Intervista a Giulio Andreotti

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


L’ingresso della Turchia in Europa potrà rappresentare una grande svolta positiva per l’umanità. La politica italiana? Non esistono soluzioni facili. È lo spirito che conta…

a cura della redazione

Ci interrogavamo in questi giorni sulle conseguenze di un futuro ingresso nell’Unione Europea della Turchia, 70 milioni circa di cittadini, per il 99 per cento musulmani. Un Paese che dal punto di vista dei diritti, delle libertà di opinione, di religione ha per il momento una situazione diversa da quella raggiunta in Europa. Un Paese che sta iniziando ad aprirsi a nuove forme di mercato, alla privatizzazione… Quali valutazioni?

A. Personalmente sono un po’ prevenuto in senso favorevole, perché per molti anni mi sono occupato di difesa e ho lavorato insieme ai turchi. La Turchia fa parte dell’Alleanza Atlantica ed è stato un elemento determinante nell’equilibrio attuale: senza la Turchia probabilmente la nostra azione per scoraggiare l’Unione Sovietica dall’attaccarci non sarebbe stata sufficiente.

Capisco anche le difficoltà legate ad un suo ingresso nell’UE. Sarebbe stato grave però, a questo punto, non iniziare il negoziato. Un negoziato aperto: non è detto fin da oggi che la conclusione debba essere una o un’altra, è un negoziato che sarà comunque lungo. Però penso che, se si lavorerà da una parte e dall’altra con molto impegno, con molta apertura, potrà rappresentare una grande svolta positiva per l’umanità.

Oggi abbiamo delle difficoltà nel dialogo con l’islam, anzi molti lo impostano in un modo addirittura feroce, di chiusura. Un atteggiamento del genere si è presentato anche in campo culturale: Oriana Fallaci, che ha venduto un milione di copie del suo libro - cosa mai accaduta in Italia - si pone in una posizione di antitesi assoluta, vede solo i lati negativi dell’islam.

C’è anche chi sul piano internazionale fa una gran confusione, cioè identifica l’islam con il terrorismo, e questo non è vero. Ci sono terroristi che non hanno niente a che fare con l’islam e ci sono islamici che non hanno niente a che fare con il terrorismo. Io credo che il negoziato tra l’Unione Europea e la Turchia, se sarà gestito con molta responsabilità, profondità, investendo tanti mondi - i giovani, la cultura, gli interessi economici - può essere per il futuro un forte contributo per migliorare la situazione dell’umanità. Certamente occorre che anche l’altra parte si apra. Ad esempio: ad Istanbul non accade, perché la città ha un carattere quasi internazionale, ma se uno ad Ankara vuole andare a messa, credo che solo nella cappella della nunziatura ne abbia la possibilità (con una messa in piedi, sullo stile di quelle che celebrava Giovanni XXIII, quando era Nunzio Apostolico in Turchia). Questo cammino è stato anticipato dal nostro Governo: la concessione agli islamici di costruire una Moschea a Roma ha significato una svolta molto importante. Questo è il cammino che, se il Signore lo benedirà, sarà poi visto come una svolta notevole per l’Europa, per la Turchia, e per ciò che più oltre significherà.

Guardando al nostro Paese, il dibattito politico è già da tempo concentrato sulle elezioni e sulla contrapposizione tra i due poli. Nel frattempo nuove povertà, impoverimento dei ceti medi, tematiche legate all’immigrazione… restano sullo sfondo. Cosa occorre alla politica italiana per riprendere quota?

A. La politica italiana ha bisogno di riprendere dei programmi di respiro. In fondo nel dopoguerra tutto era a pezzi. C’è stata una trasformazione, sicuramente oggi non siamo più sottosviluppati, anche se abbiamo ancora una serie di problemi da un punto di vista economico. Però ciò che ha spinto il movimento di crescita della nostra Nazione è stato il senso di collaborazione. Pur nelle nostre rispettive linee politiche, nelle differenziazioni c’era la convinzione che l’antagonista fosse un avversario, non un nemico. Anche il sistema che avevamo, proporzionale, faceva sì che una serie di forze potessero essere rappresentate; poi facevano le loro unioni, magari provvisorie, magari parziali, magari rette da un appoggio esterno che non entrava nel governo.

Poi si è voluta fare una semplificazione, cioè i due poli, tutto bianco o tutto nero, ma questo non corrisponde al nostro carattere, non corrisponde all’Italia che dalla Sicilia alla Valle d’Aosta non è tutta uguale, non corrisponde alla nostra storia. Cosa ne è nato? Che all’interno dei due blocchi ci poi sono molte diversificazioni. Così, non solo i due blocchi non si parlano fra di loro, ma c’è anche al loro interno quella divisione che tante volte entra a far parte della cronaca quotidiana…

Non esistono progetti miracolosi. Anche recentemente abbiamo avuto una “doccia fredda”: quello che sembrava l’ideale, il sistema proporzionale di tipo tedesco (proporzionale con il 5% di base), non ha evitato che anche la Germania si trovi in difficoltà dopo le recenti elezioni.

Non esistono quindi soluzioni facili. È lo spirito che conta. Contano i programmi obiettivi, perché le formule poi sono a servizio dei programmi. Per andare oltre la polemica sulla menzione o meno delle radici cristiane dell’Europa, io ho detto “Se noi Unione Europea per un certo numero di anni faremo una politica tale per cui i poveri saranno meno poveri e i ricchi saranno meno ricchi, questa sarà l’Europa cristiana.”
Se si chiamasse cristiana ma ognuno poi rilevasse condizioni tali per cui non ci fosse sviluppo, non ci fosse miglioramento sociale? Tutti ci siamo entusiasmati a suo tempo quando Benedetto Croce disse “non possiamo non dirci cristiani”, ma la cosa importante non è tanto dirci cristiani, è esserlo. Allora esserlo significa riflettere sul fatto che tutta la storia del cristianesimo fin dagli inizi è una storia di poveri che hanno camminato in salita.

Grazie.

la redazione

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok