''CONVERTIRE'' IL PRIMO MONDO?

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Parole chiave come "globalizzazione" e "mondializzazione", sempre più frequenti, sempre più familiari, sempre più battagliate impongono di schierarsi o (almeno) di avere un'opinione su quanto può succedere non solo dietro l'angolo ma sul quadrante del pianeta…




Su questa frontiera aperta, non manca
di sporgersi anche la Chiesa che sente dentro di sé un mandato irrinunciabile, quello di "andare alle genti". Il Vangelo non può conoscere steccati, non può rinchiudersi in recinti, non può fermarsi allo scontato atteggiamento di chi lo conosce e non può arrestarsi nei territori di retroguardia o di vecchia esperienza cristiana.
Ma che vuol dire oggi "evangelizzare" cioè proclamare che Dio è Padre, che vuole bene a tutti, che si fa carico dell'uomo? Se poi l'ingiustizia macroscopica manda alla deriva milioni di poveri...?
Gli interrogativi si fanno stringenti. Ne parlavo con un missionario coraggioso ed intraprendente, che ha fatto e sta facendo grandi cose nel Terzo mondo. Non si tira indietro mai, dove c'è un bisogno. Compie autentici miracoli di solidarietà e di riscatto. Ciononostante restano troppi dilemmi a cui trovare una risposta. Anzi sono domande forti, dubbi atroci, progetti sofferti che forse ogni missionario attento porta nel cuore.
Questo missionario mi ha sempre detto che lui non può fare calcoli sulle possibilità di tentare qualcosa per chi è più debole. La misura del suo impegno, della sua dedizione, delle sue iniziative... sta solo nel fatto che c'è chi chiede aiuto. Secondo lui, non ci si deve fermare mai. Costi quel che costi. Finché un "ragazzo di strada" è violentato, drogato, sfruttato, abbandonato... si deve ancora e sempre aprire la porta, offrire accoglienza, dare una chance di recupero.
Ma, ecco il rovescio della medaglia: se per realizzare questa disponibilità senza soste non si riesce ad essere umanamente e materialmente all'altezza, perché ci vogliono persone preparate (e bisogna "costruirle" nel tempo), perché sono indispensabili risorse consistenti (bisogna cercarle, con grande fatica, spesso in Europa), perché ci si sente personalmente allo stremo delle forze (e non si è di ferro ed occorre anche fare i conti con i propri limiti), perché si prova ansia guardando al futuro (ed è necessario pensarci perché un'opera non si chiuda come una meteora dietro chi l'ha lanciata)... ecco che sale un nodo in gola.
I bisogni sono immensi e non si è in grado di farvi fronte. Ed in quel momento l'animo del missionario comincia ad entrare in fibrillazione. Cosa fare? Come fare? A chi rivolgersi? Val la pena continuare? Non sarà il caso di ridimensionarsi?
 Ma i dilemmi non sono finiti: chi vive sulle frontiere delle povertà comprende direttamente sul campo quanto sia urgente dare una svolta radicale alle logiche di questo mondo. Il profitto di quel venti per cento di umanità che dispone dell'80% delle risorse mondiali, affamando milioni e milioni di persone nelle derive sociali più penose, andrebbe ribaltato. L'Occidente ed il Nord del mondo hanno responsabilità gravi, anche se non uniche. Se non si cambia rotta, si rischia di non risolvere un granché sul terreno cruciale della miseria e del degrado. Con micidiale lucidità il missionario sa che occorre dare questa svolta. Ed invece vede che i tempi della "conversione sociale" si allungano o ritardano. Mentre lui invece deve far ricorso a chi ha soldi (e tanti) risedendo nella porzione del mondo intrisa di benessere, per riuscire a portare avanti l'accoglienza tra i "ragazzi di strada". Contestare i ricchi del Nord del pianeta che col loro sistema economico-finanziario costringono alla povertà i "meninos de rua" o chiedere qualche briciola dalle mense abbondanti del Primo Mondo perché quei bambini in Brasile possano sopravvivere appena domani?
Certo, si potrebbe tentare di perseguire le due strategie. Ma non è facile. Ed alla fine ci si deve piegare all'emergenza. Così il missionario non demorde, ma prova il peso di enigmi e nebbie dentro di sé ed attorno a sé. Da una parte tenta l'azzardo di far comunque qualcosa (e qualcosa di duraturo), dall'altra vede che comunque la sua sarà solo una goccia nell'Oceano delle miseria.
Bisognerebbe, come minimo, non lasciarli soli, in questi pensieri che li inquietano e talvolta li deludono. I nostri missionari. Perché noi forse non siamo pressati, in mezzo al guado, come loro. Infatti siamo su un'altra sponda...

Corrado Ava






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