Ernesto Olivero al World Political Forum

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Viviamo in un periodo tragico caratterizzato dalle guerre preventive e dal fanatismo terrorista, dai morti per fame, per malattie, per disastri ambientali.


E’ il nostro tempo.
La nostra memoria storica recente fa i conti con il genocidio del Rwanda, con la pulizia etnica del Kosovo, con la guerra in Iraq e in Cecenia, con le stragi delle Torri gemelle, di Madrid e di Beslan, con i 30.000 morti quotidiani per fame e malnutrizione, con il disastro umanitario che colpisce le popolazioni del Darfur abbandonate senza aiuti, tanto dai paesi occidentali che da quelli arabi e orientali.
Kamikaze e la irrisolta questione palestinese fanno ormai parte del nostro vissuto. L’economia globale sembra andare a braccetto con l’ingiustizia globale.

Oggi nessuno di noi è al sicuro nella sua vita quotidiana: in ufficio, in auto, in treno, in autobus, in metropolitana, in aereo, in chiesa, a teatro, al cinema, allo stadio o al supermercato.
Odio, terrorismo e violenza hanno superato ogni limite; la paura l’indifferenza di tanti verso i più deboli e verso i poveri del sud del mondo aumenta le tensioni.

Siamo immersi in una violenza con radici lontane che affondano nella storia di tutti i tempi e rispondono ad una logica di potere: “se vuoi la pace prepara la guerra”.
Se non portiamo ora il nostro contributo di idee e di opere lo faranno altri, magari proprio quelli che sono responsabili delle tragedie attuali.
Se non voltiamo pagina, presto e bene, vivremo una guerra che non risparmierà nessuno, una guerra crudelissima, un rincorrersi inarrestabile di vendette e ritorsioni.

La vendetta non riporta i morti in vita, non ricostruisce le case e le scuole distrutte, non cura il dolore delle famiglie. Se l’oggi diventa domani non ci sarà più futuro.

Oggi la storia bussa alla porta della nostra intelligenza e noi possiamo contrapporre alla globalizzazione della violenza e del terrore, la globalizzazione del bene.
L’amore è universale, parla tutte le lingue del mondo.
Possiamo abitare una terra amica in cui nessuno si sente straniero, in cui non c’è posto per l’odio e l’altro non è un nemico.
E’ un sogno, è utopia?
No, nella misura in cui con la coerenza della nostra vita rifiutiamo il terrorismo, “la guerra preventiva”, ogni sorta di violenza e di ingiustizia e scegliamo la “pace preventiva”.
Quella pace preventiva che è accompagnata dalla giustizia preventiva,
dal lavoro, dalle cure, dall'istruzione, dai diritti e dalla dignità, dalla libertà, dalla solidarietà preventive. Non possiamo e non dobbiamo accettare un mondo di affamati, di disoccupati, di miseri e di vittime.

Siamo cresciuti pensando che c’erano guerre giuste. Dobbiamo crescere d'ora in poi pensando che tutte le guerre, tutte le violenze sono ingiuste.
Che solo la pace è giusta, solo la giustizia è giusta, solo il cibo, l'acqua, le cure, il lavoro, l'istruzione, l'economia, la politica, l'arte, l'ambiente a servizio di tutti e per tutti sono giusti.

Per realizzare queste attese, per fare la pace abbiamo bisogno di un’economia che non affama e non depreda le risorse, ma le mette a servizio di tutti.
Abbiamo bisogno di investire nella scienza, nella tecnologia,nell’informazione, nella cultura, nella politica le migliori intelligenze e farle diventare protagoniste dello sviluppo e del bene comune.
Abbiamo bisogno subito di un' ONU credibile e autorevole, responsabile del bene comune che rappresenti e dia voce a tutti gli stati, che metta i propri organismi internazionali a servizio dei bisogni, dei diritti, della dignità delle persone e dei popoli.

Abbiamo bisogno che le religioni tornino veramente a Dio
che è amore, giustizia e misericordia. Se questo accade, l'incontro e il dialogo saranno subito fraterni, le incomprensioni e l'odio saranno accantonati.
Le religioni avranno allora l'autorità morale per dire no alle bombe e agli attentati suicidi, no ai muri, no alle guerre, no alle ingiustizie; per dire sì alla vita, una vita che vale per tutti, uomini e donne, senza discriminazioni, senza se e senza ma.

Chi crede in Dio ha una grande responsabilità e mai come oggi deve dimostrarlo con le opere, cioè amando gli altri, aiutando i miseri.
Sono le nostre azioni buone che testimoniano il nostro amore sincero per Dio.
Il dialogo fra le religioni ha una certezza: Dio è buono!

Non usiamo il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la guerra, le ingiustizie e ogni forma di prevaricazione.
Abbiamo bisogno di sottrarre forze e risorse alle fabbriche di armi e trasformarle in Arsenali di Pace. Abbiamo bisogno di dare concretezza alla “bontà che disarma”, quella bontà che non è buonismo o solidarietà di bassa lega, ma che è la chiave per incontrare l’uomo -qualsiasi uomo di qualsiasi religione, di qualsiasi colore- per dialogare con lui e costruire relazioni di pace, di incontro e non di scontro.
Ci sentiamo responsabili e vogliamo caricare la pace sulle nostre spalle.
E' per questo che tentiamo la strada del dialogo con sincerità, disposti a cambiare qualche idea, qualche comportamento perché ci sta a cuore il futuro di tutti.
Il dialogo è un segno dei tempi. Questo è il tempo in cui i buoni, i buoni non credenti, i buoni cristiani, i buoni ebrei, i buoni musulmani, i buoni di qualsiasi appartenenza etnica, politica e religiosa devono incontrarsi per essere ricercatori di giustizia, di solidarietà, di pace, di perdono.

I buoni non sono stranieri in nessuna parte del mondo, non sono estranei a nulla e a nessuno. Aiutano a trovare soluzioni buone, regole buone, confini buoni, un'economia e una politica buone, un potere buono a servizio del bene. I buoni possono dire la verità nella carità, riconciliare e pacificare, curare le ferite e le divisioni.

Cerchiamo un dialogo costruttivo, serio e autentico tra religioni e civiltà, capace di superare le difficoltà presenti oggi sulla scena mondiale.
Per questa ragione all’Arsenale della Pace di Torino abbiamo fondato l’Università del Dialogo.

Il dialogo è frutto dell’intelligenza e avviene in un clima di reciproco rispetto
e reciproco riconoscimento. Il dialogo cammina nella misura in cui ogni popolo, ogni cultura, ogni società si apre al confronto, si mette in discussione, accoglie, rispetta e viene rispettata.
E con chi non vuole dialogare? Il dialogo resta comunque un valore che non viene meno anche se non trova risposta immediata; è una scelta a oltranza, un allenamento continuo che, se non può incidere sull’altro, sicuramente incide su di me. Il dialogo è un investimento.

Nessuno può considerarsi di serie A e relegare gli altri in posizioni di inferiorità.
Oggi a molti l’Islam fa paura, per molti è un grave problema. Noi vogliamo trasformare la paura in una grande opportunità di incontro. Il mondo è un piccolo villaggio dove popoli e culture si intrecciano.
Tutto questo può unire anziché dividere anche se la storia passata e contemporanea ci racconta di stragi crudeli da una parte e dall’altra.

Oggi per ebrei, cristiani, musulmani, induisti, buddisti, laici, per i fedeli di qualsiasi religione è possibile vivere senza odiarsi.

Desideriamo fare tesoro della storia e proporre immediatamente un dialogo fatto di ascolto reciproco.
Il nuovo nome della pace è “reciproco riconoscimento di dignità, diritti, doveri” e si attua anche nel fare in modo che la libertà religiosa praticata a Roma, a Parigi, a New York, a San Paolo sia la stessa a Baghdad, a Teheran, al Cairo, a Riad, a Pechino, a Nairobi, a Calcutta.
Questi nostri desideri non sono provocazioni, sono la via della pace.

Le parti in dialogo riconoscono e promuovono i diritti umani universali, in primo luogo la libertà religiosa e di pensiero. Il dialogo è credibile nella misura in cui chiunque, in qualsiasi stato, può liberamente professare la propria laicità o la propria fede, può cambiare religione o abbandonarla senza che la sua incolumità sia messa in pericolo o che la sua vita di relazione, la sua professione e la sua famiglia ne siano negativamente condizionate.

Il dialogo è credibile se considera le donne e gli uomini, di qualsiasi etnia e religione, come persone che hanno una dignità inalienabile; se s’impegna a promuovere e sostenere la sacralità della vita, con un’attenzione particolare ai bambini e ai giovani che sono il nostro futuro di pace.
Quanti percorrono le strade del dialogo rifiutano le ingiustizie, il fanatismo, la violenza, la guerra, il terrorismo di qualsiasi matrice.
Non tentano di imporre con la forza e con il terrore la propria visione del mondo. Il dialogo fra le religioni porta frutti duraturi di giustizia e di pace.

Di recente alcune aggregazioni di musulmani in Italia ed in Europa hanno preso posizioni chiare di condanna del terrorismo e sulla necessità di integrazione nei Paesi di matrice cristiana in cui vivono.

E' importante che la condanna del terrorismo si estenda a tutti e a ciascuno:
che si condanni non solo il terrorismo globale di Al Qaida, ma anche quello locale in Cecenia, in Palestina o nel Kashmir.
Occorre distinguere con chiarezza il fine del riconoscimento delle aspirazioni dei popoli alla libertà e alla dignità, che molti possono condividere, dal mezzo dell'attacco contro civili innocenti - uomini, donne, bambini - che nessuna “giusta causa” potrà mai rendere accettabile.
Auspichiamo che i musulmani che vivono in occidente possano far sentire la loro voce anche nei loro Paesi di provenienza e negli altri Paesi islamici, per dare corso concreto ad un'apertura di dialogo che consenta di raggiungere una comprensione effettiva e una pace vera.

Il dialogo cammina e porta frutti di pace nella misura in cui fa crescere
la giustizia e il perdono.

Non c'è dialogo per la pace, non c'è dialogo fra le religioni se non facciamo insieme subito qualcosa per dare a tutti dignità, libertà, cibo, acqua, salute, istruzione, lavoro, per aiutare le vittime delle ingiustizie in ogni parte del mondo.

Oggi la nostra sicurezza poggia sulla sicurezza e la vita di tutti, degli occidentali come degli orientali, del Nord e del Sud, dei poveri e dei miseri come di chi vive nel benessere.

Oggi si può cambiare un po’ il mondo.
Oggi si può dare ad ogni bambino che nasce affetto, famiglia,
cure, cibo, istruzione.
Oggi si può pensare che per ogni bambino ci sia vita e non morte.
Oggi si può fare la pace e non la guerra.
Oggi si può realizzare un’economia che non pensi solo al profitto.
Oggi si può pensare ad una politica che torni a dialogare, a servire,
a dare speranza.
Oggi si può credere, non credere, cambiare religione senza correre il rischio di essere perseguitati.

 

 

 

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