Criticità

Pubblicato il 04-10-2020

di Paolo Lambruschi

Più che dal Covid l’Africa è stata colpita dalle conseguenze di una durissima pandemia sociale che sta fermando i cambiamenti. Stava vivendo una stagione nuova, nella quale ai soliti vecchi problemi (corruzione, miseria diffusa, conflitti per le risorse, fragilità dei servizi sanitari e dell’istruzione, carenza di acqua) e ai nuovi (jihadismo, carestie da mutamenti climatici) si erano affiancate opportunità di sviluppo e speranze. Doveva nascere ad esempio a luglio uno spazio di libera circolazione di merci e persone panafricano, si attendevano gli effetti della rivoluzione tecnologica digitale con il boom degli smartphone (quelli cinesi e made in Africa sono molto economici) e di quella della energia verde per ampliare l’accesso all’elettricità nelle aree rurali. Invece la chiusura dei confini ha bloccato tutto e acuito crisi e conflitti, ad esempio nella Repubblica Centrafricana.

Sono due le situazioni che preoccupano maggiormente anche l’Europa. In Africa orientale osservato speciale è l’Etiopia, alle prese con fortissime tensioni etniche interne e che per il coronavirus ha deciso di spostare le elezioni politiche. Questo ha provocato violenze soprattutto in Oromia e nello Stato del Tigrai il rischio di uno scontro anche armato tra governo federale e governo locale resta molto alto. Il primo ministro Abiy Ahmed, Nobel per la pace per aver posto fine allo stato di guerra con l’Eritrea dopo 18 anni, sta reprimendo duramente le proteste, ma resta il garante per l’occidente dell’unità del secondo Paese più popoloso d’Africa in un’area, il Corno, delicata per gli equilibri continentali. Tanto che, legato alle tensioni interne, resta lo scontro con Egitto e Sudan per la diga sul Nilo, oggetto di interminabili trattative. Si tratta di un complesso conflitto per l’acqua perché Addis Abeba ha bisogno delle acque del Nilo per riempire in 4 anni la grande diga che ha costruito per avere l’elettricità necessaria allo sviluppo e placare le tensioni etniche. Egitto e Sudan chiedono di rallentare il riempimento dell’invaso artificiale altrimenti le popolazioni rivierasche non potranno più coltivare i campi. L’isolamento da pandemia e la conseguente crescita della povertà hanno alzato la posta e reso più difficile il dialogo.

Altro angolo d’Africa che il Covid ha contribuito a infiammare è il Sahel. Dopo l’atroce eccidio di 6 cooperanti francesi da parte dei terroristi in un parco naturale distante un’ora di auto dalla capitale del Niger Niamey e dei loro due collaboratori nigerini il Paese è diventato zona rossa. Da anni ormai l’area è infestata da diversi gruppi armati che prendono di mira la popolazione per metterla in fuga nella zona dei tre confini tra Burkina Faso Mali e Niger. Oggi questo rischia di diventare l’epicentro da cui partiranno i maggiori flussi migratori verso l’Europa. Nonostante il dispiegamento di militari francesi e di un contingente internazionale che comprende le forze armare italiane il terrorismo sembra vincere anche in termini di consenso popolare perché offre illusorie sicurezze a una popolazione senza speranza. Lo dimostra il colpo di stato di mezza estate in Mali che ha preso di sorpresa tutti. L’esercito ha rovesciato un governo corrotto e incapace di affrontare il problema del terrorismo jihadista che ha preso il controllo di diverse aree del Paese.

Ancora una volta è la prova che non sono le armi la risposta al terrorismo islamico e alla pandemia sociale, ma lo sviluppo integrale dell’uomo che offre speranza. Serve un’agenda non occulta da parte degli europei e una cooperazione credibile, trasparente. E siamo soprattutto noi italiani a poter giocare la carta della pace grazie a buoni progetti umanitari, a cooperanti in gamba, a una società civile solidale. Siamo i primi a non riconoscere le eccellenze che abbiamo, la nostra cooperazione e le Ong, pur con i loro difetti, lo sono.


Paolo Lambruschi
NP agosto / settembre 2020

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