Incontri possibili

Pubblicato il 10-08-2011

di chiara

Alle prese da anni con una malattia incurabile, ha descritto in un diario “Crudele Dolcissimo amore” la sua esperienza. Per la rivista Nuovo Progetto cura la rubrica: “Chiara M risponde”.

di Chiara M.



Ciao Chiara, ho avuto un incidente ormai da 3 anni, che mi ha costretto a stare in carrozzina. Ce l’ho quasi fatta a ricostruirmi un equilibrio ma la cosa che per me è più difficile da affrontare (ancora) è il relazionarmi con chi mi aiuta nelle piccole e "grandi" azioni quotidiane. Hai qualche consiglio da darmi?

Marco

Caro Marco, all’inizio della mia avventura a quattroruote, tutto mi si rivoltava dentro. Avevo deciso che “così”, non sarei più uscita di casa; non avrei sopportato di farmi vedere dagli altri ridotta alla disabilità ma soprattutto non sopportavo l’idea di dover dipendere da qualcuno. Io, amante dell’indipendenza e della libertà all’ennesima potenza, soffrivo al solo pensiero di “chiedere”.

Qualcuno all’epoca, forse per consolarmi o per incoraggiarmi mi ha anche detto: “Vedrai, poi col tempo ti abitui”, col solo risultato di farmi venire ancora di più un senso di ribellione interna davanti all’ineluttabilità della situazione. Devo dirti che è vero che il tempo aiuta, perché per nostra fortuna, il senso innato di sopravvivenza che possiede un uomo è superiore, nella maggioranza dei casi, alle prove che possono abbattersi su di esso. Tu stesso me lo confermi dicendo che hai raggiunto un certo equilibrio.

Il problema restano “gli altri”, quelli che in gergo noi chiamiamo “gli impiedi”. Anch’io, tuttora, mi trovo alle volte in difficoltà, però dopo anni di esperienza di e con questa “diversità”, mi sono fatta un’idea. Vedi, normalmente, davanti ad un disabile o una persona in difficoltà, l’istinto è di aiutare. Bellissimo e augurabile per tutti. Ma non si dovrebbe imporre un aiuto secondo un proprio razionale pensiero e/o ragionamento senza tener conto della persona in questione. “Ti aiuto in questo modo perché sono sicuro che vada bene così.”

Alle volte funziona, alle volte no. Dalla nostra parte c’è il bisogno oggettivo di aiuto, ma il nostro senso di colpa inconscio perché qualcuno per forza ci deve aiutare, fa sì che non si abbia il coraggio di dire “come” debba essere quest’aiuto. Nello stesso tempo ci si aspetta che “gli impiedi” capiscano da soli la situazione, ma “gli impiedi” non possono intuire qualcosa che non conoscono, giusto?

E allora qual è il mio consiglio? Parlarsi. Venirsi incontro e conoscere il linguaggio dell’altro. Ho bisogno di fare un trasferimento dalla carrozzina al sedile di una macchina? Ti spiego con naturalezza che mi devi prendere in quel modo per non procurarmi traumi o causarmi dolore. Tu, “impiedi”, all’inizio avrai timore di toccarmi come se fossi una bambola di vetro ma poi, seguendo le mie indicazioni avrai più sicurezza e ci può scappare pure la risata. Piano, piano, senza paura. Io non mi sentirò inferiore a te e tu non donerai “dall’alto”. Siamo pari.

Identica dignità anche se su dimensioni diverse. Ognuno con la sua ricchezza. Io ti posso donare la mia sensibilità, delicatezza e attenzione, tu puoi donarmi le tue gambe, le tue braccia, la tua forza. Esiste un’altra faccia del diamante dell’Amore. L’ho scoperta con sorpresa proprio grazie a questa mia esperienza: accettare e accogliere l’amore degli altri.

Chiara M.

Info: chiara-m.it

nuovoprogetto.sermig.it

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