Il dramma della PAPUA OCCIDENTALE

Pubblicato il 31-08-2009

di Aldo Maria Valli


La comunità internazionale ha avvolto in una cortina di silenzio la situazione di un popolo perseguitato a motivo delle enormi ricchezze del sottosuolo.

di Aldo Maria Valli

Si dice spesso, con un’espressione alquanto abusata, che il mondo in cui viviamo, grazie alle tecnologie della comunicazione, è diventato un villaggio globale. Eppure, a dispetto dei mezzi di cui disponiamo, in questo grande villaggio esistono ampie zone d’ombra. È il caso della Papua, dove gli indigeni stanno combattendo una dura quanto sconosciuta battaglia per il riconoscimento della propria libertà e identità culturale.

Parliamo, per essere precisi, della Papua Occidentale, l’ex Irian Jaya, la ventiseiesima provincia indonesiana, ma sarebbe più corretto dire colonia vista la politica di sfruttamento e repressione condotta da Jakarta.
Sebbene soltanto una minoranza abbia votato a favore, l’annessione all’Indonesia è diventata un fatto nel 1969 e da allora per gli indigeni è stata una storia di sofferenza. Definiti dai dominatori selvaggi primitivi, sono stati privati di tutti i diritti, mentre la Papua Occidentale è diventata terra di conquista per le multinazionali e i coloni indonesiani, spediti là per risolvere il problema della sovrappopolazione di Giava, dove vive la metà degli indonesiani e trovare nuove terre da sfruttare, ovviamente a danno degli abitanti.

Da quasi quarant’anni l’esercito indonesiano bombarda i villaggi utilizzando anche il napalm*, proibisce l’uso delle lingue locali, vieta le pratiche religiose e intanto le compagnie minerarie depredano il territorio, ricco di legno, gas, oro, argento, nickel e rame.
Nel totale disinteresse della comunità internazionale, che spesso ignora perfino l’esistenza della Papua, gruppi di resistenza armata cercano di opporsi alla colonizzazione sfruttando la conoscenza della giungla e delle montagne. È uno dei grandi segreti del nostro tempo, ha scritto il giornalista australiano John Pilger, autore di numerose inchieste in proposito.

SCHEDA

Situata direttamente a nord dell’Australia, la Papua Occidentale fa parte con la Nuova Guinea della seconda tra le più grandi isole del mondo. Risalgono ad almeno 50mila anni fa i primi insediamenti umani nell’isola, che fino a 10mila anni fa era collegata all’Australia da una lingua di terra. Per breve tempo colonia inglese, poi colonia olandese, è oggi una provincia dell’Indonesia. Conta poco più di 2 milioni di abitanti, che parlano 253 lingue tribali (sull’intera isola si parla il 15% delle lingue del mondo). Vaste estensioni di foreste (superate solo da quelle amazzoniche) e risorse naturali - petrolio, oro, rame - sono le ricchezze del Paese, nel quale la popolazione ha un’economia di sussistenza basata su agricoltura ed allevamento.
Le stime ufficiali parlano di almeno centomila papuani, il dieci per cento della popolazione, uccisi dai soldati indonesiani, ma i rappresentanti della resistenza sostengono che la cifra reale è infinitamente superiore.
Pochi mesi fa, 43 abitanti della Papua, pur di sottrarsi alla colonizzazione forzata, sono saliti su una piroga e hanno fatto rotta verso l’Australia, dove sono arrivati stremati dopo un viaggio di sei settimane. “Se fossimo rimasti - hanno detto - saremmo comunque morti, ci trattano come bestie”.

Il paragone che viene fatto più spesso è con Timor Est, un altro Paese in cui l’Indonesia si è resa responsabile di massacri inauditi, prima che la popolazione locale, nel 2000, potesse finalmente riacquistare l’indipendenza e la libertà. Ma se nel caso di Timor Est le notizie, sia pure con grande difficoltà, ci sono arrivate, dell’ex Irian Jaya non sappiamo nulla.

Come si spiega questo silenzio?
Secondo Pilger si tratta, come sempre, di una questione di interessi economici. Dalla metà degli anni sessanta, d’accordo con l’allora presidente indonesiano Suharto, i più potenti capitalisti del mondo si spartirono le enormi ricchezze del sottosuolo della Papua Occidentale assicurandosi un vero e proprio tesoro: il nickel a un consorzio euroamericano, le foreste a un gruppo di compagnie americane, giapponesi e francesi, l’oro e il rame a un gigante dell’industria mineraria americana, la Freeport - McMoran, nel cui consiglio d’amministrazione sedeva all’epoca Henry Kissinger, segretario di Stato di Washington.
Tutte queste compagnie, in cambio dello sfruttamento delle risorse, sono state molto generose con il governo di Jakarta. Si calcola che la sola Freeport in dodici anni abbia consegnato al governo indonesiano più di trenta miliardi di dollari. E mentre questo fiume di denaro sgorga dal territorio della Papua, la gente del posto muore di fame. Quasi il quaranta per cento della popolazione vive infatti in povertà.
Per far valere i propri diritti, agli indigeni non è rimasta altra strada che la lotta armata. Dal 1965 il Movimento Papua Libera combatte una battaglia impari contro le truppe indonesiane, infinitamente superiori per numero di uomini e mezzi a disposizione, compresi alcuni cacciabombardieri di fabbricazione britannica.

L’unica speranza, per la Papua Occidentale e il suo popolo, è nelle Nazioni Unite. Solo un intervento dei caschi blu dell’Onu potrebbe aprire, com’è successo a Timor Est, una fase nuova. Ma finché di questa situazione non si parla è molto difficile che possa esserci una svolta. Così le impenetrabili foreste della Papua continueranno a nascondere, oltre che innumerevoli tesori naturali, il dramma di tanti innocenti le cui vite vengono sacrificate sull’altare del dio dollaro.

* napalm = Si tratta di un gel incendiario usato dal 1942 sino ad oggi per costruire bombe, mine e combustibile per i lanciafiamme. Nel momento dell’esplosione raggiunge temperature altissime e si attacca alle persone colpite. La nuova versione MK77 - usata nell’ultima guerra in Iraq - contiene anche fosforo bianco per aumentarne l’effetto corrosivo sulle vittime: ne basta una goccia per bruciare l’organismo sino alle ossa e provocarne la morte per avvelenamento da fosforo. È definita a basso impatto ambientale.

Aldo Maria Valli
Da Nuovo Progetto maggio ‘06







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