Hotel Rwanda

Pubblicato il 14-09-2011

di andrea


Dopo “Rwanda 94” - grande progetto teatrale dedicato alla memoria del genocidio in Rwanda - vogliamo parlare anche di “Hotel Rwanda”, un’altro importante pro-memoria di una storia che non va dimenticata!

di Davide Bracco

 

Hotel Rwanda
Canada, Regno Unito, Italia, Sudafrica, 2004, 121’, col.
Regia: Terry George
Cast: Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte, Joaquin Phoenix
“Didattico, quasi didascalico, ‘Hotel Rwanda’ non brilla per originalità di regia, ma ha il merito di evitare lo spettacolo per rievocare con precisione l’intreccio di complicità e indifferenza che portò al genocidio (fin dal 1918 i belgi avevano favorito i Tutsi, etnia minoritaria, concedendo loro privilegi economici e sociali). Non un capolavoro ma un film sicuramente utile: un pro-memoria, un Abc del Rwanda, il primo tentativo di dar forma a un orrore così estremo da sfidare la rappresentazione”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 11 marzo 2005)
“Il film di denuncia spesso non servono a niente, perché sciatti, didascalici e manichei. Quando, però, ci si trova immersi in due ore di cinema-cinema come quelle scolpite da ‘Hotel Rwanda’, il risultato è differente: anche perché tra i tanti massacri dell’era contemporanea, non ha mai suscitato indignazioni di massa la guerra civile che dieci anni orsono insanguinò il minuscolo stato africano del Rwanda (ex Congo belga).

Il regista irlandese Terry George ricalca, infatti, la strada di film-culto come ‘Un anno vissuto pericolosamente’ o ‘Urla dal silenzio’, ispirandosi a una storia vera e ricostruendo con straordinari ritmo e intensità le vicende che costarono la vita a circa un milione di persone. (…) Così non mancano le accuse all’impotenza dell’Onu, ma il film non fa sconti alle selvaggerie tribali e stringe la presa sull’acme della mattanza, sul ruolo svolto dall’informazione, sulla mutevolezza dei caratteri indigeni”. (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 19 marzo 2005)

“Se il cinema ha ancora un senso morale, il valore di una lezione di storia che insegna la materia della dignità, il film di Terry George è un capoclasse. Racconta l’eroismo casual di un manager di un hotel a 4 stelle, Schindler africano, che nel ‘94 salvò la vita a 1268 persone durante il genocidio al machete dei tutsi da parte degli hutu. Una follia etnica che l’Occidente guardava al tg continuando poi a mangiare. Ora dà vita a un film teso, appassionante, senza un attimo di tregua, dove la storia è così assurda che, nei risvolti narrativi, sembra scritta per il cinema e non accaduta in diretta. Strepitoso Don Cheadle, che si è preso l’anima dell’eroe che tiene famiglia: non basta commuoversi a un film infernale, bisogna imparare la lezione per domani.” (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 19 marzo 2005)

Ecco, il mio compito l’ho assolto. E vi spiego il perché. Mi chiamano i prodi Andrea e Simone della redazione di Nuovo Progetto “intimandomi” di recensire “Hotel Rwanda”. Non l’ho ancora visto, mi fiondo al Cinema Empire pronto alla fine a scrivere la mia paginetta. Ma non riesco. Il mio stomaco è stato maltrattato dall’impatto emotivo del film. Lascio a Ferzetti, Caprara e Porro il compito del “bravo recensore”.A me rimangono negli occhi la visione degli elmetti insanguinati dei caschi blu dell’ONU, le strade di Kigali coperte di cadaveri,

un disperato campo profughi al confine tra Rwanda e Tanzania, la forza impotente di una responsabile della Croce Rossa e di un gruppo di suore. Un genocidio (un milione di morti in cento giorni) che le diplomazie occidentali hanno preferito dimenticare. Come quello occorso quasi un anno orsono nel Darfur, una provincia occidentale del Sudan.
La comunità internazionale (cioè tutti noi) dovrà aspettare il prossimo film per provare sdegno e vergogna o troverà il coraggio di mobilitarsi attivamente?
Il mio stomaco duole ancora e speriamo che il ricordo non mi abbandoni tanto facilmente.

RWANDA 94

“Ho deciso di testimoniare assumendomi l’impegno di rifiutare che i miei figli siano considerati solo dei numeri, che dei bambini siano morti senza una ragione. Per dare speranza alle generazioni future, ma anche per alleviare il mio dolore, la mia colpa di essere ancora viva mentre i miei cari sono tutti morti”.
Yolande Mugakasana (foto)

Ci piace riportare alcune parole di Yolande Mugakasana, autentica testimone del nostro tempo: il genocidio dei tutsi in Rwanda le porta via i tre piccoli figli, il marito, il fratello e un numero infinito di amici e parenti. Per miracolo riesce a scampare ai massacri, anche grazie all'aiuto di una sua vicina di casa hutu, che la nasconde per giorni sotto il lavandino della sua cucina.
Dopo il Genocidio, si rifugia in Europa, dove decide di rompere un doloroso silenzio con un libro intitolato “La morte non mi ha voluta”. Dopo il suo rientro in Rwanda, prende corpo l'idea di dare la parola alle vittime e ai carnefici. Nasce così un’altro libro da cui nascerà l’idea di farne una rappresentazione teatrale intitolata: “Rwanda 1994”.
Yolande, e altri come lei, ci aiutano a mantenere la memoria di questa tragedia, dentro e fuori i confini del Rwanda, e ci da un mandato: quello di costruire la pace!

di Davide Bracco
da Nuovo Progetto maggio 2005

 

 

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