Il panorama cinese

Pubblicato il 31-08-2009

di Claudio Maria Picco


Si parla molto, negli ultimi due anni, del nuovo “gigante” economico, la Cina. Un Paese ed una popolazione immensi ed in rapida evoluzione, che richiedono una valutazione attenta. Ne abbiamo parlato con il referente per l’università e la cultura della diocesi di Torino, Ermis Segatti.

 

a cura di Claudio Maria Picco

 

L’immagine della Cina, a pochi mesi dai giochi olimpici, è quella di una potenza economica in continua espansione.
Certamente l’espansione è un fatto di larga percezione, con numeri impressionanti (si pensi che l’incremento del prodotto interno lordo viene calcolato intorno al 10% annuo). Un dato significativo, se si tiene conto della vastità del territorio e del numero di persone implicate. Un altro aspetto che colpisce riguarda gli investimenti culturali che la Cina fa all’estero. Non c’è ambito di ricerca a livello mondiale che non sia presto o tardi visitato da cinesi, i quali chiedono la possibilità di introdurre studenti. Una presenza che ha lo scopo di acquisire ovunque ciò che c’è di valido, ciò che in Cina ancora non c’è, ma ci potrà essere. Un altro investimento è l’emigrazione mirata. Non quella spontanea della famiglia che ne fa arrivare un’altra, ma quella che manda persone competenti a insediarsi e ad operare nei vari territori del mondo. L’aspetto meno visibile invece è come tutto questo all’interno della Cina produca una società tendenzialmente stabile.
I cinesi hanno una strategia per il loro futuro, sanno dove porta l’enorme sviluppo di cui sono protagonisti?
Una parte non indifferente dell’intellighenzia cinese se lo chiede. In Cina oggi sta crescendo un forte neonazionalismo; non era assente neanche in passato, ma era coperto da altre entità apparentemente più significative: socialismo, comunismo, Ma... Oggi invece si ripristina quella che è forse la più potente eredità della tradizione cinese, cioè un alto tasso di autoreferenzialità e di grandezza che si traduce nell’idea di una Cina autosufficiente e centro del mondo. Questa tendenza parrebbe in contrasto con la propensione ad acquisire tutto ciò che c’è nel mondo e in qualche modo “ridigerirlo” e utilizzarlo in Cina; in realtà si concilia assai bene, perché è un impossessarsi e poi gestire in proprio.
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Questo nazionalismo è per il momento definito come il sorgere di una nuova superpotenza. Che cosa possa significare dal punto di vista del modo di rapportarsi con il mondo è ancora una grande incognita. Un progetto per se stessa la Cina pare averlo, ma un progetto per il mondo mi pare assolutamente assente.

Qual è il progetto che ha per se stessa?
Ci sono alcune sfumature. La prima è certamente quella della crescita, ma ha come sottotitolo la spinta verso il benessere, esplosa dopo la fase tremenda della “rivoluzione culturale” che ha prodotto un’autentica desertificazione di molte realtà della tradizione cinese. L’uscire dalla repressione e il puntare verso il benessere è carico di una tensione “ad elastico” tipicamente cinese che non si è riscontrata, a mio modo di vedere, nella Russia post sovietica e negli stati socialisti post sovietici. Questo per il momento sembra essere un obiettivo. Anche noi in Italia abbiamo fatto un’esperienza analoga dopo la guerra, con il boom economico che aveva come meta il benessere. Il benessere in Cina si manifesta nell’avere una casa, nell’avere una professione alta, nel figlio unico che deve raggiungere i massimi livelli, nell’ostentazione continua del posto più alto all’Università.
Un benessere connotato dal successo, che anche noi abbiamo sperimentato. Sono 500 milioni i cinesi che sono usciti dal regime di contenuto bisogno, ma ne restano 780 milioni sotto la soglia del benessere. La rincorsa di questi ultimi è tanto più forte quanto più veloce è l’ascesa di quelli che stanno sopra. Questa situazione ha un risvolto visibile nella fuga dalle campagne e nell’accumularsi di molte persone alle periferie delle grandi città. Secondo alcuni uno sviluppo così potente alla lunga creerà una crescita per tutti. Secondo altri provocherà instabilità per l’incapacità del regime di svolgere la nuova funzione storica di garantire a tutti un contenuto, ma diffuso benessere.

La crescita economica, il maggior benessere inevitabilmente aprono la strada ai diritti umani e alle libertà civili.
Alcuni sostengono che lo sviluppo di un’economia come quella cinese non può avvenire senza spazi di libertà, richiesti dall’economia stessa. La nuova imprenditoria, la nuova finanza richiedono un’autonomia che non può più essere gestita soltanto dal partito. Altri invece ritengono che l’affermazione dei diritti civili avverrà non per naturale sviluppo, ma attraverso salti traumatici o conflitti di cui ci sono già parecchi segnali. La Cina è in larga misura un subcontinente di piccoli continenti interni, in cui le crepe sono presenti: tensioni tra nord e sud, lotte interne di partito, rivolte e contestazioni, nuove forze sociali che non si riconoscono nel partito e che fanno opposizione. Per ora le opposizioni in Cina sono largamente diffuse, ma non sono coagulate, manca completamente una struttura intermedia che faccia pensare a una riforma; tutte le riforme che oggi si pensano, anche quelle dell’ultimo congresso, partono dall’alto, non dalla base.

C’è spazio per i cristiani in Cina? Quale contributo danno alla società?
I cristiani in Cina sono una piccolissima minoranza. Una corrente largamente dominante vede il cristianesimo come fenomeno recente, legato alle potenze coloniali; il presentare il cristianesimo come straniero è una tendenza diffusa in Cina. La Chiesa deve fare i conti con questo dato. Secondo le stime ufficiali i cattolici sono circa 10 milioni, sono in espansione, hanno circa 40 vescovi della Chiesa clandestina e 70 della Chiesa ufficiale; i protestanti, anche loro in forte espansione, sono 30 milioni. Detto questo, essendo piccolissima minoranza, ciò che essi rivendicano è di essere considerati innanzitutto cinesi. Sanno che questo è l’unico modo con cui il cattolicesimo potrà avere un futuro. Alcuni stimano che il potenziale del cattolicesimo, del cristianesimo sia vastissimo. La Cina dal punto di vista religioso è una terra sconfinatamente aperta, non è una terra già decisa.

cinacity.jpg La recente lettera del papa contiene alcuni orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all'opera di evangelizzazione in Cina (27.05.2007, su www.vatican.va - n.d.r). Il regime ha proibito di pubblicarla. Naturalmente circola, ma in forma clandestina. Qualcuno osa anche renderla pubblica, ma dipende dalla regione, dal capo del partito di quella regione. Le reazioni vere dei cinesi sul contenuto di questa lettera non si conoscono, molti punti della lettera non possono essere apertamente letti né dibattuti nelle comunità.
Nella lettera il papa affronta un nodo cruciale: che non ci siano più ordinazioni clandestine; non si sa come sia stato recepito dalla Chiesa clandestina, benché si sappia che essa mantiene un profondo legame con il papa.

Questo è un punto molto delicato, perché la Chiesa clandestina potrebbe vederlo come un cedimento eccesivo rispetto al regime. Sull’altro versante c’è la situazione della Chiesa ufficiale: la lettera dice testualmente, insistentemente che non ha senso avere una gerarchia staccata dal papa, se vuol essere cattolica. Quale ricezione ha avuto nell’ambito della Chiesa ufficiale? Non lo sappiamo.

Ci sono poi – nella seconda parte della lettera – una serie di passaggi che riguardano la regolazione della vita pastorale di cui non si ha un riscontro, e questo è sintomatico, a 10 mesi dalla pubblicazione. Comunque la posizione di fondo della Cina non è mutata: la Chiesa è considerata un “affare interno” e per avere un rapporto corretto con il regime non deve interessarsi dei problemi inerenti la vita politica. Su certi fenomeni non può diventare voce; ha solo una libertà interna che riguarda la liturgia, le vocazioni, e gli altri aspetti della vita religiosa. L’Associazione patriottica continua ad esercitare un controllo sulla comunità cristiana, sui parroci, sulle strutture parrocchiali. Nella lettera è stata apertamente contestata, anche se mai nominata, ma non sembra aver sospeso i controlli. I cattolici cinesi in questo momento godono comunque di un certo sviluppo, pur avendo problemi che danno da pensare (ad esempio, l’instabilità delle vocazioni, pur numerose). Tra le forme di espansione della Cina cristiana c’è l’enorme numero di preti mandati a studiare all’estero - a Roma, sono quasi cento - spesso con grosse difficoltà per la lingua.

In Italia si parla molto di moratoria per l’aborto. In Cina l’aborto è normalmente praticato per selezionare sia il sesso che il numero - non più di uno - dei figli. Cosa ne pensano i cinesi?
Certamente ci sono fenomeni di aborti “comandati”, “di Stato”, particolarmente crudeli. Bisogna però tenere presente che in Cina ogni anno c’è da sfamare una popolazione in più pari alla somma degli abitanti di città come Roma, Venezia, Milano, Torino, Firenze, Napoli. Coloro che hanno in mano il destino delle nazioni si trovano di fronte a dilemmi molto pesanti. Centinaia di milioni di persone in fase riproduttiva costituiscono un problema dal punto di vista economico. Come si fa a rispondere del futuro di queste persone? Occorre che questo avvenga con saggezza, senza schiacciare la vita umana con politiche cieche e crudeli.

a cura di Claudio Maria Picco
da Nuovo Progetto febbraio 2008


Sulla Cina vedi anche:
PECHINO 2008: gli indesiderati

CAPUT CHINA

Il Dalai Lama medaglia d’oro USA

CINA: 4 giugno 1989 (altri link in calce)

LA CINA VA IN AFRICA

 

 

 

 

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