Dentro la storia, per viverla/I

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea


Ogni desiderio di cambiare il mondo deve confrontarsi con i dati di realtà. Non per concludere che nulla è possibile, ma per cogliere uno dei tanti nodi critici sui quali è possibile iniziare ad intervenire.

...di Piercarlo Frigero

Il bel tempo antico?

Ascoltando le voci di quanti si incontrano, viene evidente quanto non risulta facile oggi costruirsi una visione del mondo ‘positiva’.
Per un giovane, come in fondo per tutti.
Abbiamo scoperto, in questi anni, una storia che presenta aspetti drammatici; ma, tutto sommato, una storia che è fatta pur sempre delle vicende normali nella vita di tutti i giorni, senza continue contrapposizioni tra massimi sistemi o tra opposte politiche. Una storia che comunque ha degli aspetti che giustamente ci sono intollerabili perché vorremmo che progredisse ancora.
Ogni tanto però si ripresenta la nostalgia per un bel tempo andato; ma, se mai ce n’è stato uno, è ben difficile provarne molta.
Nell’ottocento e nei primi decenni del secolo scorso prevaleva in Italia e in Europa la povertà nel mondo rurale, e la condizione di vita di molte persone non era poi molto diversa da quella di chi viveva nei paesi lontani che sono oggi rimasti in condizioni di arretratezza e di povertà. In molti lavoravano nell’agricoltura e nell’industria, o nei piccoli commerci, ma la produttività era bassa e di conseguenza bassi i redditi e diffusa l’indigenza.
Non è detto neppure che ci sia stato un tempo in cui i giovani erano seri, laboriosi e impegnati. Probabilmente anni fa era più semplice dare delle idee-guida.
Ci furono dapprima le grandi semplificazioni: il patriottismo e la guerra per la civiltà, o il conflitto di classe violento, in seguito prevalse la diatriba politica del confronto tra l’economia pianificata e quella di mercato.
Nei mitici anni sessanta c’erano ancora da ricomporre grandi lacerazioni, la contrapposizione tra movimenti di massa era ancora durissima. Le riflessioni vertevano su temi concreti: come lo Stato potesse intervenire nell’economia, come garantire sicurezza a chi era ne privo.
Non c’è stato uno scontro finale risolutivo, una rivoluzione, o una trasformazione improvvisa. C’è stata una evoluzione, un progresso appunto, e abbiamo scoperto la ‘normalità’ dell’evoluzione della tecnologia e dei rapporti sociali di produzione.
Denunciare, per cercare ancora..

Resta il fatto però che, giustamente, il mondo non ci piace ancora. Le contraddizioni sono grandi, immense le sofferenze in una miriade di piccole storie quotidiane, che forse sentiamo più vicine a noi anche quando sono molto lontane.
Tuttavia non disponiamo di grandi ‘ricette’, di progetti operativi per intervenire; ed ecco allora che si va con decisione verso la ‘denuncia’, come strumento prevalente, se non esclusivo, dell’impegno che dovrebbe essere politico.
La denuncia ci deve certamente essere, inquadra dei grandi scenari, dei grandi riferimenti, offre idee, aiuta a focalizzare obiettivi: ma poi, nell’agire quotidiano deve trovare il modo di tradursi nel concreto; non può indurre a pensare che solo a qualcun altro spetti il dovere di fare.
All’estremo opposto, si scivola nell’acquiescenza, nello scoraggiamento; consapevoli del fatto ‘molto ragionevole’ che intervenire in queste situazioni è estremamente difficile.
Ci si deve render conto che oggi non c’è più l’idea della possibilità di un radicale cambiamento che segue un principio chiaro e applicabile dappertutto. Queste semplificazioni, con la convinzione di disporre della giusta interpretazione della storia, dei giusti rimedi, della giusta analisi della società, con l’ergersi a giudici e avversari di chi non condivide le nostre convinzioni hanno fatto dei guasti impressionanti lo scorso secolo, e dobbiamo trarne le conseguenze. Anche se l’esistenza di situazioni drammatiche da ricordare e denunciare, rende angoscioso pensare che non ci sia un messaggio unico, facile da applicare, rifiutato solo dai cattivi che si devono combattere, ai quali imputare tutte le colpe del permanere e talvolta dell’aggravarsi delle ingiustizie.
Evoluzione spontanea, una rete e l’ impegno per il cambiamento.

Questa economia di mercato, questa ‘globalizzazione’, non l’ha costruita qualcuno a tavolino: evolve spontaneamente. Sono i rapporti sociali di produzione che si sviluppano, raggiungono una maturità, si trasformano, dilagano, creano dominanze e dipendenze.
E’ importante confrontarsi con queste idee. E questo ci chiede una trasformazione nel nostro modo di ragionare: da un approccio di tipo meccanico - c’è un meccanismo che funziona male, dunque lo aggiusto - a un’idea del cambiamento delle società che è più simile a quella della famosa rete internet. La rete è capace di evolvere con il contributi di miriadi di soggetti, ed è certo che, nel trasformarsi, oltre alle conseguenze positive, creerà pericoli e farà persino dei danni.
Pensiamo allo scenario in cui siamo immersi come ad un ‘sistema’, costituito da interrelazioni profonde, che quindi non ha un suo vero e proprio centro intervenendo sul quale si cambia tutto. L’ambiente sociale ed economico si sviluppa, e ancora più lo farà nel futuro, in quanto rete; con dei nodi che proliferano anche singolarmente e in una gerarchia: qualcuno degli attori è più importante degli altri, perché è protagonista di un maggior numero di relazioni.
Il nostro compito non è dunque tanto quello di trovare una sorta di progetto omnicomprensivo, un’unica interpretazione, ma di ‘cercare i nodi’, i punti critici sui quali far leva. Si ragioni dunque a partire dalle singole situazioni con le specificità storiche, geografiche, sociologiche, culturali, al fine di percepirne la complessità.
Bisogna informarsi, costruire delle chiavi di lettura.
Proviamo a trarre delle conseguenze dall’impegno e dall’ansia di mitigare la sofferenza; individuiamo via via delle priorità per definire gli spazi di impegno in cui possiamo operare.
L’Europa.

C’è per noi, oggi, soprattutto una Europa da costruire.
È una sfida di portata storica fondamentale e rilevante, per noi e per il mondo intero, anche se marcia attraverso faticosi compromessi. Un modo per farne capire l’importanza, e dar forza per affrontare le tappe nuove, è ricordare la storia, e le sofferenze che ci sono state. Anche attraverso quelle abbiamo imparato, siamo andati avanti. Oggi abbiamo relazioni di amicizia, forse di fratellanza, certo di cittadinanza comune, con i discendenti delle persone con le quali i nostri avi combatterono con accanimento, a prezzo di sofferenze non immaginabili.
E’ una sofferenza che ha una sacralità, e che va rispettata. Quella sofferenza resta nel cuore e si trasforma nell’impegno di fare tutto il possibile per costruire una Europa in pace e progredire ancora, e affermare i nostri valori di giustizia sociale e di equità, che altri, più ricchi, non sempre esprimono con la nostra convinzione.
In questa costruzione, impresa, innovazione, efficienza, sono elementi trainanti, ma strumenti non mai dei fini esaurienti.
C’è spesso purtroppo un radicato euro-pessimismo: ci sono dei messaggi che sviliscono il compito che ci aspetta. Ogni piccola conquista sarebbe solo un passettino insignificante, e invece è un passo lento ma che fa procedere, come in montagna, quando non si può correre e non si deve controllare continuamente a che punto siamo.
Piercarlo Frigero
Ordinario di Economia applicata
Facoltà di Economia
Università di Torino
da "Nuovo Progetto" Novembre 2004

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