ETIOPIA: diario di viaggio

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


“Fra i vinti la povera gente fa la fame. Fra i vincitori fa la fame la povera gente…” (B. Brecht). Vi proponiamo alcuni semplici passi, a piedi, tra i risultati di guerra, politica, orgoglio nazionale e interessi internazionali.

di Laura Gori

 Sono qui, nella mia cameretta di 3 metri per 3 sotto un tetto di lamiera ondulata. Sono seduta sul letto, davanti alla parete giallastra. Stasera è veramente difficile per me descrivere ciò che ho visto appena poco fa. Anzi, vorrei non aver visto; vorrei non avere accompagnato padre Renato…

All’imbrunire, mentre io e Luigi eravamo appoggiati ad un muretto e stavamo guardando una partita di palla a volo tra giovani del vicinato, padre Renato, con una coperta sotto il braccio, ci chiama da lontano: “Venite! Vado da una vedova con due bambine che abita qui sopra. Sta morendo, ha un tumore… le ho promesso che farò ‘adottare a distanza’ la sua seconda figlia, così potrà andare a scuola”.

Usciamo dalla Missione e il brevissimo crepuscolo tropicale lascia il posto alla notte. Ci inerpichiamo per una stradina fangosa, ripida, dove è facile scivolare. La fioca luce di qualche rara lampadina della pubblica illuminazione permette appena di vedere dove mettere i piedi. Sono tesa, attenta a non scivolare. Dietro di noi un codazzo di bambini quasi tutti scalzi. Man mano che ci inoltriamo tra le case se ne aggiungono altri. Presto siamo preceduti, accompagnati e seguiti da una piccola folla che indovina il nostro percorso e ci scorta all’entrata di una casa. No, non si può definire casa questo “tugurio”!

La donna è distesa sul letto di legno grossolanamente tagliato. Intorno, per terra, uno strato di giornali: è il letto delle due figliolette. Sopra il letto uno spago con attaccati dei vestiti sdruciti. Dalla parte opposta, accanto alla porta, un catino di ferro con delle braci. Qualche cesto di paglia intrecciata sembra funzionare da mobilio. In una caratteristica cesta larga e dal coperchio a cono viene tenuta la “injera” (il tipico “pane” etiopico). Oltre la porta l’unica apertura è una finestrella senza vetri. Due tavole incernierate per chiuderla quando fa troppo freddo.

I muri di “cicca” (argilla e paglia mescolate e seccate al sole) sono neri per la fuliggine. Ma piccole mani immerse in una tinta color caffellatte hanno creato una decorazione naif, insieme a figurine e ad un pezzo di giornale stampato in inglese. In quell’unica stanza si stringono, oltre la donna malata e le figlie, due vicine di casa e altre bambine. Una di queste indica uno “sgabello” a me e a Luigi. Lui si siede; io faccio cenno che non posso. Sono come impietrita: i miei occhi girano intorno senza riuscire a darsi pace. Sulla mia testa ondeggia una lampadina appesa al filo. Sopra la lampadina intravedo un soffitto di ragnatele. Mi sento circondata da animaletti invisibili. Penso ai microbi che sto inalando…

Usciamo. Invece di tornare indietro per i viottoli ripidi, imbocchiamo la strada principale. Padre Renato ci racconta che quindici giorni fa, in una casa poco lontano, nel giro di una settimana sono morti un uomo e una donna senza una causa accertata. Rimangono 5 figli piccoli: dei parenti che abitano vicino si sono presi cura di loro. Poi una donna ci chiama sul ciglio della strada. Padre Renato ci traduce l’amarico: vuole che andiamo a casa sua.
No, non ne ho proprio voglia! Sento salirmi dentro il desiderio impellente di rifugiarmi tra le mura della Missione, di chiudere gli occhi, di non vedere, di non sapere… Ma non posso scappare da sola.

Questa casa - se si può dire - è peggio dell’altra. Qui non c’è nemmeno la debole luce di una lampadina. Una bambina ci fa strada illuminando il viottolo sudicio tenendo in mano una bottiglia con uno stoppaccio acceso e immerso nel petrolio. Si intravede una baracca ancor più piccola della camera dove sono alloggiata. Ci stanno in cinque. L’hanno divisa in due con del canniccio. Da una parte, su delle tavole,, ci dormono. Dall’altra ci cucinano e ci mangiano. I “muri” sono tappezzati di fogli di giornale.

Mi assale un senso di nausea, disgusto, insopportazione per i bambini che mi si accalcano intorno frugandomi tutta per cercare le caramelle (“candy, Laura, caramella!”), disgusto per quelle strade che non sono strade, ma rivoli di fango e di fogna in cui sprofondi fino alle caviglie. Disgusto per quelle case che non sono case. Disgusto per una vita che non so come si possa chiamare vita. Ribrezzo, disperazione, rabbia, non so bene come definirla questa sensazione: mi stringe lo stomaco come se uno mi tirasse un pugno. Mi viene da tossire, sputare, vomitare. Mi sembra di soffocare…

Mentre cammino a passo svelto verso la Missione, davanti a me, sotto un cielo incredibilmente stellato, padre Renato balzella tenendo per mano due bambini molto piccoli. Tutta la strada è occupata da una fila di bimbi che si tengono per mano. Fa tenerezza vederli… è una scena magica, quasi di sogno.

A cena non mi va di mangiare. Spremo un po’ di limone in un bicchiere d’acqua calda. Chiedo a padre Renato se non gli prende mai la disperazione, se non lo assale mai un senso di assoluta impotenza. Mi risponde, ma sembra che lo dica prima di tutto a se stesso: “più che disperarsi è meglio fare, dare una mano e gioire di quel poco”. È meglio che avvilirsi e non fare niente. Qualcuno si è aiutato, qualcosa si è fatto.

Prima di andare a letto faccio una rapida ispezione alle pareti e con lo zoccolo inchiodo una zanzara… Ma ormai mi importa poco. Qui, in Africa, c’è da pensare a troppe cose: l’acqua che non bisogna bere, le posate e i bicchieri che vanno asciugati e riasciugati… E poi la carne poco cotta, le verdure crude, i microbi che inali passando per le strade tra pecore, mucche, asini e fango. Ah! L’Italia, con la pancia piena dei tre pasti al giorno, le case di mattoni e di cemento, le strade asfaltate e illuminate a giorno!!! Qui la gente cammina scalza in mezzo alla fanghiglia, dorme in baracche fatiscenti, è vero che mangia sì e no una volta al giorno… ma dove la trova la forza di ridere… e ridere e ridere???

Laura Gori
da Asella (Etiopia)





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