso che offrono alla vita della gente, che li ha fatti, che li vive oggi.

Una delle poche cose che mi pare di aver capito è che la Cina è una cosa grande, tanto grande da sfuggire alla nostra consapevolezza, se non per astrazione. Shanghai è un poco più abitata di San Paolo del Brasile, in meno spazio. Da sola è come buona parte del Nord Italia... È impressionante rendersi conto che qualunque cosa che riguardi la Cina, riguarda più di un quinto dell'umanità, per il 90% della stessa etnia.

Il Paese sta conoscendo una fase di sviluppo prorompente quanto traumatica. Ormai da due decenni a questa parte è iniziato un processo di liberalizzazione della iniziativa economica, che ha scatenato una vitalità latente in una cultura in cui la capacità mercantile ha sempre avuto un grande ruolo. Ne è nato e si sta consolidando un ibrido: totale mancanza di libertà politica, un capitalismo non solo liberista, ma in cui lo Stato svolge un ruolo attivo nel distribuire i benefici dello sviluppo in maniera diseguale nella società, innanzitutto privilegiando la città (l'industria, il terziario) rispetto alle campagne.

È un ibrido curioso, ma tutt'altro che unico: dittatura e liberismo sono i due volti delle storie di successo dell'Asia che cresce, e partecipa da protagonista nei mercati mondiali: Hong Kong, Corea del Sud, Singapore... Certo, è curioso che nel caso della Cina il liberismo sia il punto di approdo e di conservazione dell'esperienza comunista.

Per l'uomo della strada i primi frutti del benessere (lontano, beninteso, dal nostro, ma un sogno rispetto all'immensa povertà di pochi anni fa) sono un’esperienza inebriante. Ci sono comunque vari aspetti da considerare. A mio avviso uno stimolo a un certo consumismo è anche nel fatto che ? l'abbigliamento ad esempio ? in un certo senso è una delle pochissime forme di espressione individuale consentita; fine a se stessa certamente ? e per questo consentita appunto ? ma anche valvola di sfogo (e stimolo al mercato).

Lo stile di vita americano è oggetto di un amore?odio. È imitato in tutte le sue icone, inclusi i fast food (in una terra dove il cibo è tanto povero quanto vario e infinitamente fantasioso); e allo stesso tempo detestato e bollato dalla propaganda come decadente e inumano. Si apre una riflessione sull'Europa: cosa è? Qui, come altrove, poco o nulla come realtà unitaria. I principali Paesi europei sono interessanti investitori e partners, un rapporto bilaterale, legato a (grossi) interessi comuni su questioni specifiche. Le auto più diffuse sono le Volkswagen, mentre i primi borghesi della nuova Cina fanno spesa da Carrefour.

La Cina, benché competitiva in maniera devastante, resta ancora un Paese del Terzo Mondo. È competitiva perché è povera. Perché un operaio percepisce un salario di 50? 70 Euro per dieci?dodici ore di lavoro (e poca settimana corta); ciò che gli consente di vivere è il cibo relativamente a buon mercato, prodotto dalle centinaia di milioni di contadini cui lo Stato impone i prezzi di vendita dei prodotti. Lo Stato sociale praticamente non esiste. Ognuno, questa pare la regola, è bene pensi a se stesso. Chi può, trae vantaggio illecito dalla sua posizione: la corruzione è una piaga sociale, già da tempo.

La politica del figlio unico è rigida norma nelle città da più di venti anni: i miei giovani colleghi non hanno né fratelli né sorelle: la fine della famiglia patriarcale e confuciana, i cui vincoli di solidarietà e dedizione hanno retto la Cina per secoli (e procurato comunque la quotidiana ciotola di riso, nelle situazioni più avverse). Ecco generazioni di vezzeggiatissimi "piccoli imperatori", sempre più soli nel tempo, in una società che invecchia, e in cui, a colpi di infanticidi, aborti selettivi e abbandoni di neonate per privilegiare il figlio maschio, oggi ci sono 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Se vinceranno una quotidiana sfida all'insegna della competitività più esasperata e costante, saranno dei laureati, dei tecnici, e occuperanno un posto meno spartano alla mensa della vita.

Tuttavia, credo profondamente che sia una terra con un’anima. La tradizione, che riaffiora sovente in modo sempre evidente, nonostante la severissima repressione del comunismo Maoista, testimonia in qualche modo la sua longevità che ha radici profonde. Come in tutta l'Asia orientale, c’è una visione del mondo piuttosto complessa, sostanzialmente diversa da quella occidentale, una visione del mondo “colta”, di tipo filosofico, più che religioso.

La visione del mondo della gente ‘semplice’ (vale a dire la stragrande maggioranza) ha finito nei secoli per articolarsi in un’infinità di riferimenti che ? forse impietosamente ? si possono chiamare "superstizioni". È effettivamente ossessivo, dove ciò è permesso, il ricorso alla divinazione per conoscere il proprio futuro rispetto a ogni iniziativa o evento della vita. Mi pare di poter dire che di fatto la persona si senta, oggi come nei secoli, in balia di forze che la travalicano, cui occorre adattarsi. La tanto continuamente invocata "fortuna" (che si potrebbe anche leggere come "godere del favore della divinità") è una buona sorte tanto agognata quanto incerta e mutevole. Ma è anche tutto quello che c'è; non ci sono prospettive diverse sul senso dell'esistere, se non molto sfumate e piuttosto confuse.

II potere politico ha cooptato nel partito
la nascente nuova élite economica, nata perlopiù dalla malversazione piuttosto che da geniale imprenditoria. È stato un grande scandalo per i vecchi militanti del partito, per le campagne che hanno sostenuto la rivoluzione hanno pagato prezzi altissimi o per gli operai ex?eroi nazionali per il loro immenso spirito di sacrificio, che ora disoccupati o pensionati quasi alla fame.

Con fermezza assoluta il potere politico
non vuole dare spazio ad alcun cambiamento nel senso della partecipazione democratica all'orientamento della società. La parola d'ordine della "stabilità sociale" non dev'essere minata.

 Dio, in Cina, è stato tenuto fuori dalla porta, ma qua e là entra dalla finestra. La Chiesa cinese è divisa tra due comunità: la chiesa ufficiale, detta "Chiesa patriottica", orientata direttamente dal governo che le consente di esistere, con un molto limitato raggio di azione a patto che resti staccata completamente da Roma e la Chiesa clandestina, che intende mantenere la comunione col Papa, e rifiuta ogni imposizione del governo e ciò la apre a molte sofferenze, frutto di tanta eroica fedeltà. In realtà il confine tra le due comunità è ora abbastanza labile. Tutti i cattolici cinesi si stimano in circa 13 milioni, e molti desiderano riconoscersi col Papa. La repressione è intermittente, ma pesante, con incarcerazioni e distruzioni di luoghi di culto non approvati.

lcuni vescovi, come pare quello di Shanghai (88 anni, di cui 27 in carcere), sono formalmente parte della chiesa patriottica, però in una posizione diciamo di compromesso (qualche vescovo patriottico è forse, in pectore, riconosciuto anche da Roma). A differenza di altri, non vivono il loro incarico come un ufficio governativo, ma come strumento per cercare di gestirsi in qualche modo i pochi spazi che il governo concede alla fede, di ritagliarne qualcuno in più per la loro comunità.

Da Roma, chi segue la vita in Cina (come padre Bernardo Cervellera) auspica che via via elementi della chiesa patriottica acquisiscano maggiore coraggio nella loro pastorale; e che altri, della chiesa clandestina, provino maggiore pietà per la debolezza dei loro fratelli. È molto difficile capire e valutare. Per ora comunque il governo non dà alcun segno di apertura in materia di religione, e con i cattolici in particolare. Paura? Penso di sì, e anche giustificata. La mia impressione è che ci sia ricerca, sia pur vaga, di senso... anche tra i giovani, e ancora più oggi; pochi conoscono l'esistenza stessa della Chiesa: se fosse più visibile, più aperta, chissà. Potrebbe diventare un fenomeno importante nella società, dove comunque una piccola e dispersa comunità nata non molto prima dalla missione, ha mantenuto la fede in 50 anni. Un miracolo non di poco conto.

a cura della redazione

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