GRATTACIELI

Pubblicato il 31-08-2009

di Loris Dadam


Il nome stesso allude al desiderio mai sopito dell’uomo di… toccare il cielo con un dito. Ma si tratta anche di una delle espressioni transnazionali della creatività del lavoro umano.
di Loris Dadam

Nella nostra città, a Torino, da un po’ di tempo si discute animatamente dell’opportunità o meno di costruire alcuni grattacieli, se debbano o no essere più alti della Mole Antonelliana, che cosa rappresentino effettivamente gli edifici alti per l’ambiente circostante.
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Premetto che non ho nulla contro i grattacieli, anzi, alcuni sono veramente splendidi. Come qualsiasi altra costruzione, dipendono ovviamente, oltre che dalla propria intrinseca armonia, anche dai rapporti con l’ambiente che li circonda. Chiunque sia stato a Manhattan non può, onestamente, dire che si tratti di un ambiente inumano solo perché vi è la più alta concentrazione di grattacieli, in quanto nelle strade e sopra i tetti brulica una delle più varie, cosmopolite, multirazziali e multireligiose, umanità; e i grattacieli, visti da sotto, non danno alcun senso di oppressione, anzi sono sorprendentemente umani con il mutevole cielo che vi si specchia.

Anche il recente distretto di edifici alti costruito a Londra al posto dei vecchi Docks dismessi sul Tamigi, il Canary Wharf, pur non avendo il fascino di New York, possiede una sua armonia, soprattutto per il rapporto con il cielo e l’acqua del fiume. La Defense di Parigi, malgrado il famoso arco, è meno pensata, ma comunque accettabile, mentre non ha alcun senso il grattacielo isolato di Montparnasse, che deturpa il panorama visto dal Sacre Coeur di Montmartre.

Dal punto di vista puramente estetico, quindi, le torri alte hanno bisogno di un loro contesto per assumere un rapporto positivo con le preesistenze. Per questo il mio parere è che, se si vuole costruire degli edifici alti, questi dovrebbero essere consentiti in una zona ad essi dedicata, ove concentrarne la presenza, in modo che vi possa essere un confronto ed un dialogo fra di essi, un po’ come alla Fiera di Milano. Ad esempio, qualche grattacielo, di vario stile, taglia e misura, nella zona fieristica del Lingotto a Torino andrebbe, secondo me, benissimo. Sparpagliarli, uno qua ed uno là, in una cittadina di neanche un milione di abitanti, che non è Londra, Parigi e nemmeno Lione, se sarà fatto, darà un risultato sgradevole.

Poniamoci ora una domanda, che vale per l’oggi come per tutta la storia precedente: da dove nasce questo bisogno di costruire sempre più in alto? Le Corbusier, maestro dell’architettura moderna, da svizzero, ne dava una giustificazione funzionale: per impedire che le città continuassero ad ampliarsi a macchia d’olio inglobando sempre più la campagna circostante e creando squallide periferie, era più razionale sviluppare gli edifici in altezza e lasciare grandi aree per il verde e le comunicazioni fra l’uno e l’altro. L’ideologia formale di Le Corbusier aveva il difetto, agli occhi dei finanziatori, di non essere sufficientemente rappresentativa, essendo basata su volumi semplici ed una concezione spartana della vita quotidiana. Perché, piaccia o non piaccia, i grattacieli nascono con la dichiarata intenzione di celebrare le glorie terrestri di qualcuno: Raskob, Chrysler, Rockefeller, Trump…, di personaggi che, dopo aver esercitato il potere, vogliono lasciare di sé un ricordo imperituro alle future generazioni e, quindi, investono a questo scopo le loro ingenti fortune accumulate.

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Vorrei fare osservare come questo atteggiamento sia tipicamente maschile. Dai menhir della preistoria agli obelischi dei faraoni, dalle guglie gotiche ai grattacieli, nessuna donna si è mai sognata di costruire edifici alti. Gli psicanalisti spiegano questo fatto asserendo che, nella storia dell’architettura, c’è un ricorrente simbolismo che si rifà alle capacità riproduttive maschili, dai menhir ai grattacieli, appunto.
Nello stesso modo, in tutta la storia, si registra un rapporto diretto fra la potenza sessuale maschile e la potenza guerriera. Il simbolo quindi è quasi sempre di tipo aggressivo.

La Bibbia stessa spiega l’origine delle differenze di lingua fra i popoli nel momento in cui decidono di costruire una torre “la cui cima arrivi al cielo, e rendiamo famoso il nostro nome, prima di dividerci per tutta la terra” (Gen. 11,4). Nel momento in cui si dispiega la massima potenza costruttiva dell’umanità con l’unico scopo di “rendere famoso il nostro nome”, l’ambizione confonde le lingue. Gli esseri umani non si comprendono più gli uni con gli altri e vengono dispersi “sulla faccia di tutto il mondo”. Volontà di potenza, aggressività, guerra: tutto nasce durante la costruzione del primo grattacielo in quel di Babele.

Molto più prosaicamente e recentemente, uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano, Amedeo Bordiga, affermava che, mentre il capitalismo era verticale (gerarchico), il socialismo sarebbe stato orizzontale, come rappresentazione dei rapporti fra uguali. Ovviamente, oggi, di socialismo non se ne parla più e, tutto sommato, la gente ha dimostrato di accettare le gerarchie come il minor male possibile di fronte alla mancanza di alternative. Lo spazio riservato alla giustizia sociale, dopo il crollo del comunismo, è stato occupato dalla Chiesa, l’unica entità che i potenti della terra, ormai senza avversari, sembrano rispettare.

In un recente articolo Camillo Langone scrive: “Gesù discende da Davide, il piccolo Davide che abbatté il gigante Golia. Nel discorso della montagna Gesù (...) proclama la beatitudine degli uomini miti. Gesù invita a imparare da lui, umile di cuore. Gesù dice che per convertirsi bisogna diventare come bambini. Gesù dice che per entrare nel regno dei cieli bisogna farsi piccoli. Gesù dice che gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Gesù entra a Gerusalemme su un asinello. L’Antico Testamento colpisce la superbia con una spada di fuoco, il Vangelo testimonia la modestia e la misura in ogni pagina, quasi in ogni versetto. Per questo i grattacieli non possono dirsi cristiani. Anzi, ogni edificio più alto di un campanile è un assalto all’incarnazione, alla presenza di Dio nella storia e nella città”.

Se l’analisi è giusta, le conclusioni sono un po’ manichee, nel senso che sono vere se riferite al bisogno di rappresentare la potenza dei singoli, ma non lo sono se inquadrate nel bisogno degli esseri umani di superare i propri limiti. Dietro l’edificio più alto, il ponte più lungo, la ferrovia più veloce, così come dietro i record sportivi, c’è la superbia, ci sono guadagni stratosferici, ma c’è anche il valore del lavoro umano, l’estrinsecarsi della fantasia, dell’immaginazione, della capacità di mettere i sogni nella realtà. Anche questo è scritto, quando Dio crea l’uomo e gli dice “crescete e moltiplicatevi, e popolate la terra, ed assoggettatevela”.

Al di là dei problemi estetici, nel recente dibattito sui grattacieli, sarebbe opportuno trascurare chi vorrebbe farne il proprio monumento per valorizzare invece gli aspetti di impegno e creatività del lavoro umano.

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