GUARESCHI, una storia italiana
Pubblicato il 31-08-2009
100 anni fa nasceva e 40 anni fa moriva Giovannino Guareschi, uno dei più grandi nomi della letteratura italiana del ‘900, e non solo. Giornalista, attivista politico, per le sue idee conosce anche il lager ed il carcere. Ma non demorde.
di Gianni Giletti
Volete leggere un libro profondo eppure divertente, che fa pensare ma anche ridere, che racconta storie vere, ma che non sono mai successe? Bene, lo scrittore è Giovannino Guareschi (foto sotto) e il libro – anzi, i libri – sono quelli di don Camillo e Peppone. Di quelle storie si ricordano più facilmente i film – che le televisioni imperterrite continuano a riprogrammare - e le facce di Fernandel e Gino Cervi nei panni dei due protagonisti. In effetti, anche leggendo i libri, le facce di due attori così straordinari continuano a venire in mente. |
Dell’autore si può dire che è lo scrittore italiano più venduto all’estero e che ha segnato sensibilmente, con la sua penna, la storia italiana del dopoguerra.
Di carattere impulsivo e sanguigno, dopo l’8 settembre 1943 viene internato due anni nei campi di concentramento nazisti per non aver voluto disconoscere l’autorità del Re d’Italia. Da quella tragica avventura, forte del motto “Non muoio neanche se mi ammazzano”, riesce comunque ad uscirne quasi indenne, componendo tra l’altro in prigionia la splendida novella “La favola di Natale”, che uscirà sul suo libro “Diario clandestino”. |
Dalle righe del “Candido”, giornale indipendente con simpatie monarchiche di cui è il fondatore, partono slogan del tipo “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede e Stalin no”, “Contrordine, compagni”, il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i campi di prigionia russi con lo slogan “Mamma, votagli contro anche per me” e i comunisti “trinariciuti”; modi di dire che resteranno anche nei decenni a venire e che ovviamente arroventano il già incandescente clima elettorale di allora.
Inoltre proprio sulle pagine del Candido, a puntate, nascono i personaggi di “Mondo Piccolo”, la saga di Peppone e don Camillo (foto in basso). Viene condannato due volte per diffamazione di due personaggi pubblici come Einaudi, il primo Presidente della Repubblica e De Gasperi, Presidente del Consiglio di quegli anni, e così nel 1954, per non aver voluto ricorrere in appello contro quella che gli sembrava un’ingiustizia enorme, trascorre più di un anno nel carcere di Parma. Continua poi a dirigere il Candido fino al 1961, anno in cui si ritira pur continuando a collaborare e muore per un attacco di cuore nel 1968. Guareschi è un autore molto particolare e forse unico nel panorama italiano, per la sua capacità di mettere insieme elementi letterari così diversi come la profondità delle idee con la leggerezza nello scrivere, le cose di tutti i giorni con i grandi ideali, i dialoghi semplici con la poesia, l’umorismo con la commozione. |
Sui racconti di “Mondo Piccolo” sono stati scritti valanghe di libri, articoli, trattati e quant’altro, ma voi non date loro retta, andatevi a leggere direttamente i suoi libri, non ve ne staccherete più. I valori di sempre, come l’amicizia, l’amore, la vita sono mescolati ai litigi, alle passioni, alla fede. I discorsi del Cristo, con cui don Camillo si consiglia spesso, sono molte volte dei capolavori di teologia, eppure sono comprensibili a tutti. |
Stesso stile, stessa piacevolezza e profondità anche per gli altri libri, come “Diario clandestino” - dove racconta l’esperienza del Lager con la stessa leggerezza anche nella tragedia - oppure nel “Corrierino delle Famiglie”, dove raccontando con tanto umorismo le vicende della sua famiglia, si trova a descrivere il costume italiano di quegli anni. Si deve dire poi che la fama di Guareschi era già notevole quando era in vita, ma non ha cessato di crescere dopo la sua morte, anche se al suo funerale l’Italia che conta lo ha ignorato. Dice bene il cronista di allora, Baldassarre Molossi della Gazzetta di Parma:
“L’Italia meschina e vile, l’Italia provvisoria, come lo stesso Guareschi con amara intuizione la definì nel 1947, ci ha fornito ieri l’esatta misura del limite estremo della sua insensibilità morale e della sua pochezza spirituale. |
Gianni Giletti
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