Integrazione in Europa: Mancano regole comuni

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


La compresenza oggi in Europa di cristianesimo e forti minoranze islamiche, accanto ad altre religioni e culture, può causare contrapposizioni o risolversi in una sorta di integrazione massificante ad opera del più forte sul più debole. Per evitarlo, è necessario allargare lo spazio della comprensione, dell'accoglienza, e dell'integrazione. Se si vuole una convivenza pacifica e unita, occorre mirare a una «convivialità delle culture».

Lucio Sembrano

Dialogare, sì, ma con chi, data la estrema varietà delle posizioni teologiche del mondo musulmano? Per non parlare di un certo atteggiamento fondamentalistico cristiano con cui si devono fare i conti: se Cristo è Dio, e questo - si argomenta - è il minimo che un cristiano possa affermare, e se Gesù Cristo è l'unica via di salvezza possibile, come insegnano la Bibbia e il magistero pontificio, il giudaismo si può liquidare come un'anomalia storica, e l'islam come un'anomalia cronologica, o una profezia erronea. Se la questione si pone in questi termini, è inutile proseguire. Lo scoraggiamento e la delusione indurranno a non parlare affatto di Dio, visto che l'argomento teologico dev'essere motivo di divisione o di confusione. Non potrebbe essere questo il motivo implicito della rimozione del discorso religioso dalla nuova Costituzione europea?
Bisogna riconoscere che il proselitismo, secondo cui l'altro è considerato come uno da convertire, da condurre alla verità (che pretendo di possedere solo io) è un binario morto, e riconoscere che è Dio che converte i cuori, quando e come vuole. Il dialogo teologico è possibile ma è un punto d'arrivo, non di partenza. E comunque si tratta sempre di scegliere gli interlocutori giusti, e di imparare a riconoscere e valorizzare i semi di verità e di saggezza, dei quali essi sono portatori. È sempre possibile un incontro in campo religioso, poiché questo è più vasto della sola religione. L'essenza dell'esperienza religiosa è data dalla ricerca spirituale e dalla domanda metafisica, comuni all'umanità di ogni tempo, e prospettare l'integrazione della diversità religiosa come sostegno della ricerca spirituale, individuale e collettiva, che ci accomuna.
Ecco la sfida, o meglio la scommessa del dialogo interreligioso, che rifiuta la dialettica tra religiosità e laicismo, o tra ateismo e religione: orientare verso una curiosità dinamica, verso la creazione di uno spazio comune e l'individuazione di criteri di autenticità dell'esperienza religiosa, che garantiscano la serietà e l'integrità di una dinamica spirituale, rinunciando alla rivendicazione di un territorio esclusivo per se stessi. Nell'ottobre 1999, si tenne in Vaticano un'assemblea interreligiosa, i cui partecipanti affermarono che le tradizioni religiose posseggono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. In quella occasione fu pure riconosciuto che dall'ingiusta associazione della religione con interessi nazionalistici, politici, economici o di altro genere sono spesso derivati tragici conflitti

. Da molti anni musulmani e cristiani lavorano insieme in una “Consultazione” che, ospite del Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra dal sedici al diciotto ottobre 2002, ha lavorato sul tema " Cristiani e musulmani in dialogo ed oltre ". La Consultazione, che ha radunato insieme rappresentanti delle maggiori organizzazioni internazionali musulmane e cristiane, studiosi e persone attive nel lavoro delle comunità musulmane e cristiane locali, ha identificato un certo numero di specifici temi su cui collaborare negli anni a venire, localmente, nazionalmente ed internazionalmente, nel campo dell'educazione, nell'attenzione alle percezioni delle comuni responsabilità nell'arena pubblica, nell'impegno per la giustizia e la pace.
La Consultazione era ben cosciente dei recenti avvenimenti che pesano sulle relazioni tra le due comunità di fede nel mondo, soprattutto l'attacco terroristico al World Trade Center di New York, la guerra contro l'Iraq, la perdurante pena e sofferenza in Palestina, specialmente a Gerusalemme. A causa della globalizzazione dell'informazione, tali eventi in cui musulmani e cristiani sono percepiti come in conflitto sono trasposti in altre parti del mondo, spesso contribuendo al peggioramento di situazioni che con quegli eventi non hanno alcun rapporto. Malintesi, mutui pregiudizi e mancanza di fiducia sono allora sfruttati per i loro scopi da politici e da estremisti per contrapporre tra loro le comunità.

Se questa è la situazione presente, per allacciare relazioni proficue tra culture e religioni diverse è necessario pensare a un lasso di tempo sufficientemente lungo, che non potrà non comportare anche degli adeguamenti legislativi. Tessere dei legami è il senso del latino religare. In questo caso, si tratta di dar vita a una religione civica, partendo dal trovare un'intesa sul piano terminologico. Quando è possibile, si devono distinguere le comunità culturali da quelle cultuali.

In Europa gli Stati membri non riconoscono tutti gli stessi culti, religioni o confessioni e questo pone dei problemi anacronistici sul piano della libera circolazione dei capitali, delle persone e delle idee. In Francia, dal 1905 vige la separazione tra Stato e Chiese e la laicità è istituzionalizzata. La Germania è meno restrittiva quando alla visibilità della cultura religiosa nella sfera pubblica e la costituzione garantisce il diritto all'educazione religiosa nelle scuole pubbliche, eppure ha messo al bando “Scientology”. L'Olanda ha adottato una politica multiculturale, secondo cui la laicità dipende solo dai principi personali, perché ciascuno ha diritto di vivere senza ostacoli, sia nella vita pubblica che in quella privata, secondo la propria fede religiosa e secondo i propri principi, e il governo finanzia le scuole islamiche.
In Italia, vige il pluralismo religioso, e in principio tutti i culti sono tollerati se non in contrasto con la costituzione, ma nelle scuole pubbliche solo l'insegnamento cattolico è assicurato, anche se i musulmani cominciano ad organizzarsi per presentare, in nome del pluralismo, richieste in tal senso, quando non avanzano pretese assurde e offensive, come insegna la polemica relativa al ritiro dei crocifissi dalle scuole.

All'islam manca ancora un'organizzazione centralizzata, come quella delle Chiese, per cui i governi europei si trovano spesso in grave difficoltà, non sapendo con quale partner possono dialogare. L'islam non ha un carattere monolitico. La vita religiosa musulmana diverge da società a società. Lo si può percepire a proposito del velo. Chiedendo alle donne perché lo portano, si ricevono le risposte più varie, dal rispetto della religione alla gelosia del marito! Ma tutti saranno d'accordo sull'omosessualità. La risposta sarà: «Per l'islam è haram (= proibita)». Non si troverà invece ostilità quanto alla tecnologia, alle cure mediche più avanzate e ai sistemi di sicurezza progettati in occidente. Sui siti web si trova un'infinità di siti dedicati al Corano e ai suoi commenti.

L'armonizzazione a livello europeo è ancora di là da venire. Poiché gli Stati membri non regolano allo stesso modo né gli aspetti cultuali, né quelli culturali, e si riferiscono in modo divergente alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, quale legislazione si deve applicare a una minoranza religiosa, quando questa costituisce pure una minoranza linguistica o culturale, per garantirle il diritto alla differenza? Qual è il limite tra una religione e una setta? È lo Stato che deve definirlo? E in base a quali criteri? Come regolarsi coi Testimoni di Geova, o con la Chiesa evangelica gitana? Sarà possibile, in futuro, separare la religione dall'ambito pubblico?

In definitiva, senza lasciarsi spaventare dalle diversità, spesso contraddittorie o anti-statalistiche, dei nuovi venuti, il dialogo interreligioso, anche se non sarà sempre teologico in senso stretto, poiché di fatto certi filoni dell'islam non si lasciano assimilare, deve affrontare in modo lucido ed empirico le logiche confessionali, etniche e di gruppo, cercando di stringere dei legami nuovi sulla base dei fattori che uniscono le persone, e non sottolineando ciò che divide. A volte si dispone di eredità dimenticate, di tesori nascosti, come le memorie arabo-musulmane ed ebraiche dell'Andalusia o della Sicilia, alle quali l'Europa cristiana deve molto e che si farebbe bene a disseppellire, perché rappresentano un modello di tolleranza e di pluralismo, al quale i nuovi immigrati potrebbero ispirarsi per sviluppare una nuova interpretazione dell'islam di tipo europeo.

Bassam Tibi, intellettuale musulmano tedesco di origine siriana, a colloquio con Nina Fürstenberg (Caffè Europa, ottobre 2002), ritiene che tale nuova interpretazione debba avvenire ad opera dei musulmani stessi, con una formazione degli imam in Europa occidentale (e non più importandoli dall'Iran, dall'Egitto o dall'Arabia saudita), il riconoscimento della separazione tra religione e politica («Nella sfera privata sono musulmano, ma nella sfera pubblica sono cittadino»), e il pluralismo («I fedeli delle diverse religioni - siano essi ebrei, cristiani, musulmani - oppure gli atei, debbono essere tutti considerati esseri umani a pari titolo e con pari valore»). Bassam Tibi ha formulato nel 1992 il concetto di "euroislam", sostenuto da religiosi islamici a Parigi e a Marsiglia).



Estratto dal Comunicato stampa diffuso a Ginevra
dalla Consultazione il 18 ottobre 2002

«Abbiamo affermato la realtà del dialogo e della cooperazione tra cristiani e musulmani e riconosciuto il contributo che queste esperienze hanno dato alla riconciliazione e alla cooperazione in molti luoghi. I mutui stereotipi che ancora impregnano molte comunità e culture possono spesso portare ad una violenza collettiva e insensata di una comunità contro l'altra. Ma in altri luoghi tutto ciò è stato rimpiazzato dalla mutua fiducia e dal lavorare insieme per il bene comune. Queste ultime esperienze debbono essere diffuse più ampiamente.

Nei nostri colloqui siamo stati incoraggiati nell'apprendere di molte iniziative locali di cristiani e musulmani, donne e uomini, preti pastori ed imam, per approfondire lo spirito del vivere insieme, per riparare i danni fisici e mentali causati dal conflitto e per ristabilire fiducia e mutua comprensione. Purtroppo il mondo non sa abbastanza di tali iniziative in molte parti dell'Africa, dell'Asia, del Medio Oriente, dell'Europa e degli Stati Uniti.
In quanto musulmani e cristiani vediamo ed apprezziamo come volontà di Dio il fatto della diversità religiosa e culturale.

Insistiamo particolarmente sul ruolo dell'educazione attraverso e per le nostre comunità come un punto-chiave in cui creare quella fiducia e mutua comprensione che sono essenziali per resistere ai tentativi di sfruttare le differenze religiose per fini distruttivi. Vogliamo sottolineare che, per raggiungere questo scopo, il nostro modo di educazione deve portare cristiani e musulmani a collaborare nello sviluppo dei curricula, dei libri di testo e della formazione degli insegnanti: non è più tempo di parlare gli uni degli altri, ma dobbiamo parlare gli uni con gli altri.

Le nostre fedi musulmana e cristiana ci spingono a condividere un comune sentire della dignità dell'essere umano e su questa base insieme affermiamo i fondamentali diritti degli individui e dei gruppi come espressi nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti umani e sui reciproci doveri che da questi diritti derivano. Affermiamo che tutti, a prescindere dalla religione, dalla razza, dalla etnia, dal genere o dalla classe sociale, hanno titolo a pieni ed eguali diritti di cittadinanza e libertà di espressione e religione a qualsiasi Paese essi appartengano.

In particolare, noi affermiamo che la partecipazione a eguali diritti delle religioni e delle comunità religiose negli affari pubblici localmente, nazionalmente e internazionalmente non è solamente un diritto ma anche un dovere che sgorga direttamente dal nostro impegno di gente che crede che le nostre Scritture ed il cuore dei nostri insegnamenti contengono un messaggio essenziale per la società di oggi. Ne consegue che affermiamo anche la libertà dell'individuo di aderire alla religione di sua scelta, e che è compito dello Stato proteggere i pieni ed eguali diritti di tutte le comunità religiose di organizzarsi e di partecipare in modo appropriato ai pubblici affari.

Spinti dagli sviluppi degli avvenimenti nel mondo, come pure da recenti tragici conflitti locali, noi, musulmani e cristiani insieme, ci impegniamo nella ricerca della giustizia e nella prevenzione dei conflitti e della incombente violenza. Siamo profondamente preoccupati perché il mercato globale ed i sistemi dell'informazione minacciano di creare nuove strutture di oppressione che potrebbero nutrire l'estremismo e la militanza e provocare atti di violenza. Chiediamo ai leaders politici di resistere alla tentazione di incolpare e demonizzare, in modo semplicistico e populista, intere comunità, e di rifiutare di sostenere quelli che vorrebbero sfruttare i conflitti altrui per i loro propri scopi locali.

Ci opponiamo alla identificazione della violenza e del terrorismo con una religione o comunità particolare. Chiediamo ai leaders delle nostre religioni, a tutti i livelli, di farsi carico delle ingiustizie sociali, economiche e di altro tipo che gravano sul loro ambiente, e di non voler usare queste ingiustizie per alimentare odî religiosi. In questa linea, i leader cristiani e musulmani possono e debbono trovare vie per lavorare insieme nel promuovere la cultura del dialogo e della mutua fiducia».

 

 

 

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