Harry Potter: Piccoli maghi crescono

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni


Il regista di “4 matrimoni e un funerale” e di “Mona Lisa Smile” si fa carico di traghettare il più famoso maghetto del mondo e i suoi amici dall’infanzia all’adolescenza: missione compiuta, pur con qualche amnesia di logica che lascia in mezzo al guado chi ha conosciuto Hogwarts solo in celluloide


di Alessandro Moroni


Guardiamoci bene negli occhi: c’è qualcuno di voi, arrivati di corsa su questa pagina del portale non appena è stata messa on line, che non intrattenga un rapporto di familiarità stretta con Harry, Ron, Hermione e gli ulteriori parti della fervida mente di Joanne Kathleen Rowling? Siate sinceri… E’ sempre più difficile incontrare uno studente di scuola media o delle superiori, con varie estensioni nei segmenti contigui (elementari ed università!) che non abbia letto nemmeno un Harry Potter in vita sua; e l’elenco va senz’altro più in là dei confini “scolastici” che ho tracciato: vogliamo per esempio parlare delle giovani mamme fans del maghetto, magari con la scusa di leggerne le avventure ai figli prima che si addormentino?

D’altra parte, e con buona pace dei critici letterari superciliosi, dirompente fantasia e fluviale creatività non si trovano precisamente dietro ad ogni angolo, specialmente nell’ambito dell’asfittica narrativa di inizio millennio: per cui ritengo che un plauso sincero, svuotato da qualsiasi snobismo vada reso a questa geniale scozzese quarantenne, che fino ad otto anni fa sopravviveva grazie al sussidio che il governo di Sua Maestà Britannica riconosceva alle madri “single” disoccupate!

Da quattro anni il maghetto ha un alter ego in celluloide, con le sembianze del molto rassomigliante Daniel Radcliffe, e va detto che, almeno inizialmente, le cose non sono andate altrettanto bene. Molti registi, soprattutto quelli non particolarmente dotati di personalità artistica autonoma, tendono a dimenticare che cinema e letteratura sono forme d’espressione radicalmente differenti, per cui non è affatto detto che mirando a una pura e semplice trasposizione in video del soggetto letterario il prodotto risultante sarà di qualità: anzi, per lo più avverrà il contrario!

Infatti, quello della “fedeltà” al proprio soggetto di ispirazione non è affatto un parametro di riferimento, almeno quando parliamo di aderenza “alla lettera”. Compito dello sceneggiatore sarà semmai di cogliere lo spirito, il nucleo ispiratore del soggetto letterario per poi trasporlo in base alla propria personalissima sensibilità. Si tratterà di “interpretare”, per chiamare le cose col loro nome!

La storia dei film “tratti da…” è lunga quasi quanto la storia del cinema e gli esiti sono stati sempre alterni: nel caso in esame, affidati alla mano da “yesman” di Chris Columbus (non certo un regista che passerà alla storia, tanto per essere espliciti) i primi due episodi della saga hanno lasciato a desiderare quanto a profondità, credibilità, tensione interna. Columbus si è limitato a pattinare in beata inconsapevolezza sulla solida superficie della narrazione, raccogliendo un successo al botteghino che definire scontato è un inno all’ovvietà, e seminando in chi si era avventurato al cinema senza prima “pagare dazio” ai romanzi il dubbio che l’intera saga fosse una bufala colossale. Questo lo dico, pur riconoscendo al regista americano l’attenuante generica costituita dall’asfissiante presenza dell’autrice sui vari set: sembra che, per contratto, la nostra comune amica Joanne sia autorizzata a dire costantemente la sua sul modo in cui viene redatta la sceneggiatura, e questo non può che avere un effetto ancor più deresponsabilizzante su un regista non particolarmente ispirato già di suo.

 Il clima è decisamente cambiato con il terzo film, “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, non solo perché il contesto ambientale e narrativo incomincia a virare decisamente al dark, ma anche perché abbiamo finalmente a che fare con un cineasta “vero”: il giovane regista spagnolo Alfonso Cuaron di personalità deve averne da vendere, se è riuscito a venire a capo delle pressioni della produzione e dell’ingombrante Joanne, tesa a difendere quella che, comprensibilmente, sente come una creatura esclusivamente sua!

Sta di fatto che abbiamo finalmente un’espressione creativa cinematografica degna di tal nome. Ragion per cui, quando si è saputo che per il quarto film, “Harry Potter e il Calice di Fuoco”, il testimone sarebbe nuovamente passato di mano, qualche logica preoccupazione c’era.

In realtà, l’inglesissimo regista Mike Newell aveva tutte le carte in regola per trasporre in celluloide un romanzo che per atmosfere, vicenda e ambientazione risulta così britannico che più britannico non si può. E bisogna dire che effettivamente il gioco vale la candela: il clima narrativo diventa decisamente “gotico”, in una saga che giunta a metà ha perso tutta o quasi la solarità che caratterizzava i primi romanzi? E Newell animosamente si adegua, evocando cupe atmosfere da tregenda. Un elemento essenziale è il passaggio definitivo dei protagonisti dai tremori lucidi e inconsapevoli dell’infanzia ai turbamenti confusi e ambigui dell’adolescenza? E Newell ci dà dentro (magari pure un filo sopra le righe…). Il Male personificato e finora solo oscuramente evocato assume i precisi contorni di una personalità in carne ed ossa? E Newell, idem come sopra, avvalendosi tra l’altro dell’ottima caratterizzazione di Ralph Fiennes, davvero convincente nei panni del “Cattivane”. In tutte le due ore e mezzo di pellicola è evidente il filo conduttore tracciato da chi ha un’idea ben precisa del punto da cui partire, e quello a cui arrivare. Perché allora allo scorrere dei titoli di coda permane un vago e indefinibile retrogusto di insoddisfazione? Forse per la troppa “carne al fuoco”.

Non molti, anche tra i critici più attenti, hanno evidenziato che i romanzi della Rowling sono Fantasy solo di facciata. Magica è, certamente, l’ambientazione, e prodigiosa nella sua consistenza e intima coerenza. Come ha insegnato Tolkien con “Il Signore degli Anelli”, una storia può anche essere inventata e avere per protagonisti personaggi appartenenti a razze mai esistite che si avvalgono di manufatti immaginari.
Ciò che conta è che il contesto naturalistico, storico, culturale in cui la vicenda è inserita sia coerente, approfondito, ben delineato: è da questo che scaturisce la magia narrativa e in questo senso Harry Potter si muove su uno sfondo solidamente costituito anche se, va detto, non profondamente radicato come quello di Frodo Baggins e degli altri Hobbit della Contea.
Ma a parte l’ambientazione, Harry è il protagonista di una serie di “Romanzi Gialli”, che si rifanno alla tradizione, non a caso tipicamente britannica, di Agata Christie e di Conan Doyle. Può un Giallo riuscire bene in 35 mm? Sì, se tutto il resto viene relegato in secondo piano. Ha senso relegare in secondo piano scontri con dragoni volanti, incontri ravvicinati con sirene, voli su manici di scopa, incantesimi di trasfigurazione, trasporti in altre dimensioni spazio-temporali e simili? Assolutamente no: perché sono un aspetto non banale della narrazione, senza contare che si tratta di ciò che la fetta più consistente di pubblico si aspetta appunto di vedere. Ritorniamo quindi alla premessa di fondo: la “narrazione su carta” può sopportare agevolmente un racconto multifocale, perché la pagina scritta è per sua intrinseca natura analitica; la “narrazione per immagini” invece no, perché lo spettatore è naturalmente portato alla sintesi. Newell ha preteso di salvare l’intreccio Giallo con le sue molteplici diramazioni logiche, non rinunciando al contempo a distrarre lo spettatore con sequenze d’azione mozzafiato ed intrecci emotivamente coinvolgenti. Ne esce un po’ male, nemmeno a dirlo, il Giallo: chi ha letto (ovviamente di recente!) il romanzo magari non ci fa caso, chi non lo ha letto ogni tanto si perde nei meandri della storia e gli sfugge chi fa cosa e, soprattutto, perché lo fa.

 

Questo non inficia la pellicola nel suo insieme, ma certamente un film che nel suo genere poteva essere ottimo risulta “soltanto” buono; e che questo sia più che sufficiente in un contesto di “piattume generalizzato” (almeno per quanto concerne le pellicole ad elevata spettacolarità) è pur vero, ma rimane un argomento consolatorio. Insomma, andate a vederlo… ma se non avete letto il libro andateci con qualcuno che l’ha letto, e che sia abbastanza paziente da rispondere alle vostre domande durante la proiezione! Vi garantisco che non saranno poche...

Alessandro Moroni

Sito ufficiale:
“Harry Potter e il calice di fuoco”

 

 

 

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