Il carcere: vorrei vederlo sparire…

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


La redazione de “La Gazzetta Dentro” ha intervistato il responsabile dell’area trattamento della Casa Circondariale di Asti.

a cura de “La Gazzetta Dentro”

[ 1 parte ] [ 2 parte ]
Il carcere di Asti ha “puntato” molto sull’aspetto del lavoro e possiamo dire che in questo può essere preso a modello per altre strutture. Quanto ritiene importante questo punto per il reinserimento del detenuto?

Qui da anni è in corso una sperimentazione per la coltivazione di prodotti biologici.
Non sempre è però possibile avere persone adatte, a mio parere sarebbe necessaria un’interazione fra più istituti in modo che ci sia collegamento fra l’attività principale che si intende svolgere, il tipo di struttura, il tipo di persone detenute e la formazione adeguata del personale ivi impiegato.

Una particolare attenzione dovrebbe essere dedicata secondo i criteri anzidetti alle persone che presentano forti disturbi della personalità, che hanno bisogno di maggiori attenzioni utilizzando anche la collaborazione del territorio; per esempio concentrare aiuti sanitari specializzati e personale preparato ai vari istituti che maggiormente ne necessitano; in questo modo non risulterebbero luoghi di ghettizzazione di quella problematica ma luoghi curativi. Attualmente il personale tutto, intendendo corpo di polizia, operatori, assistenti sociali, psicologi, si trovano a fronteggiare situazioni molto disparate, contando su una preparazione non sempre adeguata al tipo di persona detenuta e alle problematiche di cui è portatore, sia a livello soggettivo che socio familiare.

Ritengo infine che gli interventi in istituto debbano essere molto legati al territorio in cui è collocato il carcere, soprattutto se le persone detenute appartengono a quel territorio e intendono ritornarvi alla fine della pena. Ad esempio, il territorio astigiano è connotato da un’economia prevalentemente agricola, enogastronomica ed agrituristica, per cui sarebbe opportuno preparare professionalmente le persone prevalentemente in questi ambiti, altrimenti al loro rientro nella società troverebbero difficoltà d’inserimento nel mercato del lavoro, sia in quanto ex detenuti, sia per la mancanza delle specifiche capacità lavorative professionali richieste.

Non pensa che si dovrebbero coinvolgere maggiormente le aziende, spiegando che assumendo detenuti o ex detenuti potrebbero avere dei benefici a livello fiscale? A questo proposito il Governo non dovrebbe a suo vedere sensibilizzare l’imprenditoria con leggi ad hoc di facile accesso e interpretazione?

L’attenzione nei confronti delle aziende è costante, grazie all’impegno degli operatori vi è un tentativo continuo di coinvolgimento le aziende esterne. Lo Stato è molto sensibile al problema detenuti/lavoro ed ha approntato leggi specifiche, tra cui fondi da destinare ai Comuni, e leggi per l’impiego dei detenuti ed ex detenuti presso aziende, società-cooperative ed attività private, per incentivare e facilitare tali assunzioni.

Inoltre esistono altre cooperative sociali, denominate di tipo B, per i soggetti svantaggiati, essendo questi una categoria di persone che necessitano di aiuto diretto nella ricerca di un lavoro. Il compito degli educatori all’interno degli istituti di pena deve essere quello di supporto al detenuto e, al tempo stesso, siamo chiamati a dare delle speranze per il futuro, anche se non dovrebbe essere compito nostro preoccuparci di questo.

La mia idea è quella che l’educatore non debba essere colui che va alla ricerca di lavoro porta a porta, ma di una persona che crea iniziative attraverso collaborazioni con associazioni di volontariato, con le istituzioni, nonché con agenzie formative, in modo tale da proporre i detenuti alle aziende con una formazione adeguata.

In quest’ottica è nato un gruppo di lavoro chiamato GOL, fatto di persone che si incontrano per risolvere e discutere progetti per i detenuti, è attraverso il GOL siamo riusciti ad impiantare l’azienda agricola all’interno dell’istituto.

Altra iniziativa è quella del progetto LOGOS (finanziato dalla fondazione bancaria San Paolo di Torino) che prevede dei corsi formativi per i detenuti. I fondi sono dati anche a cooperative come “Eta Beta”, gruppo Abele di Torino e a tutte quelle che si occupano del lavoro per i detenuti. Cooperative il cui compito è il recupero della persona, non solo quindi un’agenzia che si occupa di formazione lavorativa.

Alcune leggi danno particolare attenzione anche ai centri per l’impiego. Attualmente la legge Smuraglia, pur non avendo fondi, da la possibilità di usufruire di agevoli sgravi fiscali. Tale legge da inoltre dei vantaggi immediati a chi assume persone detenute o ex detenute, attraverso l’esenzione totale dal versamento della contribuzione;
il ritorno economico per le aziende è quindi immediato in quanto avviene in maniera diretta e non attraverso il rimborso del versamento contributivo da parte del Ministero della Giustizia.

Qual è il suo sogno? Come vede il carcere del futuro?

Il sogno è ovviamente quello di veder sparire il carcere, nel senso che una civiltà così progredita e come si suole dire di benessere, dovrebbe trovare dei meccanismi di prevenzione alla commissione di reati, soprattutto quelli nei confronti del patrimonio.
Laddove invece il reato venga commesso, trovare delle soluzioni diverse da quella di togliere quelle persone per un certo periodo dal contesto sociale rinchiudendole in un carcere.

All’interno di detto contesto deve essere creato un equilibrio tra la consapevolezza della commissione del reato, equilibrio che deve tener conto della vittima del reato, della persona offesa, e anche del contesto sociale in cui vive la persona offesa, che deve sentirsi sufficientemente ripagata da questo tipo di giustizia che viene normalmente definita giustizia “riparativa”, già adottata da tempo memore al popolo Maori della Nuova Zelanda, e anche recentemente in Sud Africa, nel passaggio dal governo dei bianchi (Apartheid), all’attuale democrazia. Questo e il mio sogno, una società dove il carcere non trovi più una sua collocazione.

Grazie per aver risposto a queste domande…

Grazie a voi e buon lavoro…

“La Gazzetta Dentro”
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