Cultura come business

Pubblicato il 15-05-2024

di Claudio Monge

Karabükè una cittadina di provincia nella regione del Mar Nero occidentale, di circa 132mila abitanti, sconosciuta ai più, ma balzata alla cronaca nazionale dopo la creazione di un’università internazionale, che ha trasformato la realtà locale. In pochi anni il numero degli studenti stranieri ha toccato le 11.890 unità (un quarto dei 47mila studenti totali), dei quali circa 5mila di origine africana, provenienti principalmente da Tanzania, Zanzibar, Ciad, Sudan, Senegal e Gabon.

L’assoluto protagonista di questa svolta è Refik Polat, nominato rettore dell’università da Recep Tayyip Erdoğan in persona, il 24 maggio 2019, in un’epoca di epurazioni nei senati accademici in tutto il Paese, con l’introduzione di funzionari e burocrati fedeli al potere. Il rettore Polat si è subito attivato per trasformare l’istituzione a lui affidata in un’impresa a fini di lucro, più che in un centro di formazione di qualità, lamentando l’impossibilità di fare affidamento su finanziamenti statali. Il “mercato degli studenti stranieri” in Turchia non è in realtà una novità degli ultimi anni. Nei quasi 25 anni di potere, Erdoğan ha sviluppato in modo esponenziale la presenza delle imprese e degli investimenti turchi sui mercati africani e asiatici. Con l’assegnazione di migliaia di borse di studio universitarie, all’indirizzo di giovani élite intellettuali di diversi Paesi soprattutto dei continenti sopra menzionati, ha cercato di creare delle teste di ponte turcofone e formate secondo gli standard turchi, per massicci investimenti di tipo economico. La meritocrazia, non sembra però essere stato il requisito principale che ha guidato le politiche di reclutamento del rettore Polat. Non poche inchieste giornalistiche indipendenti hanno provato che gli studenti stranieri a Karabük sono stati reclutati con metodi irregolari, senza passare attraverso l’esame di ammissione (YÖS) e attraverso una nebulosa di società di intermediazione che generano profitti illegali, facendo lievitare le tasse individuali di iscrizione, da qualche centinaia di dollari ufficialmente previsti fino anche a 20mila dollari. Lo sfruttamento e la ghettizzazione di questi studenti stranieri ha trasformato interi quartieri di Karabük in off-limit zones, dove sembrano crescere lo sfruttamento finalizzato alla prostituzione e i traffici criminali, in particolare legati al mercato della droga. Strangolati da un indebitamento insormontabile, molti di questi giovani studenti si trovano sotto ricatto e minacciati. La tragedia di Dina, giovane diciassettenne gabonese trovata morta dopo aver subito una violenza sessuale, un anno fa appena, ha scoperchiato il vaso di Pandora, alimentando allarmi, ma anche forme pericolose di xenofobia, con annessa letteratura di accuse spesso e volentieri infondate.

Tra queste è davvero recente quella relativa a un presunto aumento di contagi hiv nella popolazione studentesca turca, a seguito di rapporti sessuali con studenti di colore. Nel mese di febbraio, le autorità accademiche sarebbero corse ai ripari rendendo obbligatorio un rapporto sanitario previo all’iscrizione universitaria per tutti gli studenti stranieri. In secondo luogo, ci sarebbe stata una stretta (piuttosto tardiva) alle già citate società di intermediazione. Nel frattempo, nella ridda di notizie bomba poi smentite, la Direzione Sanitaria Provinciale avrebbe negato l’incremento fuori controllo delle malattie infettive hiv e hpv, che avevano messo in serio imbarazzo la popolazione universitaria straniera, costretta a disertare le lezioni per paura di reazioni violente. Dal canto loro, non pochi collettivi studenteschi turchi si sarebbero dissociati pubblicamente da questa caccia all’untore, sottolineando l’importanza dell’internazionalità della popolazione universitaria di Karabük, fonte di «arricchimento umano e culturale». I condizionali sono d’obbligo, visto che le ultime notizie riportate sono di organi di informazione filo governativi. Si attendono con ansia nuovi sviluppi.


Claudio Monge
NP aprile 2024

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