Il ritorno di CONFUCIO

Pubblicato il 10-11-2009

di Loris Dadam

dipinto di confucio
La laica Cina apre, sul territorio nazionale ed all’estero, molteplici istituti dedicati a riscoprire il pensiero di questo “saggio” vissuto nel IV sec. a. C. Con obiettivi impensati.

di Loris Dadam

Confucio vive a cavallo del 500 a.C. in Cina. Filosofo, ha dato origine ad una linea di pensiero che si è espansa dalla Cina al Giappone, alla Corea ed al Vietnam col nome di confucianesimo, che solo in parte può ritenersi una religione, in quanto la divinità non viene definita e si tratta principalmente di una serie di prescrizioni morali e comportamentali. I principi del confucianesimo raccolsero un grande favore, soprattutto perché si fondavano in larga parte sulla tradizione e le credenze già radicate nella tradizione cinese. Confucio esaltò infatti la lealtà familiare, il culto degli antenati, il rispetto degli anziani da parte dei giovani, la sottomissione della moglie al marito, proponendo la famiglia come base di un governo ideale. Guardava al passato con nostalgia ed esortava i potenti ad ispirarsi agli antichi modelli di virtù. Dal 206 a.C. (dinastia Han) fino all’avvento della Repubblica Popolare con Mao-Tsè-Tung (1949) la sua dottrina è stata egemone in Cina.

confucioEssa è raccolta in 9 volumi: i Cinque Classici (Libro dei mutamenti, Classico dei versi, Classico dei documenti, Libro dei riti, Annali delle primavere e degli autunni) e i Quattro Libri (Il grande studio, Il giusto mezzo, Dialoghi, Il Mencio), dei quali i Dialoghi sono stati lo strumento di insegnamento fondamentale di ogni cinese per circa 2.000 anni, fino a quando ne venne abolito l’insegnamento nel 1949. La Cina odierna, benché sia ancora una Repubblica Popolare a partito unico, dimostra un interesse pubblico crescente per Confucio.

Una recente edizione del libro commentato dei Dialoghi ha venduto dieci milioni di copie e non è chiaro se rappresenti una ricerca, da parte dei cinesi, della loro cultura di origine, oppure il tentativo del regime di tenere sotto controllo i fermenti spirituali che sono sempre più diffusi, malgrado il materialismo ufficiale. Il regime ha forse compreso che Confucio è, prima di tutto, cinese e quindi si presta ad essere sfruttato in termini nazionalisti; inoltre, il suo pensiero è profondamente conservativo e misogino, e storicamente porta con se un’eredità di governi asiatici autoritari e paternalistici, in quanto sottolinea la stabilità sociale attraverso l’uso della virtù del capo piuttosto che del governo della legge. Si capisce come, data la crescente disuguaglianza sociale della Cina attuale, il vecchio linguaggio marxista sulle contraddizioni sociali e la lotta di classe venga ritenuto pericoloso dalle classi dirigenti, mentre l’insegnamento confuciano di interdipendenza e doveri reciproci appare molto più adatto al mantenimento dello status quo.

Ma la Cina sta usando Confucio per un’altra operazione strategica: l’espansione culturale negli altri paesi. Negli ultimi dieci anni sono stati aperti più di 300 Istituti Confucio in più di 80 Paesi diversi, certamente non per diffondere all’estero le dottrine autoritarie, quanto per promuovere la lingua e la cultura cinesi. Confucio è diventato quello che è Dante per l’Italia, Goethe per la Germania, Cervantes per la Spa-gna... C’è dietro il desiderio di essere accettati e rispettati dal resto del mondo, ma anche il bisogno di risolvere problemi molto pratici, come dare risposta alla crescente domanda di insegnamento della lingua. Per questo, spesso, gli istituti sono inseriti nelle università, in modo da stimolare altri collegamenti accademici e programmi di scambio di insegnanti e studenti. Si tenga conto come proprio dall’insegnamento di Confucio, che sosteneva che imparare era il dovere di tutta una vita, sia derivato il religioso rispetto dei cinesi per lo studio; da cui i massicci investimenti dello Stato nella formazione di elite universitarie, anche attraverso prestiti della Banca Mondiale fin dal 1980.

La cultura è usata come strumento di influenza a livello internazionale, specialmente verso i Paesi più sviluppati. Infatti l’espansionismo cinese non è visto come un pericolo dai Paesi in via di sviluppo (Africa, America Latina e parte dell’Asia), mentre è visto con crescente preoccupazione in Occidente. Molti degli Istituti Confucio sono proprio in Europa ed America, dove si trovano coloro che hanno più bisogno di studiare la lingua per gli interscambi commerciali. Comunque, anche la penetrazione culturale nel mondo in via di sviluppo è in aumento: sono stati aperti istituti nell’America Latina, uno recentemente a Nairobi in Kenya e molti probabilmente ne seguiranno dato che l’Africa sta diventando uno dei principali mercati della Cina, con migliaia di africani che vanno a studiare nelle università cinesi. La Cina vuole realizzare l’operazione già sperimentata dai Paesi occidentali: attrarre le maggiori intelligenze dal Terzo Mondo portandole a studiare a Oxford, alla Sorbona, al MIT… Subito al di là dell’Oceano, c’è il Cile, che sta diventando la nuova frontiera dell’espansione cinese: già due Istituti Confucio sono stati aperti a Vita del Mar e Santiago e lo scopo è palese: “Liberi da sospetti e formalità, saremo amici conoscendoci meglio gli uni con gli altri. E ciò evolverà lentamente in affari comuni”. La predizione è che in futuro il Cile sarà pieno di cinesi, che stanno già aprendo numerose aziende a Valparaiso. Confucio non avrebbe mai immaginato a cosa sarebbero serviti i suoi Dialoghi.

 da Nuovo Progetto Agosto Settembre

 

 

 

 

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