Il Papa dei CINESI

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Benedetto XVI, incontrando ieri i rappresentanti dei 174 Stati e organismi che hanno rapporti con la Santa Sede, ha ribadito sua la volontà di dialogo per ciò che riguarda, in particolare, i rapporti con gli Stati

di Lorenzo Fazzini

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 Il Papa non ha nominato esplicitamente Cina, Vietnam e Arabia saudita, ma le ha indicate con un evidente riferimento, riportando al centro dell’attenzione mediatica globale un fatto eclatante e un problema aperto della situazione mondiale attuale.

Tra il più grande e popoloso Stato del mondo, la Cina, e il più piccolo, il Vaticano
, non ci sono relazioni diplomatiche. Una situazione che dura dal lontano 1951, da quando cioè, dopo la presa del potere dei comunisti di Mao Tse Tung, il rappresentante della Santa Sede venne espulso e trovò rifugio a Taipei, nell’autoproclamatasi Repubblica di Cina (Taiwan), che dal governo di Pechino è considerata nient’altro che una regione ribelle.

Ma tale situazione - la Santa Sede lo ha ribadito più di una volta - è tutt’altro che definitiva: Siamo pronti a trasferire la nostra Nunziatura a Pechino anche questa sera, se le autorità cinesi ce lo permettessero ha dichiarato in passato il Segretario di Stato card. Angelo Sodano. Facendo intendere che non è assolutamente questo il nodo centrale della distanza che ancora separa (ufficialmente) il gigante cinese dalla Chiesa di Roma. Ma che c’è qualcosa di più che sta (e stava) a cuore al Vicario di Pietro e alla Chiesa: la cura pastorale dei fedeli oltre la Muraglia e il pieno riconoscimento della libertà di culto e di religione non solo per i propri membri, ma per ogni individuo che voglia praticare il proprio credo.

E quanto affermato dal Segretario di Stato vaticano è stato ribadito di recente da mons. Joseph Zen, vescovo di Hong Kong, all’indomani della morte di Giovanni Paolo II in un coraggioso editoriale comparso sul settimanale Sunday Examiner e rilanciato in Italia da AsiaNews.

E qui si arriva alla situazione - per certi aspetti assurda - che sta (silenziosamente) sotto gli occhi di tutti: la potenza economica e politica emergente in questo inizio di Terzo millennio non permette ad un’istituzione religiosa come la Chiesa di esercitare in piena autonomia le proprie prerogative spirituali. Anzi: pretende di organizzare ogni suo ambito di vita, come anche di tutte le religioni, che devono essere ufficialmente registrate.

Tanto da aver istituito apposta un’Associazione patriottica che rappresenta i cattolici registrati, circa 5 milioni, mentre altri 5 appartengono alla cosiddetta Chiesa clandestina, quella cioè che non ammette interferenze governative e vuole piena libertà.

Si noti - sia detto en passant - che è sbagliato dire che ci sono due Chiese cattoliche in Cina: In Cina c’è una sola Chiesa, perché il battesimo è uno solo mi ripeteva un giovane seminarista della Chiesa clandestina appena uscito da san Pietro, dove aveva reso l’ultimo omaggio al Papa che tanto ha amato la Cina. Ci sono due comunità, ma la fede è una sola. A tal punto che la stragrande maggioranza dei vescovi ufficiali affermano che prima di entrare in carica - perché nominati dal governo - attendono l’approvazione dal Vaticano per sentirsi in piena comunione con la Chiesa universale.

Dunque: una situazione quasi grottesca nella quale una superpotenza economica ha timore del potere spirituale di un’entità religiosa. Senonché - affidandoci agli occhi di esperti conoscitori di cose cinesi - si può intravedere dietro la Grande Muraglia qualche possibile spiegazione di tale scontroso rifiuto da parte di Pechino verso la Chiesa, e le religioni in genere.

[ continua ]





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