I piccoli fanno cose grandi

Pubblicato il 31-08-2009

di Guido Morganti


Oggi da Napolitano il Sermig porta un quarto di secolo fatto di storie di “piccoli” che non hanno avuto paura di affrontare i grandi problemi del nostro tempo.

di Guido Morganti


“Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”. Questa frase è il motivo ispiratore della seconda guerra di indipendenza, che raggiunse il culmine con la battaglia di Solferino, la più sanguinosa del risorgimento. L’esercito franco-piemontese si scontrò con quello austriaco lasciando sul campo 4.700 morti e 23.000 feriti. Uno scenario di sangue che impressionò talmente Henry Dunant (foto a lato) da deciderlo a dare vita nel 1863, in ricordo di Solferino, alla Croce Rossa.



Ebbene, quella frase era stata pronunciata in una situazione di alleanze, pressioni, mire espansionistiche, strategie finalizzate al potere e al dominio. “Il grido dei popoli” anche oggi viene strumentalizzato per gli stessi motivi e alla fine a pagare il prezzo più salato sono proprio quei popoli che i “grandi” vogliono soccorrere, portare alla libertà, alla democrazia. Parole demagogiche? La storia recente ci parla di Kosovo, Iraq, Afghanistan, Ossezia, Georgia, Abkhazia, Somalia, … A pagare sono sempre i soliti poveri cristi, di una bandiera o dell’altra. Chi ha fame, chi ha bisogno di casa, di medicine, di cure, di scuola rimane in balia della politica dei “grandi”, che ha i suoi tempi sia nell’inviare aiuti di emergenza sia nel costruire vie di pace o di guerra. Per fortuna al “subito” dei bisogni rispondono i “piccoli”, che non hanno necessità di sapere sotto quale bandiera vive chi si trova in difficoltà e che si ingegnano a trovare le strade per arrivare a chiunque. 

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Tra il 1975 e 1976 come Sermig eravamo riusciti ad inviare aiuti ai poveri del Vietnam sia del Nord che del Sud, in quel tempo divisi da una guerra fratricida sostenuta dalle opposte ideologie della democrazia e del capitalismo dell’occidente al sud, del regime comunista al nord. Anche oggi continuiamo a seguire lo stesso metodo: quando si tratta di soccorrere, con aiuti immediati o con progetti di lunga durata, le popolazioni vittime di calamità naturali, della guerra, della fame, di ingiustizie o di sostenere le necessità più elementari dei profughi non facciamo distinzioni, non teniamo in nessun conto l’appartenenza etnica o religiosa. A noi - e il noi accomuna milioni di persone che continuamente spendono il loro tempo e le loro risorse in solidarietà – interessa l’uomo così come è. A noi interessa mettere l’uomo al centro.

Seguendo questa pista in Libano abbiamo aiutato donne e uomini di tutte le fazioni religiose, ma è successa la stessa cosa in Serbia, in Kosovo, in Iraq, in Rwanda… Abbiamo dato voce ai bambini di Beslan nell’Ossezia del Nord invitando una loro rappresentanza a partecipare all’Appuntamento Mondiale dei Giovani della Pace di Asti ed ora continuiamo ad aiutare i poveri e i profughi dell’Ossezia del Sud attraverso la Caritas georgiana. È questo il nostro modo di non essere insensibili alle grida di dolore.

La frase “i piccoli fanno cose grandi”, che appartiene alla filosofia del Sermig, non è stata scritta traendo spunto da un mondo di ideali e di utopie inattuabili, ma dal riscontro pratico della vita: gli umili, coloro che sono capaci di commuoversi, i ricercatori di verità hanno il cuore attento e pronto a leggere i segni dei tempi, a vedere e ascoltare le “grida di dolore”. E ad intervenire. E a usare gli strumenti opportuni con creatività e coraggio. A questo proposito la storia del Sermig conserva due spunti interessanti.

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Estate 2006, la guerra è passata da Beirut.

Siamo agli inizi degli anni settanta, un periodo in cui parlare di mass media nel mondo cattolico era per molti come mescolare il diavolo con l’acqua santa. In un incontro con Ernesto Olivero, Nando Fabro, sindacalista genovese e direttore del periodico “Il Gallo”, lo incoraggia ad usare i mass media, perché possono essere uno strumento efficace a favore dei poveri. Lo invita anche a non aver timore di esporsi in pubblico attraverso incontri e manifestazioni, senza tener conto dei giudizi negativi o positivi che avrebbe ricevuto, per poter far sentire la voce dei poveri e degli ultimi.

Nello stesso tempo Ernesto aveva ricevuto da un monaco il mandato di bussare alla porta dei grandi per portare pace, speranza e iniziative di solidarietà per i piccoli, per portare nei palazzi che contano la voce di chi non ha voce, dei giovani, di chi fa i conti con la fame. Il Sermig ha preso sul serio quel mandato e da allora ha bussato alle porte dei grandi della politica, dell’economia, della cultura, delle religioni non per chiedere favori, ma per intessere relazioni, portare idee e contenuti anche spirituali, far crescere la cultura della pace, dell’impegno per i giovani e per la giustizia.

È questo il senso dell’incontro odierno del Sermig con il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano: per ricordare i 25 anni di Arsenale della Pace, per farlo partecipe di questo pezzo di storia che è nata a Torino e si è sviluppata in mille e mille trame di solidarietà in tutto il mondo. E portare anche a lui la speranza che è possibile “fare cose grandi” per migliorare un po’ questo nostro mondo.

di Guido Morganti


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