IMMIGRAZIONE: identità arricchita
Pubblicato il 31-08-2009
Si riuscirà a coabitare italiani e immigrati insieme, senza ghettizzarci o semplicemente tollerarci?
Oggi non c’è bisogno di andare in Africa, in Asia, in America Latina per cercare persone legate a culture, modi di vivere, religioni diverse. Andiamo sul concreto, riferiamoci ai rapporti con un musulmano: posso ignorarlo, posso combatterlo, posso dire facciamo qualcosa insieme. Possiamo vivere insieme oppure possiamo fare in modo che all’interno della città ci sia la divisione tra quartieri musulmani e occidentali, situazione che porta in sé un germe cattivo, perché a quel punto è difficile uno sviluppo comune. Rischieremmo di ritrovarci i conflitti tra quartieri, come in alcuni Paesi europei che hanno cominciato a vivere l’immigrazione prima dell’Italia. |
È pericoloso lasciare i musulmani in una situazione di inferiorità, perché tale frustrazione può dare vita ad una ricerca di identità che enfatizza le diversità, fino a determinare una possibilità di conflitto. La soluzione più ragionevole è cercare di vivere anche fisicamente insieme, dunque di prevedere la coabitazione tra immigrati e chi è originario dell’Italia. Ancora più importante della possibilità di coabitazione è l’educazione ad una mentalità che entri nella cultura e nella civiltà italiana. Senza questo passaggio, dopo una generazione ci sarà uno scontro. | ![]() |
Cosa si può fare per aiutarli ad appropriarsi della storia, della lingua, della mentalità del Paese in cui sono immigrati? Incominciando nei Paesi di immigrazione, organizzando in loco corsi che preparino chi vuol fare il viaggio, chi vuol emigrare. Non è difficile: le ambasciate potrebbero istituire centri culturali e, per incoraggiare, dare il visto preferenzialmente a chi avrà seguito questi corsi. Si premierebbe così chi ha l’intenzione non solo di venire a lavorare per procurare denaro da mandare in patria, ma anche chi fa lo sforzo di integrarsi; se non c’è sforzo non c’è dialogo. Credo che l’integrazione sia l’unica strada per un oggi e un domani di pace. |
![]() | C’è poi da chiarire il termine multiculturale. Significa che tutte le culture si equivalgono? Che tutte le culture sono benvenute? Queste posizioni sottintendono per l’immigrato il rischio di non sentire più il bisogno di fare lo sforzo di integrarsi per cui a quel punto cercherà di sviluppare la sua cultura, di ritrovarsi con i suoi conterranei e vivere con loro in un proprio quartiere. È la ghettizzazione: parliamo la nostra lingua, ascoltiamo la nostra musica, apriamo i nostri negozi, i nostri ristoranti, rifacciamo una piccola casbah a Milano, Torino, Roma... ovunque. |
MODELLI DI INTEGRAZIONE
![]() Fonte: spunti da “Cento domande sull’islam”, Samir Khalil Samir, Ed. Marietti | ![]() | La conseguenza non è un male per gli italiani, è un male per l’emigrato che non si integra, non trova un lavoro, non parla la lingua e non capisce la mentalità degli italiani; la conseguenza è ancora peggiore quando i figli cominciano ad andare a scuola: al mattino vanno in Italia, nel pomeriggio tornano in Marocco. La mamma - come le altre donne che spesso sono poco integrate, escono poco, parlano male la lingua - non sa aiutarlo per la scuola. Il progetto multiculturale, che di per sé è un progetto generoso, può così fallire in partenza. Sono convinto che il modello multiculturale assomigli più a una pericolosa utopia che a un ideale da perseguire. Se vogliamo costruire una società comune, in essa chiaramente continuerà a sussistere il noi e il loro, però almeno a livello di intenzione al noi e loro si sostituisce il noi tutti. Attraverso il noi tutti c’è anche l’arricchimento e non la tolleranza, perché, se guardo il senso etimologico del termine, io ti tollero vuol dire che ti sopporto, vuol dire che non ti amo, vuol dire che non ti voglio bene. da un intervento altri contributi: L’IMMIGRAZIONE ha un volto concreto |