La cannabis fa male

Pubblicato il 31-08-2009

di Vincenzo Andraous


Andraous, educatore in una comunità terapeutica, e 180 ragazzi con lui denunciano l’ennesimo inganno di un mondo adulto al quale nulla importa dei giovani.

di Vincenzo Andraous

In questi giorni personaggi autorevoli si affannano per mettere in discussione la nuova normativa in materia di sostanze stupefacenti, che eleva la possibilità di detenere cannabis da 0,5 a 1 grammo, spostando il margine di contrasto dell’azione penale sullo spaccio e di quella amministrativa sull’uso personale. Al grido “ogni droga fa male, nessuna droga è accettabile” si va tutti in avanti, per tentare di arginare la deriva, quella amoralità che coinvolge il mondo adulto, abbandonando ai vicoli ciechi i giovanissimi, sprovvisti di strumenti di difesa, ma ben imbottiti di tecnologie di offesa, prima di tutto verso se stessi.

Eppure per mantenere alta l’attenzione sul problema droga non c’è bisogno di trucchi sofisticati o di eccessi forcaioli. Forse conviene rifugiarsi nel duro della realtà: chi lavora in una comunità terapeutica e di servizio, come la Casa del Giovane di don Franco Tassone a Pavia, ben sa cosa significa rimanere in vita dimenticandosi di esistere, e quanta tristezza traspare da due occhi atterrati dalla resa.

Chi lavora in comunità ed ha la fortuna di scrivere della propria vita personale, e di tante storie vissute, blindate, anonime, è privilegiato nell’apporre una negazione che non è ottusa né conclusa, bensì convissuta.

Per l’ultimo libro che sto scrivendo sul disagio ho incontrato circa 180 ragazzi e ragazze, a cui ho posto semplicemente una domanda: come è nata la scelta del vicolo cieco? La risposta che ne è venuta, ancora più semplice, è stata: tutto è iniziato con qualche canna, tanto per fare gruppo e non essere da meno degli altri.

Durante un incontro di formazione con alcuni allievi di un liceo, dibattendo sull’uso e l’abuso di sostanze, un ragazzo ebbe a dirmi che la mia avversità e il mio allarmismo nei riguardi della droga, tutta, erano inappropriati: lui qualche spinello se lo faceva, ma non si considerava tossicodipendente; persino i suoi genitori, che in gioventù avevano fatto qualche tiro, oggi sono dei professionisti affermati.

A quel ragazzo ho risposto che ero ben felice per i suoi genitori, un po’ meno per lui e per le troppe cose date per scontate, gli ho raccomandato di buttare un pensiero a tutti quei ragazzi che avevo intervistato, a quelli meno fortunati.

Un po’ di cannabis non conduce alla dipendenza, eppure per me che osservo la capacità di metamorfosi e il mutamento esistenziale che può indurre, a dispetto degli opinion leaders del momento, di esponenti dei mass media e dello spettacolo, del mondo politico e istituzionale, per me il farsi una canna non è per niente normale, come non lo è picchiarci il grugno a tredici anni o giù di lì.

Effetti indotti, farmacologici e psicologici, sembrano risultanze incomprensibili, invece esprimono la pericolosità che sta a fronte della disattenzione e del disorientamento, causati da un’allucinazione consumata nella velocità più virtuale… Il più delle volte però quella realtà prende il sopravvento, reclamando tutti i dazi da pagare, e tragicamente facciamo i conti con tante e troppe esistenze ridotte a miserie umane.

Vincenzo Andraous

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