DA PORTO ALEGRE A DAVOS

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea

 
Si è da poco concluso a Porto Alegre in Brasile il 3° meeting del forum sociale mondiale. Dall'altra parte del mondo a Davos, blindatissima località della Svizzera, si è svolto in contemporanea il summit del World economic forum.
Claudio Maria Picco

 

Movimenti e ONG da un lato, grande finanza ed esponenti della politica internazionale dall'altra. Centomila a Porto Alegre, poche migliaia a Davos. A fare da ponte tra le due sponde dell'oceano il neo presidente brasiliano Luis Inacio Lula da Silva, arrivato a Davos su un aereo di linea dopo aver infiammato con il suo discorso la platea dell'anfiteatro Po do Sol. E' il segno del nuovo che si affaccia in un mondo sempre più in crisi di politica, di idee, di pace, di partecipazione. Il mondo è in crisi. Lo spettro della guerra con l'Iraq diventa ogni giorno più inquietante e contribuisce a creare incertezza nei mercati.
Le economie occidentali arrancano. L'unico paese in forte espansione è la Cina, ma questo fatto suscita preoccupazioni e timori più che ricadute positive fra quanti governano i mercati. Da un po' di tempo no-global e alta finanza si parlano. E' un dialogo a distanza, però va avanti, dato che nessuno sembra avere la ricetta giusta sul come migliorare le cose. I no-global, o meglio i new global, non pensano più solo alla protesta, ma cercano e propongono nuove soluzioni per fronteggiare le tragedie gravissime del pianeta. Sono impegnati a governare la globalizzazione più che a rifiutarla, a realizzare un'economia con regole certe ed un'etica.
I problemi sono tanti: la fame che con 40.000 morti al giorno è sicuramente un flagello di proporzioni gigantesche, non più eludibile. La sete: oltre 1,5 miliardi di persone in Asia, Africa, America Latina non hanno accesso all'acqua potabile, mentre gli abitanti del Nord del mondo consumano fino a 1.000 litri di acqua al giorno. Le guerre e i conflitti in corso sono 32; dalla Cecenia al Medio Oriente, dalla Colombia, al Congo, alle Molucche non c'è continente che non sia coinvolto. Secondo l'Unicef 300.000 bambini-soldato vengono direttamente utilizzati negli scontri armati. La questione dei diritti umani riveste poi una importanza strategica in un periodo storico segnato da grandi migrazioni e spostamenti di popolazioni con il conseguente intreccio di culture e di religioni. Soprattutto diritti come la libertà di religione di informazione, di coscienza, i diritti delle donne sono costantemente a rischio, danneggiando di fatto la dignità di milioni di esseri umani.

Sul tappeto c'è un'altra grave e urgente questione: la condizione giovanile. Nel sud del mondo i giovani sono penalizzati dalla scarsità di risorse naturali e culturali e fanno i conti con una qualità della vita veramente misera o peggio con lo sfruttamento del lavoro minorile e con le violenze del turismo sessuale. Nel Nord del pianeta accanto a forme di disagio sempre più evidenti dei bambini di strada dell'est europeo c'è il vuoto, la fatica di vivere di tanti giovani, lo sballo, le droghe che danno una illusione di benessere proprio mentre uccidono. Da porto Alegre , accanto all'attenzione per questi problemi, è arrivato un no convinto alla guerra. Dal canto suo il presidente Lula ha detto chiaro e tondo che l'unica guerra che vuole fare è quella con la fame. A Davos è stata presentata una inchiesta condotta su un campione di giovani con un futuro prossimo da dirigenti della politica, della finanza, dell'industria. E' emerso che si fidano più delle ONG che delle istituzioni sopranazionali e nazionali. C'è di che riflettere!

Dal canto nostro il fermento non manca. I 100.000 giovani che hanno manifestato per un giorno intero a Torino lo scorso 5 ottobre hanno lasciato il segno. Non accettano la guerra, le ingiustizie, le violenze, il terrorismo. Vogliono la pace, i diritti umani per tutti, le libertà fondamentali garantite, una ONU più autorevole. E sono disposti a dirlo nelle sedi più significative.

Claudio Maria Picco

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