Il mio taschino

Pubblicato il 04-03-2020

di Ernesto Olivero

La mia stanza accoglie da sempre migliaia e migliaia di storie, di confidenze, di lacrime. Non mi abituo mai alle persone che ti scelgono per aprire il cuore. È qualcosa di sacro, una responsabilità, ma anche l’impegno a crescere di più nel non giudizio, nella preghiera, nella disponibilità a piangere con chi piange. Qualche tempo fa, ho incontrato Maria, una ragazza che mi ha fatto entrare nell'abisso che ha vissuto. Una storia terribile di abusi sessuali da parte di un sacerdote. Dettagli, circostanze, situazioni che mi hanno fatto provare orrore, togliendo il respiro.

Quella ragazza non è stata la prima. C’è chi mi scrive, chi si confida dopo molti anni, chi cerca una via di uscita da un dolore lancinante che diventa anche il mio. Perché quando hai un volto davanti, due occhi pieni di lacrime e una persona che si apre totalmente, non hai più a che fare con un problema generico, ma con quel prete, quel professore, quell'educatore che non hanno avuto alcuna pietà nel violare bambini e ragazzi.

Mi chiedo il perché di tutto questo, che cosa capiti nella mente di quanti rovinano vite, facendosi forza del proprio ruolo. Conosco la debolezza dell’uomo, ma non riesco a trovare alcuna ragione per chi violenta un bambino. Nessuna ragione per chi, quasi per giustificarsi, cerca altre persone come lui, per fare lobby e proteggersi a vicenda.

Quante situazioni così! A volte, non ci si rende conto del male causato, quello che vedo nella disperazione delle vittime. Penso che non ci siano parole per consolare. La mia risposta è l’ascolto e una preghiera costante. Nel taschino della camicia, porto sempre le foto delle persone che mi stanno a cuore e che hanno bisogno di una carezza. Alcune vittime di abusi sono sempre con me.

La preghiera continua perché con il tempo possano scoprire che un mondo buono c’è, capire che è possibile tornare a sorridere, a costruire qualcosa di meraviglioso, provando a non fare della tragedia vissuta il senso della vita.
Lo dissi anche a Maria: «Hai ragione, il dolore che hai vissuto non è giustificabile. Ma hai 25 anni. Pensa di poter arrivare a cento. Hai davanti ancora 75 anni di vita per rinascere, 75 anni tutti per te».

Maria fece un sorriso, tornò nella sua città, ma dopo qualche tempo mi scrisse: «Caro Ernesto, ho pochissime parole da consegnarti, poche ma preziose e ricche di significato. Non è più come prima! Ora sento di poterlo dire forte. È come se sentissi dentro me forte e chiaro l’inizio dei prossimi 75 anni. Sì, sono iniziati e posso dirti di essere felice. Spero di poterti far conoscere un giorno chi dopo tanto tempo è riuscito a far sorridere di nuovo il mio cuore». La storia di Maria mi ha commosso, ma tutto questo però non basta. Chi ha sbagliato deve pentirsi pubblicamente, deve saldare il proprio debito.

Ogni lobby deve essere spazzata via. A maggior ragione se questo avviene all'interno della Chiesa. Sogno una Chiesa capace di prevenire queste situazioni, di vagliare in modo rigoroso ogni vocazione, di intercettare ogni segnale e rischio. Di chiedere scusa e riparare a uno scandalo. È una logica di giustizia, di credibilità, ma anche di consolazione per le vittime. Penso a quelle che ho conosciuto, ma anche alle tante che non hanno il coraggio di venire allo scoperto, ancora prigioniere di un dolore e di un male di cui non hanno alcuna colpa.

Ernesto Olivero
EDITORIALE
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Marzo 2020

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