Follia in UGANDA

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


In 15 anni di guerra sono quasi 30.000 i civili morti, 850.000 gli sfollati, 20.000 gli adolescenti arruolati per combattere. Uomini, donne e bambini del nostro tempo che chiedono di essere ascoltati, soccorsi, curati. "Nuovo Progetto" continua a parlarne, per dare voce a chi non ha voce, senza stancarsi di dire che siamo contro ogni guerra, conosciuta o sconosciuta che sia.

... Aldo Maria Valli


 E' una delle guerre più feroci che insanguinano l'Africa, ma ne sappiamo poco o niente.
L'opinione pubblica mondiale, concentrata sull'Iraq e il M.O., finisce col dimenticare del tutto drammi, povertà, calamità che attanagliano le popolazioni più periferiche del pianeta.
E' il caso dell'Uganda, dove in 15 anni di guerra sono quasi 30.000 i civili morti, 850.000 gli sfollati, 20.000 gli adolescenti arruolati per combattere. Uomini, donne e bambini del nostro tempo che chiedono di essere ascoltati, soccorsi, curati.
Dal 1986 ad oggi i morti sono stati decine e decine di migliaia, le violenze continue, le violazioni dei diritti umani innumerevoli. Un dramma dimenticato, di cui i paesi ricchi si occupano distrattamente solo quando arriva notizia di qualche massacro. Eppure le fonti di informazione ci sono, soprattutto per merito dei missionari, che in quelle terre continuano a vivere, a lavorare e a morire.
Da una ventina d'anni la parte settentrionale dell'Uganda, che confina con il Sudan, è teatro di violenti conflitti armati tra l'esercito governativo e tre gruppi ribelli alleati fra loro: l'Esercito di resistenza del signore (Lra), il Fronte della sponda occidentale del Nilo (Wnbf) e le Forze democratiche alleate (Adf). Questi tre gruppi, appoggiati e foraggiati dal governo del Sudan, hanno come obiettivo la destituzione del presidente ugandese Yoweri Museweni, che con il suo Movimento di resistenza nazionale, composto soprattutto da tribù del Sud dell'Uganda, prese il potere nel 1987 abbattendo il regime militare di Tito Okelo, un generale di etnia Acholi, regione del Nord.
In un contesto di forti rivalità tribali, in cui il potere viene conquistato e gestito con la violenza, il conflitto si trascina all'insegna di atrocità inaudite, compiute con particolare accanimento dall'Esercito di resistenza del Signore guidato da Joseph Kony, un pazzo visionario, di etnia Acholi, successore di una sua zia, Alice Lakwena, sacerdotessa vudù che tra l'87 e l'88 guidò gli Acholi nelle rivolte tribali contro il presidente Museweni.
All'apice della loro rivolta i guerrieri dell'Armata del santo spirito (così si chiamava il movimento fondato dalla Lakwena), arrivarono fino alla periferia della capitale Kampala, ma qui, armati solo di sassi e di lance, furono massacrati dall'esercito governativo. L'eredità dell'Armata venne raccolta da Kony, ma in breve tempo i suoi guerrieri (che in lingua Acholi sono chiamati Olum, cioè "erba") da oppressi si trasformarono in oppressori, sottoponendo le popolazioni del Nord a continue vessazioni e sequestrando migliaia di bambini per trasformarli in piccoli soldati.
Obiettivo di Kony è instaurare in Uganda un regime basato sull'applicazione letterale dei dieci comandamenti biblici, ma la religione in realtà non ha niente a che fare con questo personaggio che sembra uscito dalla mente di un regista di film horror. Convinto di essere posseduto da uno spirito-guida, Kony ha elaborato una "dottrina" in cui si mischiano cristianesimo, animismo e magia africana, ma che di fatto è segno di una follia galoppante. Basti pensare che ai dieci comandamenti ne ha aggiunto uno che vieta di guidare le biciclette! Ci sarebbe da sorridere se la situazione non fosse drammatica. Qualunque sia il delirante comandamento ordinato dallo spirito-guida (per esempio sterminare i maiali, o perseguitare i proprietari di polli bianchi), Kony lo fa applicare con la forza dai suoi miliziani. L'addestramento è brutale. Ai ragazzini rapiti, spesso drogati, viene insegnato l'uso del machete e sono obbligati a mutilare e a uccidere. Se non lo fanno, vengono loro stessi mutilati o uccisi. In battaglia devono portare con sé un amuleto che, in caso di pericolo, dovrebbe innalzare di fronte a loro una montagna. Ritirarsi o arrendersi è proibito da Kony, il quale però non ha mai combattuto e se ne sta al riparo in qualche rifugio. Le principali basi del suo esercito sono nel Sud del Sudan, area a maggioranza cristiano-animista in un paese musulmano acerrimo nemico dell'Uganda, il quale a sua volta finanzia e arma i ribelli dello Spla, l'Esercito di liberazione del popolo sudanese, che da vent'anni lotta per il potere nel Sudan del Sud (vedi N.P. marzo 2002 e 2003).
In questa complessa realtà entrano in gioco questioni tribali, etniche e anche razziali che normalmente sfuggono all'osservatore occidentale. Rivelatrici, da questo punto di vista, sono alcune considerazioni fatte l'estate scorsa, durante il Meeting di Rimini, dal vicepresidente ugandese Gilbert Bukenya. Intervistato dalla rivista Mondo e missione, il rappresentante del governo di Kampala ha detto: "In Africa vivono tre tipi di persone: i neri, i bianchi e gli arabi. Noi neri abbiamo risolto i nostri problemi con voi bianchi, ma abbiamo ancora un problema aperto con gli arabi, perché costoro continuano ad avere un obiettivo: arabizzare l'Africa orientale fino alle sorgenti del Nilo. Prevedo che nel giro di 10-15 anni tutte le guerre che oggi affliggono l'Africa saranno concluse, tranne una: la guerra fra gli arabi e i neri del Sudan. Perché si tratta di una guerra razziale, e non finirà tanto presto". Il motivo per cui l'Uganda, afferma Bukenya, aiuta l'Spla è proprio dato dal fatto che questo movimento lotta per la sopravvivenza dei neri sudanesi, perché non siano arabizzati.
 "Una delle zone che continua a essere molto bisognosa e carente di assistenza è quella di Gulu", spiega Marina Vitali, portavoce dell'Amref, (African medical & research foundation). "La maggior parte della popolazione vive in campi profughi dove le condizioni sanitarie sono terribili: c'è pochissima acqua e le malattie sono all'ordine del giorno". Morbillo, tubercolosi e poliomielite mietono vittime soprattutto fra i bambini, per questo Amref e Avis stanno realizzando un programma di vaccinazioni.
E un altro problema grave è quello dei bambini che scappano dai campi profughi verso i centri urbani per sfuggire ai ribelli dell'Esercito di resistenza del signore. Marina Vitali non esita a definire la situazione "infernale", perché i ribelli devastano intere zone, rapiscono bambini e donne, massacrano le popolazioni di interi villaggi. Nei campi profughi la speranza è morta da tempo. Pur vivendo in una zona fertile, la gente non può coltivare. C'è magari un solo pozzo d'acqua ogni 10-15 mila persone. E tutto questo da quasi vent'anni.
In un quadro così drammatico, segnato dall'odio per il nemico e dalla sofferenza di tanti innocenti, l'unica luce di speranza è portata da volontari e missionari, i quali però, proprio per questo, spesso pagano il loro impegno con la vita. E' il caso di padre Luciano Fulvi, il comboniano ucciso a coltellate nel Nord dell'Uganda alla fine di marzo. Ottimo conoscitore della realtà ugandese, dove aveva vissuto una prima volta tra il 1956 e il 1964 e poi di nuovo a partire dal 1990, p. Fulvi, 76 anni, era impegnato nella pastorale vocazionale nella missione di Laybi. "Era estremamente affabile e sorridente, e non ha mai avuto paura delle difficoltà, nemmeno in un contesto drammatico come quello del Nord Uganda", dice il suo confratello Giulio Albanese, che lo aveva incontrato tre settimane prima dell'omicidio, i cui responsabili restano ignoti. Probabilmente si è trattato di un tentativo di rapina, e c'è il sospetto che gli assassini facessero parte di un gruppo di circa ottocento civili entrati nella missione per sfuggire alle violenze dei miliziani dell'Lra.
Con la morte di padre Fulvi sono quattordici i comboniani uccisi in varie circostanze in Uganda negli ultimi vent'anni, un tributo di vite altissimo che fa capire in quali condizioni siano chiamati a operare i missionari in queste regioni. Per esperienza diretta ne è ben consapevole lo stesso p. Albanese (due anni fa, durante uno dei suoi frequenti soggiorni in Uganda, finì nelle mani dei guerriglieri di Kony che lo tennero prigioniero), direttore dell'Agenzia di informazioni Misna, una delle poche fonti giornalistiche che mantengono i riflettori accesi su quel mondo disperato (www.misna.it).
 






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