Giornata dei missionari martiri 2007

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea


ANNALENA TONELLI: “SCELSI DI ESSERE PER GLI ALTRI”
Ricorre domani, 24 marzo 2007, la Giornata internazionale nella quale la Chiesa ricorda tutti coloro che sono stati uccisi lontano dal loro Paese per amore di Dio e dei fratelli. Pubblichiamo la storia di Annalena Tonelli, uccisa in Somalia il 5 ottobre 2003, e del suo esempio coraggioso. Ci è arrivata in redazione in risposta ad un appello inviato alla mailing list del Sermig, nel quale chiedevamo storie di “maestri di vita”. Le frasi di Annalena sono tratte da un discorso da lei pronunciato il 30 novembre 2001 in Vaticano, in occasione di un Convegno sul volontariato (pubblicato da marbriella.it/comitato, il sito del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo nato a sostegno di Annalena e che ne mantiene viva la memoria).


di Andrea Balloni
  
Stava accudendo i suoi malati di tubercolosi nell’ospedale fondato da lei a Barama in Somalia, quando un colpo di fucile le spezzò la vita. Quel 5 ottobre 2003, domenica, morì Annalena Tonelli, in silenzio, come aveva trascorso tutta la sua vita. La Somalia rimase in lutto, a Forlì, la sua città natale, le bandiere scesero a mezz’asta e nei giornali si scrissero poche confuse notizie sull’attentato.

Annalena Tonelli
Annalena è rimasta in Africa, così voleva e così hanno voluto i familiari dopo la sua morte. È sepolta in Kenia a Wajir, vicino al confine somalo, dove più di trent’anni prima aveva iniziato il suo instancabile lavoro al fianco dei nomadi del deserto. Nata nel 1943 a Forlì, a 26 anni, fresca della laurea in giurisprudenza, decise di partire per l’Africa come insegnante. Nonostante fosse già impegnata nell’aiuto dei più poveri nella sua città (aveva fondato anche il Comitato per la lotta contro la fame nel mondo) scelse di aprirsi al mondo: “I confini della mia azione mi sembravano così stretti, asfittici… poi compresi che si può amare ovunque”.

La spingeva l’amore fortissimo per Gesù: “Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio. Era una esigenza dell'essere quella di non avere una famiglia mia”.

 

Scelse di vivere radicalmente povera, tra i clan dei nomadi somali del deserto, prima in Kenia e poi in Somalia, scontrandosi con una realtà non certo accogliente: “Tutto mi era contro allora. Ero giovane e dunque non degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca e dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutti: bianchi, neri, gialli appartenenti a qualsiasi nazionalità che non sia la loro. Ero cristiana e dunque disprezzata, rifiutata, temuta. Tutti allora erano convinti che io fossi andata a Wajir per fare proseliti. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non valore”.

Si innamorò dei malati di tubercolosi, che morivano soli per paura di estendere il contagio, e legò indissolubilmente la sua vita alla loro: “Li servivo sulle ginocchia, stavo accanto a loro quando si aggravavano e non avevano nessuno che si occupasse di loro, che li guardasse negli occhi, che infondesse loro forza”. Si mise a studiare e, pur non essendo medico, i suoi furono i primi trattamenti efficaci per la TBC. Si poteva guarirla. Fondò un centro di cura, dove le tribù nomadi si fermavano per sei mesi e ripartivano guarite, seguendo il suo metodo di cura. I risultati erano così sorprendenti che la notizia rimbalzò in giro per il mondo e se ne interessò anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Oggi proprio l’OMS ha certificato questo metodo, che viene attualmente usato nelle zone più povere dell’Africa e dell’Asia.

Annalena non si ferma: c’è tanto da fare. Fonda un centro di riabilitazione per i disabili dove accoglie handicappati, ciechi, sordomuti, malati di mente, epilettici. Tutti ricevono cure ed istruzione. Addirittura, le scuole da lei fondate sono attualmente tra le migliori in Kenia e in Somalia. Iniziano ad arrivare aiuti sempre più numerosi dall’Italia e da altre parti del mondo e anche l’ONU premierà il suo operato. Ma quello che cerca Annalena non sono i risultati, né tanto meno pubblicità e riconoscimenti. La sua è una continua ricerca della Verità, vivendo totalmente per gli altri. Non la spaventano le continue minacce di morte e le violenze, né lo sterminio del governo keniano contro i nomadi somali (al quale peraltro si opporrà fermamente, denunciandolo anche alle autorità internazionali). Assume la condizione di vita dei più poveri: magrissima, con solo due tuniche, dorme pochissimo la notte, presa com’è nel suo lavoro.

Annalena riceve molta forza dall’incontro con l’altro. In una terra inizialmente molto ostile, trae insegnamenti che rafforzano la sua fede e la aprono al dialogo. “Noi abbiamo la fede e voi avete l’amore” le dirà un giorno un capo somalo. È il tempo del “grande disgelo”, come dice lei stessa, ed inizia un rapporto di mutua fiducia. Dà forse una delle più belle formulazioni del dialogo interreligioso: “Il dialogo con le altre religioni è questo. È condivisione. Non c'è bisogno quasi di parole.

Il dialogo è vita vissuta, almeno io lo vivo così, senza parole”. Ogni sua giornata termina di fronte all’Eucaristia, che in concessione straordinaria può conservare in una tenda dell’accampamento: “La vita mi ha insegnato che la mia fede senza l'Amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie né pellegrinaggi... che quell'Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: ‘Questo è il mio corpo, fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, mangi la tua condanna. L'Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra’.

Ma il dono più straordinario, il dono per cui io ringrazierò Dio e loro in eterno e per sempre, è il dono dei miei nomadi del deserto. Mussulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l'abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa ed arroccata in Dio, una resa che è fiducia e amore. I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio. ‘Bismillahi rahmani rahim’... Nel nome di Dio Onnipotente e Misericordioso... Ci si alza nel nome di Dio, ci si lava, si pulisce la casa, si lavora, si mangia, si lavora ancora, si studia, si parla, si fanno le mille cose di ogni giornata, e finalmente ci si addormenta: tutto nel nome di Dio”.

Il messaggio finale che ci lascia questa donna è di grande speranza, di fronte alle nostre sconfitte e difficoltà: “Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre... I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all'immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio. Inventiamo... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita”.

Andrea Balloni

Su Annalena Tonelli vedi anche:
8 marzo con Annalena
Io sono nessuno

Altri articoli:
Martiri: perché?

  
  

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok