Il vangelo di Marco (11/21)

Pubblicato il 27-09-2012

di p. Mauro Laconi

di p. Mauro Laconi, op - Mc 4,1–34: accettare il dono della salvezza (2/2).

3) le cinque parabole

Sarebbe forse naturale prendere in esame ora la prima parabola, ma noi inizieremo invece dalla quarta perché questo piccolo capolavoro composto di quattro versetti soltanto, è la sintesi del vangelo di Marco.

quarta parabola (Mc 4,26-29)
G.Castellucci - E.Romualdi, Il seminatoreCi viene proposta la germinazione del seme, la nascita e la crescita della pianta del grano, sino alla sua maturazione. Tutto ciò avviene spontaneamente, per una forza intrinseca al seme stesso, grazie alla terra cui è affidato.
Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra. Dopo averlo gettato cosa fa perché il seme germini? Niente. L’uomo non fa niente. Il seme germoglia e cresce, perché la terra produce spontaneamente (il testo greco dice automaticamente, cioè per propria energia). Senza che l’uomo nemmeno sappia come, prima spunta lo stelo, poi si forma la spiga, che si riempie infine di chicchi. E quando il chicco è maturo si pone mano alla falce, perché è giunta l’ora della mietitura.
La parabola insiste proprio su questa meraviglia della natura, sulla forza misteriosa, che non dipende dall’uomo, che fa crescere il grano. L’uomo ha preso il seme e l’ha buttato. Poi è venuto l’inverno, e, senza alcun apporto umano, sotto terra è avvenuto un lavorio silenzioso, sino allo spuntare di un puntino verde che, giorno dopo giorno, piano piano, diventa spiga che, maturando, imbianca e poi diventa dorata. L’uomo non sa nemmeno cosa sia capitato, è un prodigio che opera Dio.
Questa parabola è stata chiamata la firma di san Marco e ci vuol descrivere non già la meraviglia dell’uomo di fronte alla natura, anche se questo stupore è reale, ma la meraviglia di ogni discepolo di Gesù di fronte al dono di Dio: la salvezza. La salvezza è un dono gratuito, è qualcosa di spontaneo: l’uomo riceve soltanto. Come, gettato il seme, l’uomo non interviene, non sa nemmeno cosa succede, ma solo attende il tempo della mietitura, così l’uomo che cosa può fare per la salvezza? Niente. La salvezza è un purissimo dono, è Dio che agisce per l’uomo. L’uomo deve solo accoglierlo.

È la sintesi concentrata di tutto il vangelo di Marco, ed è così caratteristicamente sua che non c’è né in Luca, né in Matteo, né in Giovanni. Che non ci sia in Luca non è così strano, perché ha lasciato cadere molte cose di Marco: sono le famose omissioni di Luca, grandi e piccole. Ma Matteo tutte le parabole di Marco le ha, eccetto questa. Questa parabola a Matteo non è piaciuta, perché quello di Matteo è un vangelo dell’uomo che fa. L’uomo deve fare qualcosa per salvarsi, deve rimboccarsi le maniche e fare (il discorso della montagna, l’operosità: non quelli che dicono Signore, Signore….). Matteo ha scritto il vangelo per incitare i cristiani del suo tempo a fare qualcosa, mentre per Marco è Dio che fa tutto.
Marco presuppone che io rifletta teologicamente su questa affermazione, e mi renda conto che anche quando faccio io qualcosa, è Dio che opera, perché le energie che metto in azione sono doni che mi sono stati dati, anche le opere buone che faccio. Quelli che chiamiamo meriti sono doni che ci sono stati dati.
Se si parla del regno di Dio, della salvezza, di niente posso dire: questo è mio, ma tutto ci è stato donato, tutto è dono.

prima parabola (Mc 4,3-9)
Willet Stained Glass Studios, Il seminatoreAlla quarta parabola si contrappone la prima, quella del seminatore. In essa non si nega che tutto è dono di Dio, però l’uomo deve collaborare. È vero che la salvezza è un dono di Dio, però questo dono va accettato perché la pianticella, frutto spontaneo del seme, non può nascere se la terra non accoglie il seme stesso.
Il chicco di grano è il dono, e la terra deve accoglierlo: ecco la parabola del seminatore, con i quattro esempi di differenti terreni su cui il grano è caduto.
Un po’ di seme cade sulla terra battuta, sul sentiero dove tutti passano, e non scende sulla terra, ma vengono gli uccelli e lo divorano. Chi rappresenta questo esempio? La gente refrattaria, quelli che respingono la parola, i cuori duri per i quali il vangelo non è importante, è un libro chiuso che non dice loro nulla. Terra dura: rappresenta anche un’esperienza personale di Gesù nella sua predicazione.
Un po’ di seme cade nella terra sassosa, dove lo strato di terriccio è solo superficiale e non permette al seme di andare in profondità: è il simbolo delle anime superficiali. Bisogna che la parola penetri e occupi tutto lo spazio dell’anima, entri nel profondo della vita perché, se rimane una cosa superficiale, rapidamente secca e muore.
C’è poi il seme che cade tra le spine: qui c’è terra buona, ma in questa terra nascono anche altre piante che sono più aggressive, ed il grano ne rimane soffocato. Questo simboleggia le persone che ascoltano sì il vangelo, ma che vorrebbero dividere la loro vita ascoltando un po’ Cristo un po’ qualcos’altro, in modo da combinare un compromesso mettendo insieme un po’ di questo e un po’ di quello.

La parola bisogna accoglierla in profondità, con pienezza, perché il seme renda ora il 30, ora il 60, ora il 100 per uno. Dio viene, ti offre i suoi doni e tu li accetti. Quando si ascolta veramente, il buon grano cresce e fruttifica in noi.
Ecco la responsabilità dell’uomo: è vero che tutto è dono di Dio, però l’accettazione dipende interamente dall’uomo, dalla sua libertà. Accettare il dono, salvarsi, è un gesto libero, come è un gesto libero il rifiuto della salvezza, e Dio non può fare nulla. Dio non fa violenza alla libertà, liberamente ci si salva o si rifiuta la salvezza, però se ci si salva si accoglie un dono, un purissimo dono di Dio. Le due cose non sono in contrasto l’una con l’altra.

seconda e terza parabola (Mc 4,21-25)
Balla Giacomo, LampadaLe altre due parabole, della lampada e della misura, commentano questa idea della responsabilità, della libertà nell’accettazione del dono fatto a tutti, nessuno eccettuato.
Il testo greco dice: “Viene forse la lampada….”. E si vede che la lampada è Gesù: egli è la lampada che illumina la mia vita. Se in una casa c’è una lampada accesa e se si rovescia sopra un moggio, la lampada si spegne. Lasciamo che brilli la lampada, accettiamone il dono!
Cos’ la parabola della misura dice la stessa cosa in altri termini. Probabilmente si rifà all’ambiente del mercato: la donna va al mercato, deve comprare qualcosa per portarla a casa e, se la sua misura è piccola, porterà a casa poco, se è grande porterà molto, a seconda delle sue forze (a volte la traduzione è imprecisa: nel testo greco non c’è “sarete misurati” ma “sarà misurato”, vi sarà dato tanto o poco, secondo la misura che portate).

E così è anche per il vangelo, dipende da quanto cuore ci metti. Puoi presentare al vangelo un cuore grande, e sarà tutto riempito dal suo messaggio; se invece porti un cuore meschino, un cuore piccino, prenderai poco. Anzi niente, perché a chi ha sarà dato, e a chi non ha (cioè ha poco) sarà tolto anche quello che ha. Del vangelo o si prende tutto o si prende niente. Non si può dire: io ne prendo un pezzettino e il resto lo lascio lì. Se prendi il vangelo con pienezza, allora hai la misura grande.
Il vangelo occorre accoglierlo dandogli tutta la vita perché è qualcosa di prepotente che vuole occupare tutti gli spazi della nostra esistenza, entrare in ogni aspetto della nostra vita. Se uno accoglie il vangelo non può dargli solo cinque minuti ogni tanto, dargli solo alcune cose della sua vita, come la vita di famiglia sì e la vita del lavoro e della cultura no, o viceversa.
Il vangelo è tutta la vita, tutta quanta: famiglia, lavoro, cultura, divertimento, riposo, salute: tutto entra nel vangelo, perché o lo accetti in pienezza in modo che entri ovunque tu esisti, oppure lo perdi.

quinta parabola (Mc 4,30-32)
Cerezo Barredo, Parabola del granello di senapeEd ecco un collegamento alla quinta parabola, al granello di senape. A quelli che ascoltavano Gesù, ma in realtà ad ognuno di noi, il vangelo può sembrare una cosa molto modesta. Gesù era uno dei molti maestri che circolavano per la Palestina, la sua predicazione poteva apparire una delle tante.
Ma Gesù è convinto che il seme della sua predicazione porterà un grande frutto: nascerà la Chiesa, nascerà il cristianesimo, la storia della salvezza. Piccole cose iniziali che produrranno grandi cose, piccolo seme che germoglia e diventa un albero.
Il messaggio delle parabole è quindi: la salvezza è un puro dono di Dio, ma è mia responsabilità accettare o respingere questo dono che, se accettato, trasforma completamente la mia vita nella sua pienezza.




Fonte: da Progetto 1991

 

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