Esse

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


S. - Ad indicare il mio vero nome è sufficiente una semplice lettera,
tanto non interessa a nessuno come mi chiamo e poi qui nella strada tutti usano un nome inventato, un soprannome o un nome di guerra, oppure si usa quel nome che ci piacerebbe avere.


Anche la mia età... non ve la dico, non lo dico mai quanti anni ho,
così posso sempre inventare e all’occorenza aumentare o diminuire: se mi ferma la polizia dico sempre che ne ho due in meno... e poi... io sono libera, vado dove voglio, faccio quello che voglio, dormo dove mi pare. Oggi abito qui, in questo scatolone: ci stiamo in quattro - cinque col mio cane - e una candela per vederci nel buio, perchè di notte è buio e fa freddo. Domani se le guardie me la dovessero bruciare andrò da un’altra parte. Quattro assi e due pezzi di cartone li rimedio dappertutto.

Oggi è freddo e ho mal di pancia. Mi hanno detto che è la colla da sniffare... no, non può essere perchè non la uso più, è il crack adesso. Però ho la nausea e la pancia cresce, guardate come cresce, sembra un pallone, un ciccione... c’è dentro un bambino. Ma come ci è entrato un bambino qui, dentro di me? Come ha fatto? C’è un bambino, è vero la pancia si muove e ogni tanto mi dà un calcio, lo chiamerò Ronaldo. Ci è entrato quella notte quando ero con G o con P o con Z o con l’alfabeto intero, non mi ricordo. Ma siccome mi piace G allora vuol dire che che ci è entrato quella notte che ero con G. Ha quattordici anni G, due in meno di me, lo conosco da sempre. Oggi sono grassa da morire, hanno detto che mi aprono la pancia e mi tirano il bambino fuori. Ora che lo guardo bene, a Ronaldo non ci assomiglia per niente. All’ospedale sentivo che dicevano i nostri nomi con l’aggiunta di tre lettere: HIV. Il nome suona meglio, mi piace e anche a me mi hanno chiamato così: S HIV.

È pesante e non so come riuscire a tenerlo con la sinistra mentre mi succhia il latte; con l’altra mano mi preparo il crack. Ho lavorato tutt’oggi, a piedi nudi, il bimbo in braccio, per fortuna che piangeva sempre, così mi davano più soldi, perchè quando si chiede l’elemosina più pena fai e più ci guadagni. E la dose di crack è garantita. E il piccolo però continua a piangere, forse vuole fumare anche lui. È tanto freddo ma il mio letto è la terra nuda e le stelle sono le mie coperte. Nei rifugi notturni non mi ci vogliono perché ho più di quindici anni (visto perchè a volte invento l’età?) e poi adesso ho un bambino e per lui non c’è posto.

E poi non ci voglio andare al rifugio. L’ultima volta c’era un tipo che si faceva chiamare “lo zio” e lavorava come “educatore”... bella roba, non ha fatto altro che toccarmi, per tutta la notte. A me e a F, che è un maschio, infilava la mano sotto le coperte, ci accompagnava in bagno... Non ci vado al rifugio. Adesso se mi faccio toccare da qualcuno per lo meno mi faccio pagare ma è difficile che qualcuno me lo chieda. Anzi, quando mi avvicino e qualche uomo che bazzica da queste parti per venire a toccare o a farsi toccare da qualcuno, questo si allontana un po’ schifato. Forse perchè non faccio più il bagno o forse perchè mi mancano due denti o forse perchè ho in braccio il bambino. Ecco, di questo piccolo non ne voglio più sapere... lo lascio a quella vecchia della baracca sotto al ponte della ferrovia. Le chiederò di tenermelo per un’oretta e non tornerò più.

E così è fatta. Libera, di nuovo libera. Non ho più latte... ho un debito di dieci reais col trafficante... l’altro giorno hanno ammazzato R a coltellate... non aveva pagato... nel rifugio non ci vado... e neanche nel cartone vado più... dieci anni, sono qui da dieci anni... e in tasca ho un pugno di crack e un debito di dieci reais.
Mi fumo anche quello.
Ne vuoi?











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