Essere: per vivere da vivi

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Dal mio osservatorio che è la Comunità del Sermig vedo due contraddizioni nel mondo del volontariato che impediscono a questo fenomeno di essere incisivo, di fare opinione.



Molta gente si avvicina al volontariato per compensare propri problemi. E' gente spesso generosissima nel dare, ma che rischia di coinvolgersi in modo troppo emotivo con metodi non adeguati. Non sono adatti al ruolo che vorrebbero avere. All'opposto molta gente che potrebbe coinvolgersi di più, resta ancorata al fare qualcosa, senza modificare radicalmente il proprio modo di vivere e di pensare. Queste due realtà pongono la contrapposizione tra il fare e l'essere e lasciano sfuggire il vero significato del volontariato.

Fatti per donarci

Il volontariato non è semplicemente il fare qualcosa per gli altri, ma è educarci ad essere, educarci a diventare pienamente persone. Lo specifico del volontario non è risolvere in modo burocratico o emotivo un problema, ma crescere nella sua completezza di donna o di uomo per aiutare altri ad avere completezza.
Il volontario nel nostro tempo afferma con la sua persona e con i suoi gesti che il bisogno primario di ogni uomo è realizzarsi nel dono di sé; con la sua vita dice che l'uomo è fatto per essere felice c che la felicità non sta negli idoli del nostro tempo (denaro, potere, sesso. successo....) ma nel raggiungere equilibrio, armonia interiore tra ciò che siamo e ciò che doniamo.
Siamo fatti per donarci. Questo è il punto centrale da cui nascono le riflessioni successive. Come quando lanciamo un sasso nell'acqua: dal punto di impatto si originano cerchi concentrici sempre più ampi. In un movimento rapido, ma senza strappi bruschi.

Il primo cerchio: conoscersi a fondo

Chi si immette nel cammino di volontariato è coinvolto in prima persona nel conoscersi a fondo: conoscere il proprio limite per non caricarsi di pesi eccessivi, conoscere le proprie capacità per dare il meglio di sé, conoscere il proprio carattere per equilibrarsi bene.
E oltre a conoscersi è necessario anche applicare il comandamento di Gesù (che è buona regola anche per chi non crede) ama il prossimo tuo come te stesso.
Quel come te stesso è stato troppo trascurato specie nel mondo cattolico. Non vuol dire diventare dei narcisisti, ma avere una giusta considerazione di se stessi tanto da poter amare gli altri perché non si può donare ciò che non si è. E' la differenza tra il dare qualcosa (cioè il fare della beneficenza o dell'elemosina) e l'amore oblativo, che è dare se stessi. Erich Fromm ricorda: essere capaci di aver cura di sé è il requisito per poter essere capaci dì aver cura degli altri.

Il secondo cerchio: come donarsi

Entriamo così in un secondo cerchio. Un volontario che arriva fino a questo punto della riflessione, si accorge che l'aspetto fondamentale del suo servizio, non è cosa materialmente fa o dà a chi ha bisogno, ma come dona se stesso.
Nella mia esperienza mi sono accorta che il povero più povero che ho incontrato è stato sempre in grado di distinguere il gesto formale e affrettato dal dono di me. I poveri che ho incontrato (salvo gli imbroglioni, che pure sono una categoria di poveri!), insieme alla soluzione concreta al loro problema, mi hanno chiesto qualcosa di più profondo: comunicarsi con me, conoscere il mio cuore, sentire emergere la mia interiorità, le mie idee, le mie esperienze, i miei desideri, fino alle emozioni e ai sentimenti, fino al mio rapporto con Dio. Questo contatto profondo li ha fatti sentire persone. A partire da questo contatto abbiamo potuto costruire qualcosa nel rispetto reciproco e nella fiducia. Avviene un contatto con il mondo interiore, che l'uno e l'altro hanno bisogno di sentire vibrare. Questo è amare e questo è sentirsi amati.
Questo è dare se stessi.
Il volontario non può partire per la sua avventura senza essere consapevole di questo suo ruolo delicatissimo e del viaggio che si appresta a compiere. Pensava di fare qualcosa per qualcuno, in realtà si trova a tu per tu con se stesso, a verificare se in lui c'è autentica carità, se c'è autentico amore a Dio... Subito dopo si trova a tu per tu con un altro che lo spinge a dilatare il cuore nell'amore. I poveri ci insegnano ad essere autentici.

Il terzo cerchio: fidarsi dell'altro

La comunicazione profonda con l'altro presuppone un ulteriore passo: la fiducia nell'uomo. I poveri del nostro tempo ci provocano a questo salto di mentalità. Avere fiducia nell'uomo a volte è credere nell'impossibile. Eppure senza questa fiducia non si fa molta strada.
Lavorando a fianco dei difficili poveri di oggi, frutto e vittime al tempo stesso della società del benessere, si vivono più delusioni che successi, più umiliazioni che vittorie, più lotta che festa...
Eppure il cuore in fondo ci dice che un vero incontro non si cancella, un vero incontro può mettere in movimento qualcosa. I germi di eternità sono posti anche nell'uomo più abbruttito e anche in questo uomo può succedere ciò che dice il profeta in un versetto molto bello: egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia per allietare in te tutti i deportati, per far contenti in te tutti gli sventurati.
Anche in un uomo abbruttito c'è un uomo interiore che ha bisogno di assoluto ed il nostro stargli a fianco è perché emerga la sua interiorità. Non c'è in una intera vita, cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro cingendoti il collo possa rialzarsi (Pintor).
Siamo soliti dire che l'uomo ha bisogno di casa, di cibo, di medicine, di istruzione, ma non gli basta. L'uomo ha bisogno di amare e di essere amato. Ha bisogno di scoprire il senso della vita. Questa è l'anima del volontariato.

Il quarto cerchio: non guardare l'orologio

Questo uomo domanda il mio tempo. Mi chiede di trovare il tempo per lui, di perdere del tempo con lui. E' minimo il tempo che si impiega a fare qualcosa di materiale in confronto al tempo necessario ad accompagnare una persona.
Occorre anche il tempo per imparare ad essere, a formarsi, a crescere. Perdiamo molto tempo a stordirci, ma bisogna recuperare del tempo per il silenzio, per la preghiera se siamo credenti, per l'approfondimento, per ripensare al nostro lavoro.
La preparazione del volontario è permanente. Si va verso una professionalizzazione del volontariato, non nel senso che diventi professione, ma competenza sempre maggiore.

Il quinto cerchio: imparare a collaborare

Un cerchio ancora: essere ma non da soli.
Non è più tempo di operare da solitari. Viviamo una realtà difficile; i problemi del nostro tempo (carcerati, disabili, malati psichiatrici, tossicodipendenti, sottosviluppo,...) sono complessi; la mentalità corrente tende a scoraggiarsi. E' il tempo di operare insieme. Bisogna unirsi a gruppi di servizio e, con il sostegno del gruppo, cercare anche legami esterni.
Per noi è importantissimo il lavoro di équipe.
Non c'è mai uno solo che si occupa di un caso e attorno a questo caso muoviamo altre realtà esterne: servizi sociali, amici,... I risultati più belli sono nati da collaborazioni di questo tipo.
Lavorare insieme ad altri significa avere elaborato un metodo, frutto della riflessione e dell'esperienza di tanti. Significa confrontarlo, sapersi rivedere, mettersi in discussione con umiltà, accettare che l'esperienza ci faccia cambiare.

Il sesto cerchio: impastarsi nel sociale

Stiamo andando verso l'esterno, l'onda si allarga e abbraccia realtà più vaste.
Il compito sociale del volontariato è sapere leggere, interpretare i segni dei tempi e agire di conseguenza. Leggere le contraddizioni della società e affermare valori alternativi; opporre all'indifferenza la solidarietà, al giudizio la tolleranza, al rifiuto del diverso la comprensione, alla sfiducia dilagante la speranza.
E' compito del volontariato far entrare questa mentalità nel tessuto sociale, ed inoltre essere pronto a rispondere ai nuovi bisogni emergenti,
studiare, predisporre strategie, fare pressione perché le istituzioni si facciano carico di ciò che loro compete.

Costruire l'Uomo

In un momento di grande confusione e di assenza di riferimenti, la mentalità che un volontariato autentico incarna diventa riferimento preciso, faro di luce per molti che vogliono uscire dal tunnel in cui ci ha posti la cultura di morte del nostro tempo.
Il volontariato è quindi un nuovo modello culturale, non può quindi chiudersi nel semplice assistenzialismo che a volte lo gratifica. Deve farsi carico del singolo e farlo con amore, ma non può perdere di vista la globalità della vita dell'uomo.
Ognuno di noi dovrebbe essere consapevole di questa responsabilità.
Nei nostri gruppi, nelle nostre case entra un problema. Se abbiamo lavorato bene, ne esce un uomo.

Rosanna Tabasso

tratto da Nuovo Progetto - n°3, p. 10, 1994





Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok