Il contagio della guerra

Pubblicato il 02-02-2022

di Paolo Lambruschi

La crisi nel Corno d'Africa con la guerra in Tigrai e in Etiopia settentrionale ha contagiato anche il vicino Sudan. Un colpo di Stato dei militari lo scorso 25 ottobre ha rovesciato il governo nato dalla rivoluzione dell'aprile 2019. I militari avevano destituito con la società civile l'ex leader Omar al-Bashir, considerato dalla Corte di giustizia internazionale un criminale da processare per il genocidio commesso in Darfur. Poi avevano costituito un governo con i civili che in base all'accordo di conciliazione doveva condurre il Paese a libere elezioni nel giugno 2023.

Il presidente del Consiglio Sovrano del Sudan, il generale golpista Abdel Fattah al-Burhan (nella foto), ha annunciato lo scioglimento del consiglio stesso, del governo di transizione e dichiarato lo stato di emergenza anche se ha ribadito l'obiettivo del voto nel '23. In Sudan il golpe è arrivato dopo mesi di tensioni e recriminazioni. Gli apparati militari erano sotto pressione per il progetto di riforma dell'esercito, attraverso cui l'esecutivo guidato dal premier deposto Hamdok avrebbe voluto epurare i tanti fedeli all'ex regime. Giá lo scorso 21 settembre le autorità civili avevano annunciato d'aver sventato un tentativo di golpe. La riorganizzazione dello Stato sudanese e la transizione alla democrazia dopo 30 anni di Shaaria, la legge islamica, facevano ben sperare. Ma quando si è arrivati al punto, cioè a colpire il ruolo dei militari in ambito politico e, soprattutto, economico, è scattata la reazione. Hamdok non è uno sprovveduto. Economista, già vice segretario della Commissione Economica dell'ONU per l'Africa, andava fermato. Certo, la povertà stava crescendo anche per la pandemia, ma il governo di Khartoum per far ripartire il Paese aveva messo nel mirino le famigerate Forze di supporto rapido (Rsf) – detti Janjaweed, organizzazione paramilitare creata dall'ex presidente al Bashir per reprimere le rivolte in Darfur con stupri, massacri e violenze – restie ad essere integrate nell'esercito regolare e a cedere parte del loro enorme potere. Varie investigazioni ritengono che le Rsf controllino indirettamente l'80% dell'economia sommersa sudanese. Inoltre sono state riconvertite in guardie di frontiera e finanziate dai fondi europei per il controllo dei flussi migratori.

Il Sudan è uno snodo strategico tra Corno, Egitto e Libia sulla rotta dell'Africa Orientale. Ospita 1,1 milioni di rifugiati nei campi dell'Unhcr. E le guardie di frontiera sudanesi sono da sempre parte dell'immenso e articolato network di trafficanti di persone. Il colpo di Stato potrebbe agevolare la ripresa dei flussi di eritrei, etiopi in fuga dalla guerra nel Tigrai che stazionano nei quartieri periferici di Omdurman, città gemella della capitale sulla sponda opposta del Nilo, in attesa di avere i soldi per il viaggio.

Altri due aspetti inquietano. Il primo è che le Rsf sono impegnate in scontri di confine con l'Etiopia nell'area di Fashaga nella zona della Grande diga del Rinascimento sul Nilo che Addis Abeba vuole riempire per ricavare l'energia elettrica necessaria a sostenere lo sviluppo del Paese. Ma in mancanza di un trattato che regoli la quantità di acqua da usare, Sudan ed Egitto rischiano di non poter irrigare i campi e nello stallo diplomatico il conflitto rischia di degenerare.
Infine è chiaro che il golpe è stato appoggiato dalla Cina che a Port Sudan prende il petrolio sud sudanese e preferisce un Paese sotto il controllo dei militari, alleati e partner in affari. I partiti civili erano appoggiati dagli Usa, che avevano tolto il Sudan dalla lista degli Stati canaglia. Appoggio cinese significa veto al consiglio di sicurezza Onu su ogni ingerenza umanitaria. Così Pechino ha fermato anche ogni tentativo Onu di stoppare la guerra in Tigrai. Se questo è il Corno d'Africa che si affaccia dal tempo del Covid, la pace continentale è in pericolo.


Paolo Lambruschi
NP novembre 2021

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