Dove sei

Pubblicato il 21-11-2015

di Flaminia Morandi

E lasciate le reti lo seguirono, Marcello Cerratodi Flaminia Morandi – Vocazione: quanti equivoci in questa parola! Quando preghiamo per le vocazioni non vuol dire che preghiamo perché più persone possibile si facciano preti e suore, monaci e monache, ma perché tutti, nessuno escluso, comincino il viaggio di verità dentro se stessi a cui Cristo incessantemente ci invita.

La vocazione è una per tutti: l’incontro con Chi è più profondo a noi di noi stessi, l’unico che ci rivela la nostra verità per trasformarci in uomini e donne di Dio. La vocazione è una ma le risposte sono tante, una diversa per ciascuno, perché ogni persona che viene al mondo è unica e irripetibile, qualcosa che non esisteva prima e non esisterà mai più, con il suo specialissimo compito. Diceva un mistico ebraico, rabbi Zusya: “Nell’altro mondo non mi verrà chiesto: Perché non sei stato Mosé? Mi sarà chiesto: Perché non sei stato Zusya?”.

Cominciare da se stessi è l’unica cosa che conta, trovare il coraggio di mettersi in viaggio verso la meta vicinissima e lontanissima che è il nostro cuore, per diventare la carne di un pensiero di Dio. Adamo, dove sei?, dice Dio in Genesi quando Adamo si nasconde dopo il peccato. Eccolo, il peccato: nasconderci sotto inutili travestimenti o dietro qualcun altro dando il via a conflitti senza fine. Dove sei nel mondo? A che punto ti trovi? Ti sei deciso? È la domanda che Dio in ogni tempo continua a fare ad ognuno di noi. A Dio non interessa il come: siamo invitati ad essere liberi e creativi nel modo in cui realizzare la nostra vocazione. Possiamo diventare dei lavavetri come Spinoza, riparare le scarpe come Jacob Bohme, fare i tassisti o i cuochi come Pavel Evdokimov, ma la domanda rimane identica e incollata a noi come un elemento costitutivo della nostra persona. E non è nemmeno una domanda: è una provocazione, è un invito a mettere in discussione noi stessi, sempre. Possiamo, certo, intraprendere una vita religiosa, da monaco o da prete, oppure sposarci e cercare di tenere insieme una famiglia: ma la domanda non smette di esserci rivolta: dove sei? Sei nel tuo luogo o nei panni di qualcun altro che non c’entra niente con te?

Nella liturgia ortodossa, fortemente simbolica, nel sacramento della confermazione c’è il rito della tonsura, uguale a quello dell’ingresso nell’ordine monastico. Anche un laico consacra la sua vita a Dio e il suo battesimo, confermato da adulto, lo mette sulla via del monachesimo interiore, che è appunto la via della verità su se stessi, e non delle balle con cui cerchiamo di infiorettare la realtà per illuderci di essere migliori.

È una strada dura, e chi lo nega? Sant’Isacco il Siro diceva: “Chi vede il proprio peccato è più grande di chi resuscita un morto”. Vedere la propria miseria senza mettersi paura. Quella paura è il segno dell’orgoglio, il peccato di Satana, degli assetati di amor proprio, quelli che stanno a disagio con se stessi e si odiano segretamente. È qui che Dio ci aspetta al varco. Aspetta da noi un atto di coraggio: la libera e consapevole accettazione del nostro destino. Nessuno può farlo al posto nostro. Neppure Dio.

MINIMA – Rubrica di Nuovo Progetto

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