DARFUR - 5 ore a piedi

Pubblicato il 31-08-2009

di Elena Goisis

Portatore d’acqua: ecco il compito di Muhammed quando viveva al suo Paese, nel deserto del Darfur (Sudan). Ora è rifugiato politico in Italia, ospite dell’accoglienza dell’Arsenale della Pace. La sua testimonianza e la lucidità dei suoi interrogativi meritano attenzione.


Intervista a Muhammed, di Elena Goisis

 
Ci racconti la tua giornata con l’acqua in Darfur?
Inizio da quando ci alziamo la mattina. Noi musulmani facciamo cinque preghiere al giorno, per le abluzioni di ogni preghiera ci vuole un litro d’acqua, quindi occorrono 5 l d’acqua solo per la preghiera. Poi, essendo caldo il clima, si fa la doccia una volta al giorno: 10 l d’acqua. Per mangiare, tre volte al giorno, occorrono ogni volta in media 5 l per la preparazione e 5 l per lavare le stoviglie. Andare a prendere l’acqua al pozzo per la mia famiglia era proprio il mio compito. Per andare e tornare ci vogliono cinque ore a piedi. Il pozzo è profondo 30 m. Per avere acqua davvero potabile bisognerebbe scavare più in profondità. Ma la forza della sete non ti fa pensare che quell’acqua non è potabile, bevi e basta, e la conseguenza è che ci sono tante persone malate.
Per tirare su l’acqua a volte si usa l’asino, chi non ce l’ha arriva con la sua corda e il suo secchio e la tira su con la forza delle braccia. Per disporre di tanta acqua ci vogliono le risorse; poiché non le abbiamo, non possiamo coltivare la terra.

Quante famiglie usano quel pozzo?
Quasi mille persone, e abbeveriamo anche il bestiame. Ultimamente è stato realizzato un altro pozzo con la pompa a mano, con l’aiuto dei Caschi blu dell’Onu.

Quante volte al giorno andavi al pozzo?
Tre volte al giorno. In ogni casa c’è una grossa tanica di plastica di 100 l di capienza, e si va a prendere l’acqua al pozzo più volte al giorno, finché non si riempie. Dipende anche da quante persone compongono il nucleo familiare. La mia famiglia è di sette persone, quindi facevo tutto il giorno questo lavoro.
Quando si arriva al pozzo, se non ci sono altre persone, si raccoglie l’acqua e si torna a casa; ma capita che ci siano tante persone e bisogna aspettare un’ora o due, oppure può accadere che l’acqua non c’è perché l’hanno già raccolta tutta e bisogna aspettare che ne arrivi dell’altra. Allora si riduce il consumo per la preghiera, per lavarsi, …
A volte capitano delle disgrazie. I pozzi sono un buco nella terra senza protezione, senza muretti, e capita che qualcuno precipiti dentro. Allora a causa della profondità tutti i presenti devono aiutare a tirarlo fuori. Così, invece di portare solo l’acqua a casa si devono fare anche altri sforzi.

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Quanti litri d'acqua portate ogni volta?
In media 60 l a volta quando c’è l’asino; altrimenti, due taniche di 20 l l’una appese ad un bastone portato da due persone. Oppure le donne portano sulla testa contenitori di terra cotta alti anche mezzo metro, di ca. 5 l, in modo che al peso dell’acqua si aggiunge il peso del contenitore.

Come fate la doccia?
Si va dove c’è la tanica grande dell’acqua, si prende una tanica da 10 l e si va in bagno, con sapone e un bicchiere per prendere l’acqua e buttarsela addosso. Questo vale per l’estate. In inverno, invece, quando c’è più acqua, andiamo al pozzo e facciamo la doccia con l’acqua che cade dalle taniche formando un rigagnolo.


Se nella tua famiglia una persona spreca l’acqua, cosa accade?
Gli altri la picchiano! In realtà, nessuno gioca con l’acqua, se non in inverno, quando c’è in abbondanza. Allora le donne, invece di portarla a casa per fare il bucato, lavano tutte insieme vicino al pozzo; e nel frattempo i bambini giocano con l’acqua.  

Quando sei arrivato in Italia, qual è stata la tua prima impressione?
Quando sono sbarcato a Lampedusa, sono rimasto stupito che ci fosse tanta acqua. Ho scoperto che c’era l’acqua dei rubinetti, salata, mentre per bere ci veniva data quella in bottiglia. Mi sono detto: qui c’è vita. Fin che c’è acqua, c’è vita. Rispetto ai Paesi arabi dove ho vissuto per tre anni, Libia ed Egitto, ho notato però molto più spreco. L’acqua che in quei paesi “sprecano” è quella che portano dal mare e desalinizzano in parte, usandola poi per irrigare, innaffiare, lavare le macchine. Ma qui in Italia le macchine le lavate con acqua potabile! L’acqua potabile è per bere, non per lavare il pavimento! Quando al bar, insieme al caffè, mi danno un bicchiere d’acqua, e io mi stupisco, passo per un africano che non capisce. “Ma è gratis”, mi dicono. Rispondo che anche se è gratis, ma non la bevo, è sprecata. Io conosco il valore dell’acqua.
Per esempio, perché ci sono tante fontane e fontanelle per strada? Dove va a finire quell’acqua?

In alcune città va persa, in altre viene incanalata e usata per altri scopi, come bagnare i giardini.
E l’acqua che si usa per la doccia o per i WC è potabile? In Darfur non ci sono le fognature, si fanno dei piccoli buchi profondi nel terreno; quando si riempiono, vengono chiusi e se ne scavano da un’altra parte.

Sì, di solito è potabile, anche se va precisato che in Italia, almeno nelle zone urbane, l’acqua viene potabilizzata tutta al momento dell’immissione nell’acquedotto. Quindi tutta l’acqua che entra nelle case è pulita. Quella che ne esce, invece, può essere riciclata, almeno in parte, ed impiegata per le fontane, per l’irrigazione... Si stanno studiando procedimenti addirittura per farla tornare potabile.
Gli studi sul riciclaggio sono una buona cosa, ma quest’acqua non sarà mai come quella naturale, sarà entrata comunque in contatto con sostanze chimiche. Perciò, iniziamo ad usare bene dell’acqua che abbiamo adesso, a condividerla fra noi, perché per chi verrà dopo di noi sarà peggio, l’acqua non sarà più la stessa.


di Elena Goisis
da Nuovo Progetto ottobre 2007

Altri articoli:
SUDAN: vietato sognare
SUDAN: pace firmata/2 (altri link sotto questo articolo)

Darfur - Scheda

Il Darfur è un’area situata nella parte occidentale del Sudan, grande quasi come la Francia.
La popolazione è in gran parte musulmana. Dal 2003 è teatro di un sanguinoso conflitto che vede contrapporsi la popolazione locale alle milizie filogovernative. Le feroci scorrerie dei Janjaweed, tribù nomade di origine araba, appoggiata come sembra dal governo centrale di Kartoum, continuano a mietere vittime nonostante il trattato di pace firmato il 6 maggio 2006 tra il Governo centrale e l’Esercito per la liberazione del Sudan.
Secondo l’UNICEF
– che ha stanziato circa 122 milioni di dollari per la crisi umanitaria -, sono 4,5 milioni le persone che hannno subito le conseguenze del conflitto, quasi due terzi della popolazione del Darfur; 2 milioni i bambini colpiti dalla guerra ospitati nei capi profughi, 1,5 milioni i bambini che non possono essere raggiunti dagli aiuti internazionali.
Quaranti anni di conflitti nella regione hanno provocato oltre 200.000 morti e 2,5 milioni di profughi. Il Darfur e il Sudan sono fra le zone col più basso reddito pro-capite dell'Africa, ma sono anche fra le più ricche di materie prime.
Una risoluzione dell’Onu ha stabilito di inviare in Darfur una forza di pace mista di 26.000 militari (composta in prevalenza da truppe fornite da paesi africani), che dovrebbe garantire la sicurezza in un territorio di 500.000 Km2, ma per ora la Cina è stata l’unica ad impegnarsi a inviare in Darfur un contingente di 300 caschi blu. La Cina ha enormi interessi petroliferi in Sudan.
 
 

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