Il cristiano “impegnato”

Pubblicato il 31-08-2009

di Flaminia Morandi


Il cristiano e la politica: un dovere? In che modo? Per che cosa? Temi affrontati in un incontro all’Arsenale della Pace organizzato nel mese di giugno scorso dai “Cristiani Motivati”.


a cura della redazione

 

L’incontro organizzato dal gruppo dei “Cristiani Motivati” all’Arsenale della Pace di Torino nello scorso mese di giugno è stato ricco di interventi ampi, coinvolgenti, articolati da parte dei senatori Maurizio Eufemi, Luca Marconi, Gianfranco Morgando, Rocco Buttiglione e di Salvatore Martinez, coordinatore nazionale del Rinnovamento dello Spirito. Vengono qui di seguito proposti alcuni spunti di riflessione, pizzicando un po’ qua un po’ là negli interventi, nella consapevolezza che se ne tralasciano parecchi altri.

 

DUE PREMESSE

La prima: Gesù, un aiuto nel dialogo. Non si può vivere senza certezze che derivano dalla esperienza di vita e vengono comunicate agli altri nel dialogo. Il dialogo non è una assenza di convinzione, ma una convinzione che si comunica per essere arricchita, per essere approfondita, per essere resa più vera dall’incontro con l’altro. In questo cammino, per i cristiani, c’è un aiuto e una illuminazione che autorizza ad essere presenti con più verità: è la Parola con la quale Dio stesso si è comunicato, che non è un manuale, è una esperienza storica, Gesù di Nazareth vivo in mezzo a noi.

La seconda: chi sono i cristiani? Il cristiano è una persona che ha incontrato Gesù, un incontro che cambia la vita originaria. Quello che ho sperimentato come vero prima di incontrarlo rimane vero, eppure lo vedo trasfigurato in un altro modo perché ho incontrato una verità più grande. Il cuore di ogni cristiano, però, vive la lotta interiore tra la fedeltà e il tradimento. In questa società dove non si vuole più riconoscere di appartenere ad una cultura cristiana che si ritiene vecchia, superata, il cristiano è il nuovo, è la novità, è l’avvenimento.

DUE ATTEGGIAMENTI

Viviamo in un tempo in cui l’idea dell’uomo si è dissolta. Al tradizionale modello dell’uomo come persona capace di diventare più grande con il dono della propria libertà, la scelta di appartenere ad un altro nell’amore, di essere e generare comunità - la famiglia è il primo modo in cui l’uomo vive la comunione -, si contrappone il modello dell’uomo che quando si innamora uccide in fasce quell’amore perché è convinto che intanto non può durare, che non vale la pena fare sacrifici per l’amore, sopportare il limite e l’infedeltà propria e altrui. È un uomo che è narcisista, che vive per consumare, che quando muore lascia questa terra vuoto perché nessuno e niente lo ha riempito, un uomo che non ha vissuto la comunione. La questione antropologica investe anche la politica e i cristiani hanno la responsabilità di dare delle risposte. Però è necessario assumere l’atteggiamento di non cadere nel fariseismo e quello di lasciar vivere la libertà che dona lo Spirito, per gustare la gioia di vivere e per portare nuova energia.

L’atteggiamento di Gesù non è quello farisaico di condannare. Gesù rispetta sempre la libertà, nello stesso tempo dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. L’esercizio che deve coinvolgere tutti i cristiani oggi è imparare a dire che il bene è bene e il male è male e al tempo stesso rispettare la persona, perché la persona ha diritto di sbagliare; imparare la solidarietà con l’uomo; imparare a proporre l’avvenimento cristiano non come un giudizio che condanna, ma come un giudizio che salva. In realtà oggi c’è chi vorrebbe una Chiesa che predica una verità senza amore, una Chiesa che ritorni a mettere timore; poi c’è chi vorrebbe una Chiesa che predica un amore senza verità, una Chiesa che non giudica. No! Bisogna imparare a dare giudizi nella carità, senza mai la pretesa di essere migliori dell’altro.

Il rinnovamento della vita che la fede porta non si ferma davanti alle porte della politica, entra anche nella politica. Può entrarci in molti modi. Una volta si parlava di unità politica dei cattolici, oggi potrebbe anche nascere nei fatti e non necessariamente in forma di partito, per rispondere ai problemi del nostro tempo, per essere energia di vita e parola portatrici di speranza per tutti.

La politica non la fanno solo i partiti. Anzi, su questioni emergenti che dipendono dalla visione antropologica, i cosiddetti “valori non negoziabili”, quelli riconducibili alla vita, alla famiglia, all’educazione, i soggetti veri sono i cittadini, sono le chiese, sono le associazioni culturali, è la società civile. Il Family Day in piazza San Giovanni è stata una manifestazione evidente di una Chiesa di Pentecoste che non ha paura, che entra nel dialogo con l’umano e dice: noi abbiamo un’esperienza di verità dell’uomo da comunicare, non potete dirci che siccome queste cose sono cristiane non entrano nel pubblico dibattito. Un esempio tra tanti presenti tra i credenti.

Ecco dove reperire l’energia morale per un’altra politica, energia in gran parte presente nelle famiglie che lavorano, che faticano, che sono fedeli, che hanno dei figli, non le persone della televisione, delle riviste patinate, dove appaiono persone single che sono solo consumatori, anche perché non avendo una famiglia a cui badare hanno tanti più soldi da spendere.

LA DIMENSIONE INTERIORE DELLA POLITICA

C’è una dimensione interiore della politica che è quella che fa lo Spirito ed è quella che oggi, più che mai, la gente di piazza San Giovanni in Laterano fortemente invocava, perché l’uomo va profondamente amato, la difesa della famiglia non è un fatto sociale, politico, economico, è prima di tutto un fatto profondamente umano. Tutto ciò che riguarda l’uomo, e in particolare l’uomo che soffre, interessa profondamente colui che crede.

Il fare politica è un atto di amore, scrisse Sturzo nel 1925. Fare buona o cattiva politica non dipende da chi la fa, ma dalla profonda convinzione, dalla rettitudine, dalla bontà e dai mezzi onesti che si impiegano. La politica, vuol dirci Sturzo, è un atto dello Spirito, è una liturgia, cioè è un segno che rimanda a qualcosa di più grande, che mi precede e verso cui io devo tendere. Dove lo si capisce? Proprio a Pentecoste. Popoli, interessi, culture, lingue diversi si ritrovano uno: ognuno rimane se stesso eppure si supera, sente il bisogno dell’altro, si scopre capace dell’altro, di alterità e di comunione come mai con le sole proprie forze avrebbe mai pensato di realizzare.

Pentecoste è la festa della laicità, perché rispetto alla torre di Babele gli uomini non si propongono più di sfidare Dio, ma si propongono di rendere terrena la dimensione orizzontale dello Spirito: la carità, la giustizia, la verità, il bene. Questa è la laicità, quella che ha capito la gente di piazza San Giovanni che, spontaneamente, ha sentito il desiderio di difendere ciò che di più caro, di più umano, di così profondamente alleato del futuro l’uomo ha: la famiglia, perché il futuro germoglia nel presente, e il presente è la famiglia.

Dietro all’anticlericalismo volgare, violento, che viviamo in Italia, c’è qualcosa di più profondo, è un anticristianesmo che si sta sempre più radicando nel nostro paese e sa che attaccare la famiglia significa attaccare la Chiesa, perché la famiglia è la piccola Chiesa domestica. Ecco perché i cristiani impegnati in politica sono così fortemente sfidati su questo tema. “Ti lodo perché hai conservato la gioia dello Spirito, che è la gioia di vivere, anche in mezzo a grandi tribolazioni” dice Paolo ai Tessalonicesi.

I cristiani si impegnano a dare alla politica una spiritualità, cioè la vita stessa guidata dallo Spirito, che si contraddistingua proprio nel coraggio, nella gioia di dirsi cristiani. Altresì è importante che la politica rilegga in modo nuovo la presenza di cristiani senza sudditanza, senza complesso di inferiorità, senza paura, quindi sia capace di aprirsi, di mettersi in discussione, di capire che non è superfluo un gruppo di persone che sanno mobilitare un’energia di bene per il paese, e sono capaci, proprio per questo, di essere interlocutori affidabili per un popolo che cerca anche lui di fare politica. La gente ce l’ha con la politica e con i politici. È pericoloso, perché vuol dire che viene meno un perno della società. La società ha bisogno di politica. La politica è come il motore di un paese.

Qual è lo specifico che i cristiani possono portare per una riforma morale della politica? Essere docili allo Spirito perché riporti nella politica preghiera, discernimento, profezia. Preghiera: chi sa parlare a Dio sa anche parlare agli uomini. C’è bisogno di gente in politica che sa pregare, e pregare insieme, perché la tensione morale della politica si alimenta a gruppi umani che fanno politica ricordandosi sempre che il motivo non è il potere. La preghiera è anche saper ascoltare, perché chi ascolta, e ascolta in profondità, sa decidere. Ecco la capacità di discernere il bene dal male, di rimanere sempre attaccati al bene e rifiutare sempre il male, senza mistificazioni. In ultimo la profezia, che è la responsabilità del tempo corrente, il coraggio di parlare, il coraggio di giudicare, il coraggio di dire e di dare.

Respons-abilità: capacità di rispondere. Il vero responsabile è colui che ha parole vere, parole forti, parole che interessano la gente, quelle che sono scritte nel cuore dell’uomo. La Gaudium et spes diceva che per quanto dipende da ogni credente, un vero credente deve fare di tutto, tutto quello che è nelle sue possibilità e in ogni campo – non in alcuni e in altri no – per spandere il seme della fede. Se questo seme è stato buttato, l’impegno è raccoglierlo e andare a riseminarlo nella storia in tutti i non luoghi, in tutti i luoghi dove si crede non possa attecchire il bene eterno del vangelo. Perché non c’è niente di profondamente umano e di così profondamente incarnato nella storia, che non interessi il vangelo e coloro che amano Gesù.

A cura della redazione
Vedi anche:
Ho visto nascere la Costituzione, di Rodolfo Venditti
Di queste cose non mi occupo, di Flaminia Morandi
4 semplici consigli per riavvicinarsi alla gente, a cura della redazione
Lettera ai politici, del Sermig

 

 

 

 

 

 

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