La guerra è sempre una sconfitta!

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro

Vi riproponiamo il contributo che l’amico e collaboratore Aldo Maria Valli (vaticanista del TG3, che con tanta pacatezza e professionalità ha seguito per la sua redazione gli eventi di questi giorni) scrisse per Nuovo Progetto nel marzo 2003 sul NO del Santo Padre alla guerra in Iraq.

Aldo Maria Valli
A volte il tono della voce e lo sguardo parlano più delle parole stesse. È quello che succede la mattina del 23 marzo 2003, in piazza San Pietro. Al termine della lunga cerimonia durante la quale ha proclamato cinque nuovi beati, Giovanni Paolo II invoca la Vergine: “Ci rivolgiamo a Maria Santissima, che i nuovi beati hanno amato e implorato con speciale devozione. Da lei imploriamo, soprattutto in questo momento, il dono della pace!”. Niente di particolare, si direbbe. Se non fosse, appunto, per il tono utilizzato dal Papa e per i suoi occhi.

Foto Agensir
Quel “dono della pace” risuona come un grido, e l’espressione del volto non lascia spazio ai dubbi: Papa Wojtyla prova vera indignazione per la guerra in corso, per i morti e i feriti provocati dai bombardamenti e dai primi scontri.
La folla riunita in piazza San Pietro, colpita dal tono della voce, esplode in un lungo applauso, ripetuto poco dopo, quando Giovanni Paolo II ricorda le vittime dei combattimenti. Aiutato da una forma fisica tornata eccellente, il Papa ha voluto così dimostrare a tutto il mondo, al di là delle parole, il suo stato d’animo.
Contro questa guerra Giovanni Paolo II ha ingaggiato una lotta diplomatica senza risparmio. Ha tentato davvero tutte le vie. Ha ricevuto uomini di governo, ha lanciato appelli, ha mobilitato i suoi collaboratori, ha inviato il cardinale Roger Etchegaray a Baghdad con una lettera per Saddam Hussein e il cardinale Pio Laghi a Washington con un messaggio per George W. Bush. Ha pregato, ha raccomandato il digiuno. Perché lo ha fatto, e perché con tanta forza? La sua preoccupazione nasce da tre timori di fondo.

Il primo riguarda l’Onu e il suo ridimensionamento.
Il secondo riguarda il conflitto di civiltà tra mondo cristiano e mondo islamico. Il terzo riguarda il ruolo degli Usa come superpotenza planetaria svincolata da ogni legge. Per il pontefice l'attacco contro l'Iraq in base al principio della “guerra preventiva” può segnare la nascita di un nuovo “disordine mondiale” fondato sulla volontà di dominio e sulla paura. Tutto il contrario dell’assetto per cui Karol Wojtyla si è battuto durante l’intero suo pontificato e preconizzato da Giovanni XXIII nella Pacem in terris, l’enciclica di cui ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario: un mondo fondato sulla giustizia sociale, sul rispetto di tutte le culture e di tutte le religioni, un mondo liberato dall’estremismo perché libero dall’odio e dallo spirito di vendetta, un mondo in cui gli uomini di fede lavorano per alimentare la fratellanza e non per scavare nuovi fossati.

Per il Papa questa guerra rischia di imprimere sul terzo millennio un marchio nefasto, destinato ad alimentare a lungo morte e distruzione. Lo sgomenta, in particolare, il fatto che sia il presidente americano sia il rais di Baghdad invochino continuamente Dio per giustificare le loro scelte, i loro comportamenti bellicosi. Certo, il Papa non mette Bush e Saddam sullo stesso piano. Sa bene che da una parte c’è una democrazia intervenuta molte volte a difesa dei diritti e della pace nel mondo e dall’altra c’è un regime sanguinario. Sa bene che gli Stati Uniti, con l’11 settembre, hanno subito un colpo micidiale, un shock senza precedenti. Ma ritiene che la via per combattere l’estremismo e il fanatismo sfociati nell’11 settembre non sia quella delle armi.

Come ha scritto la Civiltà cattolica (31 ottobre 2002), “la guerra preventiva non serve alla pace, ma a porre l’umanità in uno stato di guerra permanente”. In modo molto realistico, il segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, il 29 gennaio 2003 si è chiesto: “A chi conviene irritare un miliardo di musulmani e rischiare di avere per decenni l’ostilità del mondo islamico?”.

La preoccupazione del Papa per gli effetti a lungo termine dell’attacco all’Iraq emerge chiaramente il 22 marzo 2003, nel corso dell’udienza ai dipendenti dell’emittente cattolica Telepace: “Quando la guerra, come in questi giorni in Iraq, minaccia le sorti dell’umanità, è ancora più urgente proclamare, con voce forte e decisa, che solo la pace è la strada per costruire una società più giusta e solidale. Mai la violenza e le armi possono risolvere i problemi degli uomini”.


Foto Agensir

Significative, sotto questo profilo, sono le parole che il ministro degli esteri della Santa Sede, Jean Louis Tauran, ha pronunciato in una conferenza a Roma il 24 febbraio 2003: “la guerra in Iraq è ‘un crimine contro la pace’, si tratta di decidere se il futuro dell’umanità deve essere fondato ‘sulla forza della legge o sulla legge della forza”.

In queste settimane di intenso impegno diplomatico
, il Papa ha dato una precisa indicazione circa il metodo che a suo giudizio deve essere utilizzato in caso di controversie internazionali. Il 13 gennaio 2003, parlando agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ha detto: “No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità… Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni”.

    Foto Agensir
Questa è la stella polare seguita dalla diplomazia vaticana. Ed ecco perché, il 18 marzo, quando il presidente Bush decide di ignorare ogni appello alla trattativa per imboccare la via delle armi, la Santa Sede, con una dichiarazione del direttore della sala stampa Joaquin Navarro Valls, esprime la sua condanna in termini durissimi: “Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il diritto internazionale mette a disposizione, si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia”.

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