GIOVANI DI FRONTE ALLA VIOLENZA/3 Adolescenti aggrediti e aggressori

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


“La violenza è molta ed è molto faticoso combatterla, scegliere un altro stile anche perché significa prendere coscienza degli istinti e del male di cui siamo capaci” dice una 24enne. E con la stessa sincerità è addirittura un 14enne a commentare “Secondo me i ragazzi della mia età quando sono in difficoltà rispondono con la violenza”. Quanto è difficile capire cosa si agita dentro di noi! E quanto è difficile esprimerlo! Soprattutto perché non esiste un manuale di istruzioni per l’uso, e quand’anche ci fosse, varrebbe l’antico adagio “la mappa non è il territorio”.

di P. M. Furlan, F. Canale, C. Zampaglione

Paolo, 15 anni, da bambino si strappava compulsivamente i capelli fino ad avere metà della testa completamente nuda. Adesso scappa da casa, picchia i compagni per futili motivi, minaccia i genitori, ruba i soldi in casa, si aggrega ad un gruppo di ragazzi più grandi che fanno uso e spacciano sostanze. Roberta, 16 anni, dà fondo ai liquori di casa fino a stordirsi, mangia smodatamente per poi sottoporsi a giorni di digiuno, tenta più volte il suicidio. Federico, 17 anni, ha una condanna per avere partecipato ad un’aggressione di gruppo ai danni di un coetaneo, procurandogli lesioni gravi.
 Al di là di qualsiasi manifestazione esterna di violenza, l’adolescente spesso prova una grande violenza sia in lui che intorno a lui. I suoi desideri, le sue pulsioni, i suoi sistemi ideali sono vissuti e/o espressi con estrema intensità, addirittura con violenza. Il mondo esterno sembra, agli occhi dell’adolescente, esercitare su di lui una pressione che egli spesso giudica violenta e della quale può desiderare di disfarsi, utilizzando quella stessa violenza.
Il termine violenza fa riferimento essenzialmente al campo sociologico e giuridico, mentre il termine aggressività al campo psicologico e medico. L’aggressività in sé non è né buona né cattiva, non necessariamente esita in violenza, può anche evolvere in senso costruttivo.

Nell’adolescenza, i conflitti e le angosce vengono frequentemente espressi, “evacuati” attraverso condotte agite ovvero azioni che presentano per lo più carattere impulsivo. La violenza, quale manifestazione dell’aggressività, può essere diretta verso l’esterno o verso se stessi.

Tra le condotte eteroaggressive, in cui la violenza è diretta verso l’esterno, ricordiamo il vandalismo legato per lo più all’azione di una banda. Secondo Charmet (Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta, si occupa in modo particolare di problematiche adolescenziali, anche nelle sue molteplici pubblicazioni – n.d.r.) il soggetto che commette più reati nell’area minorile è il gruppo ed in particolare il gruppo banda. Tale gruppo ha un funzionamento paranoico che s’innesta su un vissuto depressivo, causato dalla mancanza di progettualità futura.

La mancanza di progettualità futura, d’altra parte è caratteristica e spinta dell’adolescente che per risolverla si aggrega al gruppo dei pari età. Il gruppo amicale, esperienza funzionale al superamento del momento depressivo individuale, si trasforma in gruppo banda nel momento in cui non è più in grado di avere un progetto, cioè di gestire l’immediato futuro come significante di tutti i futuri possibili sperimentando così un vissuto depressivo di gruppo, da superarsi attraverso comportamenti violenti e antisociali.

Il comportamento antisociale diviene quindi unico strumento di visibilità, sostituto di un mancato futuro. Il presente viene così rappresentato da azioni delinquenziali finalizzate ad aggredire il “debole” e il “diverso” poiché specchio depressivo del singolo e del gruppo esorcizzando quindi il timore d’essere ciò che si aggredisce.

Vi sono inoltre comportamenti distruttivi compiuti singolarmente (ad es. il comportamento piromane), e la violenza contro le persone sia intrafamiliare che extrafamiliare, come vittime e come aggressori.
Tra le condotte autoaggressive, in cui la violenza è diretta verso se stessi, ricordiamo gli atti autolesivi, i comportamenti d’abuso (droghe, alcol, tabacco…), i comportamenti equivalenti del suicidio (ripetizione di incidenti della strada o per “overdose” nei tossicomani) e i tentativi suicidari.

Il servirsi dell’azione mette al riparo l’adolescente dalla paura della passività, che rimanda alla sottomissione infantile e costituisce un modo per darsi un ruolo attivo nella ricerca dell’affermazione di sé. L’adolescente agendo evita di sentire la sofferenza, adotta una modalità di fuga di fronte ad un affetto o alla rappresentazione di questo che risulta sgradevole alla sua coscienza. L’agire inoltre può essere considerato come un mezzo indiretto per acquisire, dissimulare o rivelare un’informazione attraverso un rapporto interpersonale con un altro individuo, sia questo un adolescente o un adulto.
Con i coetanei, l’adolescente cerca quest’interazione per appartenere ad un gruppo, per accrescere, mantenere o difendere la propria autostima. Con l’adulto, l’adolescente media l’interazione con l’azione per metterlo in difficoltà, per attirarne l’attenzione, per cercare dei limiti.

Perché l’aggressività non si traduca in violenza ma possa evolvere positivamente è necessaria la mediazione da parte di adulti (genitori, insegnanti…) che svolgano una funzione di contenimento, di filtro con la realtà e i modelli proposti.
Possiamo quindi notare come le modificazioni delle forme dei comportamenti violenti nell’adolescenza presentino un carattere storico-sociale, come riflesso anche di un mutamento a livello educativo. Attualmente possiamo osservare come ci si trovi spesso di fronte ad una specularità di rapporti, ad una caduta di simmetria sia nei rapporti tra genitori e figli sia tra uomo e donna. Si tende ad una certa omologazione dei ruoli, dei comportamenti sessuali, ad una certa indifferenziazione delle funzioni, comprese quelle paterne e materne. Capita, infatti, con una certa frequenza di ascoltare adolescenti che lamentano che litigare con i genitori è come litigare con gli amici e che i loro genitori angosciati non pongano limiti, diventando ai loro occhi sempre meno rassicuranti.

L’adolescente è alla ricerca di esperienze e di limiti per crescere, per entrare nella vita adulta. Molti comportamenti rischiosi rientrano in questa logica. Il rischio può assumere però anche un significato differente, quale appoggio di un’eccitazione che minaccia il soggetto di debordamento, lotta contro vissuti di noia e vuoto, proiezione dell’angoscia o del malessere all’esterno. In questo caso la ricerca di eccesso rischia di diventare uno stile di vita.
Nel riconoscimento delle condotte a rischio è importante tenere presente non solo il tipo di condotta ma la ripetizione e la durata di questa, il cumulo delle manifestazioni di sofferenza e/o devianza con la comparsa di nuove condotte che si aggiungono alle precedenti, gli eventi della vita negativi sia per l’adolescente stesso che per il suo ambiente circostante. Riconoscere la violenza, di cui si è vittime sempre anche quando si è aggressori, è il primo passo per potere essere aiutati a non fissarsi in un tipo di difficoltà la cui ripetizione rischia di impedire, bloccare il processo dell’adolescenza.

 


Gustavo Pietropolli Charmet,
Adolescenza. Istruzioni per l’uso
Fabbri Ed. 2005

 
P. M. Furlan, F. Canale, C. Zampagliene
da Nuovo Progetto gennaio 2006

Vedi anche:
GIOVANI DI FRONTE ALLA VIOLENZA/1



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