IRAQ: raccontare Baghdad

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Abbiamo incontrato Guido Cravero, operatore RAI, presente a Baghdad durante la caduta della città e tornato di recente per riprendere gli attuali eventi.
Nonostante sia autore di alcuni degli scoop trasmessi nei giorni di bombardamento, ha preferito tratteggiarre una sua opinione sul conflitto e sul modo in cui è stato trasmesso.

... a cura della redazione

 


Come sei arrivato a raccontare la guerra in Iraq?
La Rai ha formato un pool di telecineoperatori che danno volontariamente la disponibilità per le trasferte.
Io mi sono offerto per documentare le cosiddette "aree di crisi".
Sono state organizzate tappe di formazione piuttosto impegnative, realizzando, in collaborazione con l'Esercito Italiano e un'azienda che opera in questo specifico settore, un protocollo, che prende in considerazione situazioni come il potersi interfacciare con una truppa di occupazione.
Non solo la formazione prevedeva sia l'apprendimento di dinamiche di gruppo che di nozioni di primo soccorso, tutto studiato in base alla nostra missione. Si parte non prima di avere effettuato una prova simulata.
Alla partenza non credevo che la guerra sarebbe davvero scoppiata. Quando è successo abbiamo valutato i pericoli che correvamo, ci siamo chiesti se dovevamo rimanere o meno e liberamente abbiamo deciso di restare.
E' stata la tua prima esperienza di guerra?
Si. Sono stato anche in Afghanistan, quando i giochi erano già fatti e la guerra non l'abbiamo vista. Poi in Kosovo, dove ho assistito all'ingresso dei militari tedeschi che hanno dovuto fronteggiare qualche sacca di resistenza… Tutte aree di crisi, in cui le situazioni problematiche sono in evoluzione.
Come valuti il modo in cui ci è stata trasmessa questa guerra?
Penso che chi di noi ricorda la guerra del '91 (quella per liberare il Kuwait) abbia ancora in mente i filmati con le scie verdi dei traccianti nel buio della notte. I conduttori si limitavano a commentare queste immagini, dopodiché arrivavano quelle provenienti dal Ministero dell'informazione iracheno che venivano puntualmente bollate come propaganda di regime: come valutare se si trattava davvero di propaganda o meno?
In questa guerra invece la stampa stazionava nel centro delle città teatro del conflitto, riportava le scene dei bombardamenti, dei combattimenti, dei corpi delle vittime, per cui questa volta non si è potuto parlare di propaganda: i feriti erano feriti, i morti erano morti, le perdite, anche quelle da parte anglo-americana, sono andate amplificandosi...
Penso che la nostra informazione sia stata efficace.
Quindi per raccontare un evento è molto importante l'immagine...
Un tempo si diceva che l'immagine era corollario alla notizia, penso che oggi sia più corretto dire che l'immagine è parte integrante della notizia, sullo stesso piano del commento che segue e dei suoni che l'accompagnano.
Se rivediamo i telegiornali degli anni 80 troviamo servizi da tre minuti, oggi sarebbero impensabili. Questo cosa significa? è cambiato qualcosa nel nostro modo di operare, ma è cambiato qualcosa anche per chi sta davanti allo schermo, che ha imparato a leggere molto più rapidamente la notizia e ha una maggiore esigenza di sintesi. è cambiato il tipo di informazione, così come siamo cambiati noi e forse non ce ne siamo accorti. Il nostro è un mondo che viaggia con l'immagine .
Come si possono usare correttamente le immagini per informare?
Bisogna aver chiaro che un'immagine non può essere esauriente: immaginate di fotografare un luogo e di identificare quel luogo con quell'immagine fotografica. Mancherà sempre qualche cosa.
La correttezza o meno dipende dal modo in cui un reporter si relaziona con l'evento, se in lui c'è un atteggiamento malizioso o c'è l'ambizione di fare uno scoop, prevarrà quello. Non dobbiamo, però esagerare e caricare tutto di una valenza negativa. Chi effettua le riprese è un uomo e come tale è passibile di commettere errori: sbagliare il punto di ripresa, non comprendere a pieno ciò che stava succedendo... ma non sempre c'è tutta la faziosità o la mala fede di cui si parla.
Credo che non possiamo dire che l'informazione abbia operato male, ma dobbiamo ricordarci che i servizi televisivi durano non più di un minuto e mezzo, un tempo in cui si possono dire solo cose superficiali. Per risolvere il problema si tratta di ripensare i palinsesti TV, dedicando uno spazio maggiore all'approfondimento.
E qual è la relazione che tu instauri con l'evento che riprendi?
In partenza cerco di non censurare niente. Poi tolgo solo l'immagine che può andare a detrimento di chi sto riprendendo: se per esempio un bambino commette qualcosa di particolarmente grave, lo riprendo in maniera tale che non sia riconoscibile… e questo lo faccio in base alle norme di deontologia professionale, oltrechè in base a regole dettate dalla mia coscienza.
Posso garantire sulla mia onestà intellettuale nello svolgere un lavoro che penso possa servire a qualcosa. Poi c'è sempre la curiosità di scoprire nuovi mondi, nuove culture a cui attingere, rendere onore alla verità.
Mi è stato chiesto con che coraggio riprendiamo una mamma che ha appena perso un figlio per intervistarla. Ma se io non rendo onore alla cronaca e ometto di fare quella ripresa, quella tragedia è come se non fosse mai avvenuta agli occhi dell'opinione pubblica. Io sento il dovere di raccontarla.
Anche il tuo ritorno in Iraq è legato al desiderio di continuare a cercare e a documentare la verità...
Sì, per adesso non ho mai provato a raccontare nulla. Penso che incomincerò a farlo.
Chi mi ha spronato a fare questo è mio figlio che mi ha detto: "tu hai visto tante cose e gli altri non ne sanno nulla, te le tieni tutte per te?" Ha ragione, ad un certo punto c'è anche un obbligo morale. è difficilissimo, capire cosa dire, perché spesso e volentieri si corre il rischio di essere male interpretati.
Vorrei che alla fine di tutto qualcuno cominciasse a chiedersi se la vita di uno di quei bambini che ho visto rimanere smembrati ha un valore oppure no.
Cosa senti di dover raccontare a proposito di questa guerra?
Quello che mi fa estremamente paura è l'aver cercato di contrabbandare l'idea della guerra come un valore positivo. Saddam Hussein era uno dei dittatori più terribili che abbiamo mai conosciuto, ma credo che l'idea della guerra come soluzione è sbagliata, la guerra può avere una sua validità solo quando è una guerra difensiva,. Che obbrobrio giuridico è l'idea della guerra preventiva? Ti do una schiaffo perché magari, quando diventi grande, tu mi metterai le mani addosso… è una logica folle.
Tutti abbiamo assistito all'undici settembre e ci siamo commossi, stupiti e anche spaventati, perché è stata una tragedia che ha rappresentato veramente uno spartiacque nella storia.
Ma credo che molti siano rimasti delusi nel vedere che, alcuni giorni dopo, nessuno si chiedeva: "ma perché a noi? Perché l'America? Se attaccano ci sarà un motivo". Se andiamo a riconsiderare gli ultimi anni della nostra storia forse potremmo riconoscere che qualche cosa non ha funzionato…
Invece nei giorni successivi è emersa l'idea della guerra al terrorismo, ed è emersa anche un'altra idea, altrettanto forte, ma messa poco in risalto, che il tenore di vita degli americani non è contrattabile. Perché? Ecco, non si è rimesso in discussione che nel mondo c'è uno sviluppo esasperato a beneficio di pochi e che condanna molti altri, generando 'esasperazione.
Allora arrivo alla domanda… In Iraq gli analisti avevano previsto la guerra il cui risultato sarebbe stato che gli americani, con i loro alleati più stretti, si sarebbero impadroniti delle fonti energetiche per avere un controllo più o meno esplicito della regione.
E oggi apprendiamo che all'occupazione anglo-americana non è stato dato alcun termine temporale, che i pozzi e tutte le fonti energetiche saranno in mano americana e che li gestiranno per conto degli iracheni e i proventi serviranno a ricostruire il paese…
Noi non possiamo accettare questa logica, altrimenti significa che abbiamo delegato il nostro futuro a altri che stabiliranno se dobbiamo progredire o no e come dovremo farlo. C'è qualcosa che non funziona.
a cura della redazione

 

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